Approfondimenti
ANGOLO DEL TIFOSO JUVE – L’amore conta
Che poi a me Ligabue non piace nemmeno. Ma le sue sono le uniche tre parole che mi saltano in mente e che abbiano minimamente senso in questa serata di calcio, una di quelle che, personalmente, aspetto per un intero anno. Ce lo diciamo sempre che con il Napoli abbiamo ben poco da condividere, un abisso, un palmarès che non ha nemmeno bisogno di essere sciorinato.
Ma qua, in questo stadio, questa sera, di tutto si parla, fuorché di pallone.
Ogni tanto vado a rivedermi quel goal di Higuain, quello di un paio di anni fa, quello dell’esultanza alla Toni prima e dello sguardo in lontananza verso De Laurentiis poi. In quel goal, in quello sguardo, ci ho visto l’unica cosa che avrebbero dovuto metterci i miei giocatori questa sera in campo, ovvero le palle.
E perdonate il turpiloquio, che comunque sono solita portare avanti. Ma questo è il mio derby personale, io che vivo da ventotto anni e mezzo nella scocciatura di gente che mi chiede come mai io possa tifare per una squadra piemontese quando sono nata tra Sala Consilina e Caianello. Non lo so, e non mi interessa nemmeno darvi una spiegazione. Del resto mica vi ho chiesto perché vi siete scelti le vostre mogli o i vostri mariti, oggettivamente non mi interessa.
Quello che mi interessa è che io questa sera ho visto una sola squadra in campo, e non era la mia.
Gasatissima dal tridente pesantissimo Paulo-Gonzalo-Cristiano che mister Sarri decide di piazzare in campo dal primo minuto, mi emoziono al solo pensiero di riascoltare di nuovo quel silenzio che calò sul San Paolo un paio di anni fa. Centrocampo titolare, avrei solo schierato Rabiot al posto di Matuidi (sì, lo sto dicendo davvero: è che non ho più la forza mentale per non sapere che fine farà un pallone una volta sfiorato il piede falciforme di Blaise).
Risultato: zero tiri in porta, almeno nel primo tempo. Completamente assenti, messi sotto torchio da un Napoli super pressante, che non lascia spiragli alle nostre azioni, e vittime di quel futile possesso palla che non riesce mai a liberarsi nella scarica di adrenalina necessaria a portare a casa la partita. Che poi Ronaldo ci prova pure, su una palla vagante dopo un palo preso da Dybala, ovviamente in fuorigioco. Sarri si ricorda che forse è il caso che i suoi giochino a pallone soltanto dopo il meritato goal di Zielinski, meritato sicuramente per la prestazione svolta fino a quel momento, e butta nella mischia Bernardeschi e Douglas Costa per Matuidi e Dybala.
Paulo aveva fino ad allora fatto tutto quello che poteva nelle maglie strettissime del Napoli. Forse un filino tardi, magari ricomincio anche a respirare data l’ormai solita super prestazione di De Ligt, ma il motorino di Douglas non può giocare da solo, ed è lì che il solito Insigne distrugge le speranze della sottoscritta di rosicchiare ancora punti all’Inter che ci insegue. Sul due a zero, quando la voglia di sbattere al muro il pc è davvero tanta, il solito Cristiano Ronaldo mette una pezza sul mio cuore ferito centrando il goal del 90esimo su lancio di Bentancur. I successivi quattro minuti, non si sa come, giochiamo a calcio. Inutilmente.
Allora mi volete sfottere.
Che cosa abbiamo fatto fino ad ora? Ci siamo fatti mettere sotto, volontariamente, da gente che semplicemente aveva voglia di dimostrare che nonostante la pessima stagione può ancora farla franca con le corazzate, e che aveva il sangue agli occhi per un allenatore passato al lato oscuro.
Ma soprattutto, abbiamo buttato alle ortiche l’ennesima possibilità di allungare sull’Inter che oggi ha pareggiato a Cagliari tra risse, pianti e proteste.
E sì, ho gioito questo pomeriggio. Assolutamente si. Perché io Antonio Conte l’ho amato, l’ho vissuto, sono nata calcisticamente con lui, e una cosa del genere non me la doveva fare. E non posso biasimare i fischi assordanti che ho sentito levarsi dalle curve del San Paolo tutti rivolti a Mister Sarri, che ovviamente a fischi dovrebbero limitarsi. Che quando l’ho visto per la prima volta abbracciato a Paratici e Nedved mi sono fatta grasse risate pensando alla tifoseria partenopea e a come il fattaccio estivo avrebbe acuito ancora di più la rivalità sportiva (territoriale, s’intende).
Ma quando Antonio Conte ha fatto la prima foto con la sciarpa dell’Inter, è stato lì che ho capito tutto. Lì ho capito che per me la Juve è una questione di cuore, e che l’amore si trasforma in sentimenti negativi, come in tutti i rapporti umani, perché sempre di sentimenti si tratta.
L’Avvocato Agnelli parlava della Juve come di un’infinita storia d’amore. Non sbagliava, non ha mai sbagliato lui. Vorrei solo che se lo mettesse in testa per una buona volta chi ha l’ineguagliabile onore di indossare la maglia a strisce bianconere nella sua vita. L’ha indossata Platini prima di voi, l’hanno indossata Scirea, Del Piero, Pavel Nedved. Io non posso tollerare di vedere milioni di euro scendere in campo senza alcun tipo di idea, e senza la voglia di tornare negli spogliatoi con la maglietta da strizzare.
Che capissero una buona volta che quest’anno, un filino più degli altri anni, non è questione di arrivare a nove scudetti consecutivi per essere ricordati negli albi d’oro.
Quest’anno, per una tifoseria intera, è questione d’amore.