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ESCLUSIVA #LBDV – Hübner #ACasaConVlad: “Quando uno parte dal basso deve dimostrare sempre qualcosa per arrivare in alto”

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Il secondo appuntamento del giorno della nostra rubrica #ACasaConVlad ha visto come ospite l’ex attaccante di Brescia e Piacenza, tra le altre, Dario Hübner. Proprio nelle scorse settimane l’ex bomber è uscito nelle librerie con “Mi chiamavano Tatanka”, biografia scritta a quattro mani con Tiziano Marino ed editata da Baldini + Castoldi.

Di seguito riportiamo l’intervista completa, trasmessa in diretta attraverso il nostro profilo Instagram.

Come stai vivendo questo periodo così particolare di emergenza?

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Sono qui a Crema, dove la situazione è difficile. Siamo chiusi in casa da metà febbraio, restiamo dentro in attesa di tempi migliori. È l’unica cosa che ci resta da fare e dobbiamo attenerci a ciò che ci dicono gli scienziati che ne sanno più di tutti a riguardo”.

La tua carriera parte da molto lontano: un processo non semplice ma alla fine sei riuscito ad arrivare ad alti livelli.

Quando uno parte dal basso ed arriva a buoni livelli deve sempre dimostrare agli altri di meritarsi quel posto e qualcosa in più. Nel calcio ho fatto tutti questi gradini e ho sommato tutte le esperienze. Penso sia una carriera che chiunque provi ad entrare nel mondo del calcio deve provare a fare. È difficile partire dalla prima categoria, ma se sono riuscito ad arrivare io in A, perché non possono riuscirci altri? Tutto sta nel saper dimostrare, sempre ed in ogni modo possibile, la propria determinazione”.

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Hai iniziato la tua carriera in Interregionale, categoria che un tempo si giocava comunque ad un certo livello.

Tutte le categorie nascondono le proprie insidie. L’Interregionale, all’epoca, rappresentava un calcio già di un certo livello, così come la C2 e la C1. Ma anche la stessa Serie B: il livello, in cadetteria, era davvero alto e anche quelle squadre che hanno fatto grandi stagioni non sono riuscite a portare a casa il risultato. Per non parlare della Serie A, dove c’erano dei veri e propri mostri sacri. Se pensiamo al Parma di quegli anni, c’erano giocatori di livello come Thuram, Cannavaro e Buffon ed arrivarono comunque sesti. All’epoca, salvarsi era davvero come vincere uno Scudetto, perché la competizione era di un certo spessore”.

Poi sei stato alla Pergocrema e al Fano, dove hai avuto come allenatore Francesco Guidolin. Sono state tre stagioni buone che hanno contribuito a lanciarti.

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Mister Guidolin mi ha lasciato un ricordo umano importante ed è una delle cose migliori che possa accadere. Mi diede la possibilità di assistere alla nascita di mia figlia. Ricordo che quella domenica dovevamo giocare a Pavia, ma mi diede comunque il consenso di poter raggiungere mia moglie. Mi concesse addirittura un giorno in più e non si fece problemi nel privarsi di me per il match. Sono cose che non si dimenticano. Dal punto di vista professionale, invece, mi mise in riga, in un periodo in cui la tattica stava cambiando. All’epoca non avevo ancora la bravura che ho avuto a venticinque e ventisei anni. Lui mi ha dato le prime indicazioni sui movimenti e su come attaccare la profondità. Sia lui che D’Alessio sono stati gli allenatori che più mi hanno aiutato a crescere in tal senso”.

Dopo i tre anni al Fano è arrivato il salto al Cesena, forse la prima vera svolta della tua carriera. Cosa ci puoi dire di quegli anni e del rapporto con il presidente Lugaresi?

Lugaresi era il genitore di tutti. Per me e per noi era come un secondo papà, infatti difficilmente lo chiamavamo ‘Presidente’. Con lui si parlava poche volte di calcio, perché si interessava alla nostra vita. Vedevo questi presidenti come lui e Corioni (Pres. del Brescia, ndr) come delle persone di famiglia e che mi hanno dato tanta fiducia. L’aspetto economico veniva dopo, ci tenevo innanzitutto a ripagare tutta la loro stima. Ho sempre rispettato i tifosi e i compagni con cui sono stato. Prima di essere colleghi eravamo tanto amici, si era creato un gruppo vero, cosa che durante l’anno conta tanto anche ai fini del risultato”.

