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ANGOLO DEL TIFOSO JUVE – Distanti e d’istanti

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No, forse non è il momento di parlare di calcio. Abbiamo la testa piena di cose che col calcio non c’entrano nulla, mentre avremmo preferito di gran lunga continuare ad azzuffarci su quanto sia stato poco carino Conte ad andare ad allenare l’Inter, sul valore di Eriksen e su quanto sia pazzesca la stagione del Benevento.

Eppure la vita, quella non la gestiamo noi. Ci viene offerta a scatola chiusa, prendere o lasciare, te la tieni, e la affronti. E affronti anche ciò che non vorresti mai trovarti davanti: la paura, il timore, il guardarsi in cagnesco su un autobus per uno starnuto.

La mia generazione non era pronta ad un’esperienza del genere.

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Non c’è uomo sulla faccia della Terra che non abbia voluto esprimere la propria opinione sul Coronavirus. Non c’è soggetto che non si sia improvvisato virologo, psicoterapeuta, chef, igienista.

Nel 2020 tutti sappiamo fare tutto. Ed è proprio per questo sentimento di onnipotenza che ci ritroviamo, forse, in un punto di non ritorno. Il punto in cui siamo tutti, nessuno escluso, di fronte alle nostre responsabilità di cittadini, ma soprattutto di esseri umani.

Sono spaventata, sì. Chi non lo è. Per natura vivo da ottimista, una tendenza che mi porta spesso a minimizzare i piccoli problemi che una vita fortunata come la mia mi pone tanto raramente davanti.

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È accaduto, ho spesso pensato che la soluzione ai miei problemi mi sarebbe caduta dal cielo, che le questioni potessero non riguardarmi direttamente, per cui era più che lecito tralasciare, passare oltre, lasciare che il fato facesse il proprio corso.

Questa volta non è così. Mi sento attraversata da qualcosa di molto, molto più grande di me, e ci sono dentro fino al collo. E guardandomi intorno, mi rendo conto che anche coloro dai quali ti aspetti una mano ferma non abbiano poi chissà quanta contezza della questione.

La Serie A vive con noi: non è un compartimento stagno della nostra vita. È parte della nostra cultura, ma è soprattutto fatta di persone. Le stesse persone che oggi hanno vissuto una mattinata sospese in un limbo in cui il filo tra giocare e non giocare è diventato così sottile da riuscire a far tornare indietro negli spogliatoi i giocatori a pochi secondi dal fischio d’inizio di Parma-Spal, in un clima di surreale incertezza in cui non c’era notizia che potesse darci un minimo di serenità.

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Poi si decide di andare avanti.

Non ho la testa, non ho la forza mentale di guardare l’Allianz Stadium vuoto, di guardare non una partita qualsiasi, ma Juve-Inter.

Non sapevo con che voglia, con quali pensieri i miei giocatori sarebbero scesi in campo. Ma ancora una volta, metto in dubbio il potere salvifico del calcio. Perché di solo potere salvifico si può parlare.

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Intuisco di poter liberare per un paio d’ore la mia mente già ad una prima lettura della formazione: Pjanic in panchina a favore di Bentancur in regia, affiancato da Ramsey e Matuidi. Nessuno spazio per Chiellini, sono ancora Bonucci e De Ligt i centrali prescelti per la difesa della porta di Szczesny, con Cuadrado e Alex Sandro esterni, tutti votati al blocco delle incursioni dei tanto temuti quanto temibili Lautaro e Lukaku.

E in attacco, niente Dybala. Con l’onnipresente Cristiano vanno ad inserirsi Gonzalo Higuain e Douglas Costa, che io continuerei ad impiegare sempre e comunque a partita in corso. Ma ci sarà un motivo per cui Sarri allena la Juventus ed io non sarei in grado nemmeno di allenare una squadra di triglie.

Un primo tempo di buon equilibrio, in cui mi sorprendo nel non aver preso a parole nemmeno una volta nessuno della mia compagine. Anzi: mi sento abbastanza soddisfatta del pressing in area avversaria, nonché di un momento in cui De Ligt raggiunge vette sconosciute con il suo testone, che solo grazie al ritorno di Handanovic in porta non si trasforma nel primo vantaggio bianconero.

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Stessa incredibile reazione la ottengo su un pregevole tiro di Matuidi, che mi sorprende non poco nel dar del filo da torcere al portiere nerazzurro. Ci assopiamo nell’ultimo quarto d’ora della prima frazione, come è ormai usanza alla Continassa, ma nessuno è perfetto.

Soprattutto se poi nel secondo tempo sai come rimetterti in ordine. Ed è Aaron Ramsey a rimettere a posto i pensieri nella testa dei miei ragazzi, che con una zampata favorita da Ronaldo insacca Handanovich.

E da lì in poi è un’altra partita. Rinvigoriti dal goal, e tramortiti dall’altro lato i nerazzurri, Sarri decide di giocarsi il pezzo da novanta, lasciando a Paulo Dybala il posto occupato da Douglas Costa. Tridente pesante quindi, in un match in cui Higuain ha giocato di sacrificio, non è arrivato al goal, ma non ha nemmeno sbagliato nulla: lascia spazio solo all’ottantesimo a Federico Bernardeschi.

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Dybala, dicevamo. Di Paulo Dybala posso dirvi che il suo goal ha cancellato per un attimo, per un solo istante, tutte le paure che mi hanno attanagliata negli ultimi giorni. È durata poco, il tempo di un controllo stratosferico, di uno scambio con Ramsey, il tempo di schivare come birilli un paio di atterriti nerazzurri, l’attimo di un goal di esterno sinistro puntato verso l’angolino basso che un giorno faranno vedere nelle scuole calcio, quando spiegheranno il concetto di talento. In quel momento, io non ho pensato a nulla.

Ed ho continuato a farlo, quando Ronaldo ha tentato per due volte di fila di mettere il suo sigillo per la dodicesima partita consecutiva. Poi però l’arbitro ha sancito la fine di questo Derby d’Italia, ha dichiarato che fosse ancora una volta la Juventus ad aggiudicarsi la superiorità e il diritto di sovrastare la classifica della Serie A.

Fino a quando, non lo so. Perché nonostante io abbia tratto giovamento dal poter vedere un po’ di poesia tra i piedi del ragazzino di Laguna Larga, nonostante la mia mente sia grata per la doppia esultanza che i ragazzi di Mister Sarri mi hanno regalato questa sera, io non so se e come questo campionato riuscirà ad andare avanti.

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Troppi i timori, troppi i pensieri. E sarebbe giusto, per una volta, imparare a remare tutti dalla stessa parte. Fermarci, stare distanti, lasciarci guidare dalle parole di chi ne sa più di noi, ma consapevoli che i giorni che passeremo divisi saranno soltanto uno stimolo, per godere ancora di più dei momenti in cui ci rivedremo.

Che di cose da vincere, da gridare, da fare insieme, ne avremo ancora tante.

Post Scriptum: mi perdonerete se mi avete sentita parlare per nulla di Lukaku e Lautaro. Beh, per ulteriori dettagli sulla questione citofonare De Ligt e Bonucci.

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