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IO RESTO #ACASACONVLAD – Pasqua: quando arriva, arriva

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Ero piena di programmi quest’anno. Rare volte nella mia vita le cose da fare, i desideri, i viaggi e le persone da vedere e rivedere si sono accumulate.

Pregustavo, e pregusto tutt’ora, la vacanza estiva a base di spiaggia e luppolo. Cominciavo a sentire sulla pelle il calore di un tiepido sole fintamente primaverile, a guardare con aria meno infreddolita i top sbrilluccicosi conservati nell’armadio.

Eppure, la vita ha deciso che per noi non sia ancora tempo di tenere un mojito in mano in una delle mille serate che propone la Capitale, che sia ancora presto per un aperitivo vista Ponte Sisto, per una passeggiata tra i boschi e i panorami che hanno dato i natali alla sottoscritta.

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A fare del bene alla nostra mente in questo momento ci pensano i ricordi, ne abbiamo già parlato.

Ci sono le videochiamate con le persone della nostra vita, dirsi come stai, cosa faremo una volta che tutto ciò che ci circonda sarà tornato al proprio posto, una volta che uscire sarà di nuovo la naturale scelta di un uomo libero ed in salute, una volta che tutto questo ci avrà lasciati sicuramente storditi, diversi, ma pur sempre noi stessi.

Ed allora io non vedo l’ora di tornare allo stadio.

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Non so quando potrà accadere, ma il solo pensiero di camminare di nuovo lungo Corso Scirea, scorgere da lontano e poi vedere avvicinarsi lo Stadium per cercare il mio ingresso mi gonfia il cuore, mi permette di guardare con fiducia a ciò che mi aspetta.

Ho imparato che questa cosa si chiama il posto sicuro. Quando non so come controllare ciò che mi succede intorno, mi basta chiudere gli occhi, e tornare nel posto sicuro.

Che generalmente è Piccadilly Circus, quei pochi sfortunati a conoscermi sanno anche del mio amore totale per la capitale inglese. Quello è il posto in cui io mi sento davvero io, dove guardarmi intorno mi fa finalmente sentire una donna realizzata nei suoi desideri, nelle sue aspirazioni.

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Ma sono anche una tifosa. E quando chiudo gli occhi rivedo la tripletta di Cristiano contro l’Atletico Madrid, lo rivedo sbracciarsi per aizzare i suoi tifosi, vedo quel goal che non è arrivato immediatamente ai nostri occhi.

Mi rivedo sugli spalti dell’Olimpico alla fine di una partita senza emozioni, finché Dybala non calcia da terra il goal che mi fa perdere le corde vocali e che ammutolisce il San Paolo a qualche centinaio di chilometri di distanza.

Mi rivedo salire in solitaria gli scalini che mi portano alla Tribuna Sivori la mia prima volta all’Allianz Stadium, per uno Juve-Toro che racconterò ai miei figli, perché quella sera mi sono sentita finalmente parte di qualcosa di mio. Unicamente mio.

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Come i profumi di casa.

La quarantena in solitudine non è male se hai dei vicini poco rumorosi, e purtroppo non è il mio caso.

Ma mi manca casa mia. Mi manca il profumo di cibo che funzionava da deodorante naturale a tutte le ore del giorno.

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Inutile dire come io non sia affatto una di quelle che si cimentano ai fornelli nel tempo libero: cucinare mi piace, ma farlo per se stessi non dà soddisfazione.

Allora cerco di tornare indietro nella memoria, magari ai giorni delle medie, quando usciti di scuola si pensava solo a quando avremmo finito i compiti per poi scendere nel cortile o nel parcheggio di fronte casa a tirare calci al pallone.

Sono i luoghi in cui ho cominciato ad amare il calcio, complici le mie molteplici amicizie maschili.

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Si discuteva di scuola, di Del Piero, di Trezeguet, si ruminavano wafer al cacao che aveva solo la tabaccheria di fronte, un sapore che non ho mai più ritrovato.

Si pranzava a casa, primo, secondo, contorno e dolce.

