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#CORONAVIRUS – Serie C, il presidente Ghirelli a TMW: “E’ sbagliato parlare ora di promozioni e retrocessioni”
Il prossimo tre aprile, la Lega Serie C incontrerà tutti e sessanta i presidenti dei club militanti in campionato, al fine di comprendere come gestire l’emergenza coronavirus. A parlarne ed esporre le proprie opinioni ci ha pensato il presidente della Serie C, Francesco Ghirelli, che ha così detto a TMW: “Nel corso di queste settimane ho mantenuto un rapporto continuo con i presidenti, spiegando passo per passo cosa stesse avvenendo. Però è bene che a un certo punto ci si incontri in assemblea. Sono sincero: volevo convocarla anche prima. Però poi mi sono accorto che dobbiamo potenziare il collegamento: abbiamo 60 club, non è come Serie A o Serie B. Ci sono anche difficoltà tecniche e serve una buona linea ovviamente”.
Nel frattempo, saprete ancora se il governo prolungherà le restrizioni.
“Certo, vedremo se viene reiterato il provvedimento”.
Cosa dirà ai suoi presidenti in assemblea?
“In una fase di questo genere, io capisco lo sconcerto e le domande sul futuro di molti di loro. Però vedo due situazioni distinte: c’è un’area che va da Bergamo alla Lombardia, all’Emilia e al Piemonte, dove i presidenti sono angosciati perché lì le persone muoiono come le mosche. E ci sono zone dove magari hanno più tempo e sentono meno tensione. Così alle volte qualcuno può abbandonarsi a cose che non sono attinenti all’umore di questa fase. Io penso che si debba avere rispetto della gente che sta morendo e soffrendo, che dobbiamo concentrarci sulle cose fondamentali: provare a mettere in linea di galleggiamento la barca della Lega Pro, perché la crisi l’ha veramente colpita. Dobbiamo evitare di fare discussioni che avrebbero riflessi negativi”.
A che discussioni si riferisce?
“Per esempio, penso a quelle sulle retrocessioni. Certo, sono importanti, ma c’è un tempo per ogni cosa. Ora il rischio è quello della continuità aziendale, e pesa l’incomprensione dell’AIC di capire il momento. Dobbiamo capire che vanno fatti dei sacrifici, perché la barca rischia di affondare. I nostri 60 presidenti hanno un’altra azienda oltre alla squadra di calcio, e sono preoccupati anzitutto delle sorti di quell’azienda. Se fossero posti davanti a una scelta tra le due, abbandonerebbero il calcio. E farebbero bene, aggiungo. Perché sceglierebbero l’azienda che serve alla loro famiglia per andare avanti”.
Cosa chiede all’AIC?
“Di capire che non siamo nell’ambito di una trattativa sindacale. Che si devono fare dei sacrifici, e vanno fatti a scaglioni. Noi vogliamo proteggere chi sta ai minimi retribuitivi, con la Cassa Integrazione. Ma bisogna capire che, in proporzione al rispettivo stipendio, si dovrà pensare a dei tagli, altrimenti il rischio è che il giocattolo si rompa. Bisogna spalmare i costi sui mesi successivi, come del resto fa il governo con gli aiuti che sta dando. E non è solo una questione di soldi”.
In che senso?
“Credo che si debba ragionare in modo diverso. Dopo una guerra non si pensa alle ferie, agli orari. Io non so se e quando ripartirà il campionato, ma quando succederà non si potrà certo pensare alle ferie. Ripeto, servono sacrifici. Come quelli che hanno avuto la forza di fare i nostri padri. Io penso al mio: era minatore, fece i sacrifici che poteva fare per mettere a posto il Paese e la casa. I suoi sacrifici, con quelli di tutti gli altri, ci hanno consentito il miracolo italiano. Io mi auguro che un discorso di questo tipo sia capito da tutti. Del resto, ogni società può iniziare a fare una trattativa sul proprio terreno, dove magari vede maggiore avvedutezza. Per esempio, la Juventus l’ha iniziata e sta trovando una base di accordo con i suoi tesserati”.
Se e quando ripartirà il campionato. A tal proposito, cosa pensa che succederà?
“È una delle cose che miro a far capire a tutti in assemblea. Si parla di interrompere o riprendere il campionato. Intanto, il primo problema è che siamo all’interno di un sistema: è una scelta che spetta anzitutto alla FIGC e al Consiglio Federale. E noi dobbiamo ragionare di sistema per uscirne fuori. Io so dal 21 febbraio, quando non si giocò Piacenza-Sambenedettese, che correvano un grave rischio anche per il futuro del campionato, era evidente guardando l’evoluzione di altre epidemie, per esempio SARS o Ebola. E poi c’è un’altra questione”.
