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IO RESTO #ACASACONVLAD – Il calcio ai tempi del Coronavirus
Ciao ragazzi, come va? Immagino e spero anche voi in quarantena.
Insomma, non c’è molta voglia di raccontare calcio in questo momento. Io per primo non ne avrei tanta voglia, ad essere sinceri.
È un momento particolare, complicato.
Ad essere onesti, tutti dicono di avere tanto tempo per fare cose. Per quanto mi riguarda, non è così.
Anzi, mi rendo conto di quanto le giornate stiano passando velocemente, tutte uguali tra loro. Inutili nella loro totalità, utilissime per riscoprire valori ed affetti che quasi avevo dimenticato.
Il Coronavirus ha un grande merito: lasciarci soli per un po’ di tempo a pensare. Pensare a quello che, finora, è stato della nostra vita.
Mi rendo conto di quanto il calcio sia presente nella mia quotidianità. Parte fondamentale della mia esistenza.
Ricordi che tornano così, come un tornado, affiancati da pagine di calcio, più o meno belle. Partite, vinte o perse, che hanno segnato le nostre vite da tifosi. Gol splendidi, fatti e subiti dalle nostre squadre, che hanno contribuito a farci innamorare o a farci odiare questo fantastico sport.
Ricordo, in maniera limpida, la prima volta allo stadio; quegli scalini interminabili, il comparire del tappeto verde e di una distesa immensa di gente, i cori che ti entravano nella testa e, allo stesso tempo, nel cuore.
Ricordo il fallimento della mia squadra, così come ricordo la rinascita e la scalata dalle categorie inferiori fino alla Champions League.
Ricordo davvero tutto e, in questo particolare momento, è come se ricordassi tutto in maniera ancor più nitida e chiara.
Vi svelo, ad esempio, un aneddoto, che è rimasto nella mia testa, come fosse successo l’altro giorno.
Parliamo di circa dieci anni fa.
Immaginate un liceale, fidanzato da qualche mese. “Senti, i miei genitori vorrebbero conoscerti. Che ne dici se sabato vieni a cena da noi?”
Nonostante i dubbi assalissero la mia mente fin da subito, accettai. Ma come sempre, io non legavo e non lego solo i ricordi alla mia squadra del cuore ma anche i miei impegni, attuali e futuri. Baso tutto sul calendario delle partite.
E allora, la prima cosa che feci fu vedere dove e quando avrebbe giocato il Napoli.
Maledizione, sabato alle 20:45 e contro la Roma allo stadio Olimpico. Questa proprio non ci voleva.
Dopo varie litigate e scazzi continui con la mia ragazza, fui, naturalmente, costretto a presentarmi alla cena.
Arrivò sabato sera e mio padre mi disse: “stai sereno, ti scrivo io della partita”.
Se, certo, come no.
Mi sedetti a tavola e (siano lodati i miei capelli lunghetti dell’epoca) avevo inserito in maniera perfetta degli auricolari nelle mie orecchie.
Riuscii, nonostante tutto, ad essere composto, a rispondere alle varie domande che mi arrivarono in quella serata, ma ero presente solo fisicamente, perché la mia mente era fissa all’interno dello Stadio Olimpico.
Il momento magico, eccolo. “Cavaniiiiiii!” seguito dalla frase più bella che esista “Il Napoli è in vantaggio”.
Ancora oggi non so come feci. Chiesi indicazioni per il bagno, domandai perdono per la momentanea assenza e mi fiondai nella prima camera più lontana dalla sala da pranzo.
Chiamai mio padre ed esplosi, insieme a lui, in un urlo che, probabilmente, sentì l’intero palazzo, compresi i genitori della ragazza: “Amm signat, maronn e che gol!”. Papà mi descrisse per filo e per segno il gol del matador che, nella notte, rividi almeno cinquanta volte.
Il mio cuore non smise, per buoni dieci minuti, di andare all’impazzata.
Tornai in sala da pranzo, le sorelle della mia ragazza ridevano, il papà un po’ meno. Ma pazienza.
Quella partita il Napoli la vinse 2 a 0 ed io ero felice come un bambino alla Vigilia di Natale.
Ecco, questo mi sta regalando questo virus maledetto. L’analisi di ricordi belli e di quelli meno belli, anche.
E a parer mio, si tratta di qualcosa che va oltre il romanticismo. Potremmo tranquillamente parlare di sentimenti puri.
E a voi, cari ragazzi? Succede lo stesso?
Tenete duro, torneremo a riprenderci “tutt’ chell che è ‘o nuost’”.