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ÇA VA SANS DIRE – La Profezia do Doutor

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Quero morrer em um Domingo com o Corinthians Campeão

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Voglio morire di domenica, con il Corinthians campione!

4 dicembre 2011.

Estádio Municipal Paulo Machado de Carvalho, quartiere Pacaembu, San Paolo in Brasile. Undici uomini in bianconero a semicerchio, in mezzo al campo. Alzano al cielo o punho cerrado. Quarantamila Corinthiani li stanno imitando, dagli spalti. Piangono.

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È l’ultima giornata del Brasileirao, è giorno di festa. Col Palmeiras è sufficiente un pari per vincere il campionato. È giorno di festa, è un giorno triste.

 

1 settembre 1910.

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Rua des Imigrantes, quartiere San Francisco, San Paolo in Brasile. Il grosso è approdato su queste sponde – per disboscarle e coltivare caffè – alla fine del Secolo DecimoNono. Se chiedi l’esatta provenienza devi accontentarti di un Nao sei. Non so. Al lume d’una lampada ad olio quattro operai, venuti dal Vecchio Mondo, danno vita alla squadra di calcio dei miserabili, che s’opponesse all’élite paulista. Lo Sport Club Corinthians nasce per sottrarre il pallone ai ricchi e consegnarlo al popolo, veicolando ideologie che cambieranno il destino della Nazione.

 

Più o meno aprile 1982.

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San Paolo in Brasile. La dittatura militare da diciott’anni soffoca la gente. Il Golpe del Sessantaquattro ha soppresso le libertà costituzionali, e da allora il popolo non ha diritto al voto. Tra torture e prigionieri politici, il Brasile sorride al mondo ma dentro sanguina.

Nell’ora più buia, un improvviso bagliore giunge da una squadra di calcio. Una squadra nata dal popolo e per il popolo, veicolo di giustizia e libertà. A rilevarla dai debiti è Waldemar Pires: s’affida ad un tale Adilson Monteiro, DS che di calcio sa poco ma è finissimo sociologo. L’allenatore è Mario Travaglini, uomo di strada prim’ancora che di campo: la modestia degli ultimi, la sensibilità di pochi. Ci sono tutti gli elementi dell’incantesimo. Serve solo la scintilla.

 

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Le Storie di Rivoluzione fatalmente sublimano nell’eroe.

Papà Raimundo aveva imparato a leggere tardi e s’era appassionato alla filosofia. S’imbatte ne La Repubblica di Platone e se ne innamora: leva gli occhi al cielo e rivolge una promessa all’autore. Avesse avuto un maschio, lo avrebbe chiamato come il suo maestro.

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Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira era al Corinthians dal 1978. È lui, O’ Doutor, il referente della nuova dirigenza. E l’ordigno trova l’innesco.

Alto, elegante, laureato in medicina: il suo calcio è un verso libero, banale definirne un ruolo. Non ama attirare l’attenzione sul sé ma sull’insieme. Gioca intere partite colpendola di tacco, solo di tacco: è ribellione, te ne innamori. Ama il suo calcio ed amerai la libertà.

Insieme. Lo spogliatoio del Corinthians diventa, d’incanto, la più improbabile delle Comuni. Dai massaggiatori alle riserve, tutti condividono le decisioni attraverso il voto: salari, contratti, finanche i ritiri. Tutto ripensato su base democratica. Si discute di tutto tranne che di moduli, di schemi. E a che servono? L’unica tattica possibile è creare, improvvisare, inventare. Ogni giocata di Sócrates ha tuttavia uno scopo.

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Il clima in Brasile è pesante, il sangue continua a scorrere. Il Corinthians non si piega e scende in campo con due parole stampate sul proprio petto: Democracia Corinthiana. Il più grande esperimento sociale dell’America Latina dell’epoca scuote le coscienze e conduce il Popolo al riscatto.

Ganhar ou perder, mas sempre com democracia

È lo slogan col quale il Corinthians scende in campo col punho cerrado al cielo in occasione delle elezioni municipali del 1982, le prime votazioni libere dagli anni Sessanta. Stampato sulle magliette, il monito: Dia 15 vote. Importa poco l’esito delle elezioni. Quello che conta è che il popolo torni a votare. Senza paura.

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Nonostante la censura imposta della dittatura militare, i calciatori non si piegano. Come rifiuto a qualsiasi forma di potere per tre anni si allenano da soli, senza subire il comando di nessuno. C’è uno staff ma le decisioni le prendono loro, in totale autogestione.

Quando, nel 1985, la coscienza popolare condurrà alle elezioni politiche ed alla deposizione della dittatura militare, la Democracia Corinthiana ha portato a termine la propria missione, e non ha più ragion d’esistere.

Coi soldi della cessione di Sócrates, il Corinthians mette definitivamente a posto le proprie finanze.

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Non tengo tanto a essere un campione di calcio quanto uomo democratico. Anzi, un Brasiliano democratico

Si presenta così ai tifosi della Fiorentina, che capiscono subito l’andazzo. Voglia di sudare poca: birre, sigarette, donne di più. Decisamente.

Risultati non esattamente memorabili: ma quelle giocate, dannazione… Toccava la palla col ticchettìo dalla grondaia dopo la pioggia. T’ipnotizzava con la cadenza sinuosa, distratta, quasi strafottente. Arte in movimento.

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La Democracia Corinthiana è stato un poema del quale Sócrates è l’eroe romantico.

Del tutto incapace di resistere ai vizi, non ebbe la velleità di vivere a lungo, ma nel 1983 espresse il desiderio di morire di domenica col Corinthians, il suo Corinthians, finalmente campione.

 

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Potete tornare all’inizio della favola.

Coi calciatori in maglia bianconera disposti a semicerchio col pugno chiuso al cielo, coi quarantamila Corinthiani che stanno vincendo il titolo e piangono, piangono a dirotto.

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È domenica, è proprio la domenica in cui il Corinthians vince il titolo: a soli 57 anni, Sócrates è morto da poche ore.

La sua storia calcistica e umana si interseca a quella del Corinthians tanto da rendere impossibile una trattazione separata. Col Corinthians ha vinto poco ma a vincere sono in tanti, in pochi fanno la Storia.

È il 4 dicembre, è domenica ed il Corinthians vince il Brasileirao.

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Sócrates ci ha lasciati esattamente come avrebbe voluto. Si è avverata la Profezia.

Come succede nei poemi. Come si conviene agli eroi.

 

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