Ho imparato solo da adulta che si può anche pranzare con il solo primo. Ma di questi periodi, dire una cosa del genere è violenza pura, quasi quanto una bestemmia.

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Da quando ci siamo chiusi in casa abbiamo scoperto doti non solo da virologi, economisti e psicoterapeuti, ma anche da panificatori e pasticcieri. E lasciatemelo dire, queste due ultime qualifiche sono le mie preferite al mondo, accanto a quella del calciatore, ahimè.

Siamo quasi a Pasqua, d’altronde. E allora torno con la mente al primo sole di Pasqua che riscaldava le ampie vetrate della cucina di casa mia che dà sulla Valle, sull’Acquedotto Carolino. Una veduta così ampia che, nei giorni di cielo terso, si vede anche la luce del sole riflettersi sul mare di Napoli.

La fase zeppole è andata. A casa mia, San Giuseppe è più importante del Natale.

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Ora è tempo di fare gli ultimi compiti dell’anno scolastico, posso prendermela comoda, sono ancora in seconda media. Dal mercoledì santo, cominciano a comparire, nei frigoriferi delle signore frassesi, cestini di salumi e formaggi tagliati fini. Si comincia a fare provvista di uova, è il momento di chiederle a chi ti ha già fatto il favore per le zeppole.

Di tempo ne avete, non dite di no. Di voglia a quanto pare, anche.

Vi lascio qui la ricetta della Pizza Chiena della mia mamma, molto a sensazione, insieme ad un avviso.

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Nei miei assurdi giri di nutrizioniste, nella speranza di trovare la quadra ad un corpo rotondo, mi diedero un foglio con le calorie dei peccati pasquali. La pizza chiena aveva qualcosa come 700 calorie per cento grammi.

Memo per me stessa: hai superato Manchester, Berlino e Cardiff. Puoi superare un paio di mesi in casa e settemila calorie.

Sì, mangerete l’intero chilo di roba, ve lo assicuro.

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Scegliete una teglia: a cuore, a stella, come la vostra fantasia meglio vi suggerisce.

Facciamo che le dosi siano per una teglia di una trentina di centimetri di diametro.

Tirate fuori la spianatoia, quella che vi ha regalato vostra madre nella speranza di vedervi cucinare qualcosa di diverso dalla pasta e burro.

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Impastate due uova e quanto basta di farina, un pizzico di sale e pepe ed una noce di immancabile sugna. Fatene un panetto, dividetelo in due e ricavate un primo disco con cui foderare completamente la teglia che avete scelto.

Ora rovistate nel frigo, cercate prosciutto, salsicce e quella forma di pecorino sottovuoto risalente alle guerre puniche. Per i salumi e i formaggi non c’è dose, tagliate a tocchetti tutto. TUTTO. A sentimento non è mai abbastanza. Fate spazio nel piatto anche per un paio di uova sode, sempre a tocchetti.

Versate nella teglia foderata di pettola (si chiama così, non è pasta sfoglia, è pettola) tutti i salumi, che però non possono stare da soli.

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Prendete almeno dieci uova fresche, sbattetele energicamente, unite ancora un po’ di salumi e versate di nuovo nella teglia, fino ad arrivare quasi al bordo. Se non vi bastano, non abbiate paura ad aggiungerne altre, ormai siete in ballo.

Ci siete quasi. Stendete l’altro panetto di sfoglia e coprite il tutto. Mia madre si raccomanda di unire bene i due dischi di pasta con i rebbi della forchetta.

Spennellate la vostra pizza chiena con l’ennesimo uovo. Al colesterolo ci pensiamo domani.

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Forno preriscaldato, 180 gradi. Per quaranta minuti, minuto più minuto meno. Giusto quelli che vi servono per uno di quei video di workout che trovate su Youtube, o per rivedervi gli highlights di Inter-Juve di due anni fa.

Vi dico anche come va a finire. La pizza chiena è cotta, non abbiamo perso nemmeno due grammi con il video, Higuain segna all’89esimo, ci prendiamo il settimo scudetto di fila, e all’improvviso il rigore di Shevchenko non mi sembra più così doloroso.

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