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Auguri Marcello, vero antivirus

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Festeggiare il compleanno nel giorno di Pasqua di un anno bisesto, nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria che costringe dentro casa italiani e gran parte degli europei? Fatto!

Coincidenze? Macché!

Le coincidenze” – ha scritto Carlos Ruiz Zafon – “sono le cicatrici del destino”.

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Perché c’è un filo rosso che, nei momenti bui e complicati, compare all’orizzonte, traccia una direzione e svela, dall’altra parte, un uomo tutto d’un pezzo, coi capelli brizzolati, un fisico asciutto, gli occhiali da intellettuale e lo sguardo fiero.

Se c’è una situazione complicata da affrontare ed un problema da risolvere, rivolgersi a Marcello Lippi da Viareggio è sempre una buona idea.

E se la Pasqua 2020 sarà per tutti (speriamo) quella del sacrificio e della speranza di un futuro prossimo migliore (e sicuro), c’è da scommetterci che quella dell’allenatore (tra le altre) dell’ultima Nazionale vincente ai Mondiali sarà ancora più dolce, con 72 candeline da spegnere su un uovo di cioccolato che non ha bisogno di regalare sorprese e soddisfazioni a chi – negli anni – ne ha avute davvero tante.

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Federico il Grande amava ripetere che “più si invecchia e più ci si convince che Sua sacra Maestà il Caso fa i tre quarti del lavoro in questo miserabile universo”. Forse è vero, ma altrettanto indubitabile è la circostanza che nel 25% delle altre occasioni, quando serve cioè abilità, competenza e savoir faire, avere nei pressi uno come Marcello Lippi può essere davvero utile.

Per l’Italia segnata da Calciopoli e con un’immagine tutta da ricostruire dopo intercettazioni da far ribrezzo finanche ad un sadico amante di pellicole horror, quel gruppo di ragazzi sapientemente guidati da un allenatore con gli occhiali poggiati sul naso ed un sigaro fumante tra le dita rappresentò mirabilmente un grande esempio vincente: quello di chi sa chiudersi in se stesso per ritrovarsi e poi tirar fuori le forze migliori, anche inaspettate, per diventare il migliore di tutti.

Nella magica notte del 09 luglio 2006, quando chiunque si è sentito orgoglioso e fiero di essere italiano, a volteggiare con una polo blu a maniche corte, una medaglia d’oro al collo ed una Coppa sollevata al cielo c’era proprio lui, portato in trionfo da calciatori che – ancora oggi – legano a quelle settimane i ricordi più belli della vita da professionisti.

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Dieci anni prima era toccato a Ciro Ferrara, Antonio Conte, Deschamps, Gianluca Vialli, Alessandro Del Piero e Fabrizio Ravanelli, tra gli altri, gioire per la seconda e (ancora) ultima Champions League della Juventus, arrivata dopo una stagione in cui si era detto addio a Roberto Baggio e si era ceduto lo scudetto proprio al Milan che aveva aggiunto il Divin Codino ad un gruppo capitanato da Baresi, Maldini, Costacurta e George Weah.

In panchina, manco a dirlo, Marcello Lippi, orgoglio di una Viareggio che – prima e dopo di lui – vede il suo nome legato al calcio solo per merito della ex-Coppa Carnevale.

Di maschere, però, quel difensore roccioso e scaltro in maglia (soprattutto) blucerchiata mai ha dovuto indossarne, accettando continuamente sfide ed avventure. Da ultimo nella Cina pre-Covid 19, e mettendoci sempre la faccia di un uomo integro, buon comunicatore e leader calmo di spogliatoi dove ha comandato, ascoltato e… anche (a torto o ragione chi lo sa) litigato (chiedere a Baggio, Panucci e Cassano, solo per citarne alcuni).

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Il calcio, si è detto, “parte dal cervello, incrocia i sentimenti, arriva al cuore e si conclude nei piedi”.

Lo sa bene l’allenatore che decise, a Napoli, di mettere in porta, con le spalle rivolte verso una curva assai esigente, un ragazzone dal cognome impegnativo (Taglialatela) ed al centro della difesa un ragazzino (Fabio Cannavaro) che, qualche anno più tardi, avrebbe autografato con inchiostro indelebile la notte di Berlino del 2006.

Dovrebbe essere oggetto di studio (e forse lo sarà) la filosofia applicata al calcio di Marcello Lippi, capace di essere educatore, prima che allenatore, motivatore prima che stratega.

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Ecco spiegato perché in un Continente ed una Nazione flagellata da un nemico invisibile che sibila nell’aria, al quale indebitamente si è legata l’immagine di una “corona” (che abitualmente si dà ai sovrani riconosciuti come tali), in attesa di un provvidenziale vaccino è utile fare una delle scelte migliori quando si è in difficoltà e si cerca una svolta: chiamare Marcello Lippi, il vero “antivirus” che funziona sempre.

Questa volta per aggiungere agli auguri di buona Pasqua quelli di “buon compleanno”. Davvero meritati.

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