Prego.
“Mi chiedo se davvero convenga concludere il campionato. Mi spiego: noi ragioniamo sulla causa esterna, un virus che ha cambiato il Paese e anche il campionato. Ma se lo stop fosse arrivato per motivi diversi avremmo ragionato in modo diverso: io ho qualche dubbio che riprendere possa tornare utile ai club. Il punto è, comunque, che dobbiamo trovare delle soluzioni mantenendo l’unità che è stato un punto di forza della nostra Lega. Dobbiamo conquistare con una politica intelligente il consenso del governo e dei parlamentari. Spero a tal proposito che i presidenti in questi giorni parlino con i senatori e i deputati dei loro territori. Che svolgano una semplice azione d’informazione sul calcio che fa bene al Paese. Noi abbiamo 60 società, lo dico chiaramente: parliamo, facciamo conoscere, facciamo capire perché vogliamo la CIG, la dilazione ulteriore dei pagamenti, delle tasse, dei contributi, degli affitti. Perché dobbiamo lavorare per la deducibilità di quanto i presidenti versano nelle casse della società. Usiamo i rapporti che abbiamo sul territorio per far capire che in questo momento viviamo una situazione quasi di volontariato, o di mecenatismo se preferisce”.
Torniamo sulla ripresa del campionato: il presidente Gravina ha detto più volte che è ottimista, che la priorità è tornare in campo.
“Fa benissimo. È la speranza di tutti. Se lei mi chiedesse quando vorrei riprendere le direi: domani. Gravina sente la preoccupazione generale del sistema, che deve reggere a livello finanziario ed economico. E d’altra parte sente il ruolo che la Federcalcio ha, anche a livello mediatico: dire che il campionato di calcio si ferma definitivamente, a chi soffre e muore o vede i propri cari morire, vorrebbe dire togliere una speranza di ritorno alla normalità. Ed è una cosa che giustamente non ha fatto nessuno, a partire dal governo. Detto questo, dobbiamo calarci nella realtà del Paese. Noi della Serie C siamo il calcio del territorio, il calcio del sociale. Ma che cavolo di lega siamo, se non capiamo quello che sta succedendo? Se la discussione è chiedersi se una squadra retrocede o meno? Ma che segnale mandiamo? Per questo trovo fuori luogo certe discussioni”.
Come ripartire, però, è un problema.
“Sì, ma pensi alla riforma dei campionati. Io ne voglio parlare, la voglio fare: nessun dubbio. Ma è davvero questo il momento di discutere su chi va in B o meno? Io credo di no, che non possa essere un tema di fronte al vuoto desolante delle città. Combiniamo un disastro se facciamo una cosa del genere. Poi aggiungo che la Lega Pro ha già pensato a quello che succederà. Alla stagione 2020-21. E le dico che è il vero disastro per il calcio è lì. Finché non avremo un vaccino, sarà durissima tornare allo stadio, direi quasi impossibile. Altro che ricominciare davvero. Quando succederà, vedremo un calcio che non abbiamo mai visto, e sarà durissimo, anche a livello economico, per chi, come noi, vive sul rapporto con la propria tifoseria e i propri spettatori. È per questo che non possiamo allontanarli, che dobbiamo fare dei sacrifici”.
L’AIC, però, tutela anche calciatori che guadagnano poco, 1.500 euro al mese o giù di lì.
“È vero ed è per questo che ho parlato di sacrifici a scaglioni, in proporzione. Torno all’esempio di mio padre: non aiutò il Paese quanto gli Agnelli, ovviamente. Ma fece i sacrifici che poteva fare, come li fecero tutti. Se l’AIC pensa di essere contro la cassa integrazione, cosa racconta al Paese reale? E parlo di chi guadagna magari 800 o 900 euro al mese. Se i tifosi penseranno che li abbiamo schifati, non torneranno più da noi. Servono sacrifici, appunto. Dei più ricchi in primo luogo: devono pensare a una cassa che possa aiutare i loro colleghi, calciatori più deboli. Non fermiamoci alla C: chi dà una mano ai giocatori di Serie D? Creiamo un fondo di solidarietà, che protegga le fasce più deboli, dove la situazione è drammatica. Ripeto: ragioniamo di sistema. E a Tommasi l’ho già detto: bisogna lavorare nel modo giusto, perché poi quando arriverà l’ondata di paura travolgerà tutti. L’AIC è al limite, e se succederà una cosa del genere la gente purtroppo non sarà dalla loro parte”