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Dopo il primo anno con Salvemini allenatore, ti sei ritrovato un certo Azeglio Vicini. Che sensazione si prova a lavorare con un allenatore come lui?

All’epoca non c’erano i telefonini e non eravamo al corrente di tutto. Un pomeriggio andai al centro sportivo e c’erano tantissimi tifosi, tanto che pensavo fosse successo qualcosa. Entrai nello spogliatoio e nella mia incredulità constatai che fosse proprio Vicini. Fu una grande emozione”.

Stagione di ottimo livello che poi ti ha portato ad esplodere nell’ultimo anno di Cesena. In particolare, avevi due compagni come Scarafoni e Dolcetti che ti davano un supporto straordinario.

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Formavamo un trio davvero perfetto. Io davanti correvo e attaccavo la profondità e loro due mi rifinivano il tutto. Si pensava con una testa sola e quando si recuperava palla era quasi una sentenza”.

Sulla stagione della retrocessione:

Ho trascorso i primi quattro anni a Cesena in una squadra che consentiva stagioni tranquille. La società quell’anno, invece, spese tanto ed arrivarono giocatori importanti. Fu una stagione particolare, ma quando si retrocede si commettono tanti errori. Tutti, me compreso, non demmo il massimo e, in quel caso, può capitare di arrivare fino a questo punto. Noi calciatori sicuramente, in quel caso, siamo stati i primi responsabili”.

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Trasferito al Brescia, ti ritrovi ad essere allenato da Materazzi, e con lui esordisci in A a San Siro. Che stagione è stata?

Ritrovarsi in uno stadio del genere all’esordio è un qualcosa di unico. Come detto prima, all’epoca rimanere in A era veramente dura. Quella era una squadra buona per mantenere la categoria, poi le cose non andarono esattamente come previsto e sperato”.

A Brescia hai avuto anche Baldini come allenatore: come sono stati i rapporti con lui?

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Più di una volta mi sono preso con lui perché sono una persona che, quando nota alcune cose, tende ad esplicitare il proprio disappunto. Il secondo anno è arrivato Sonetti, che ho incontrato anche in un secondo momento. In quell’occasione mi riconobbe una certa stima e la cosa mi fece molto piacere”.

Sul Brescia della promozione in A:

Eravamo un gruppo di amici che insieme stavano bene. Mi ricordo i ritiri in cui si stava insieme senza che la cosa pesasse in alcun modo. Oggi vedo più persone che pensano al proprio mondo e si concentrano sui like. Prima invece c’era molta più condivisione”.

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In A, con il Brescia, hai avuto modo di essere allenato da Mazzone e di giocare con un certo Roberto Baggio. L’impressione è che con lui, nonostante il grande rapporto umano, non ci sia mai stato feeling in campo. Cosa ci puoi dire a riguardo?

Io e lui andavamo d’accordo, non c’è mai stato alcun problema tra noi. Tatticamente cercavamo la palla diversamente, io più profondità e lui agiva più da sponda. Avevamo caratteristiche diverse ma entrambi volevamo il bene del Brescia. Quando lo avevi in squadra, sapevi di disporre di un vero e proprio jolly. Con lui, aumentava la possibilità di poter ribaltare le partite e la voglia di lottare. Dal momento in cui è stato presentato, sapevo che il Presidente gli avrebbe dato la fascia, ma era anche normale fosse così. In cambio, però, pretesi di calciare i rigori (ride ndr)”.

Quella stagione partì un po’ così, tanto che che la tifoseria contestò la squadra. Nel girone di ritorno, invece, faceste grandi cose.

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Eravamo diventati una squadra più da Serie A ed era lecito che i tifosi si aspettassero qualcosa in più. Non giocavamo male, ma i risultati non ci ripagavano. Poi facemmo un grande girone di ritorno”.

La vittoria in Coppa Italia contro la Juventus?

Mandare a casa una squadra del genere non è una cosa che capita spesso, è una piccola soddisfazione della mia carriera”.

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Su Pirlo:

Io l’ho vissuto quando aveva diciotto anni e faceva il trequartista; era un fenomeno e vedeva le giocate due secondi prima degli altri. Dopo due anni l’ho riavuto con Mazzone che ebbe quell’intuizione di metterlo in cabina di regia e fu la svolta sua e di tutti. Era il giocatore che con un passaggio ti portava in rete”.

La parentesi Piacenza ha, rappresentato forse una delle più grandi esperienze della tua carriera. Qual è stato il tuo segreto?

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Devo ringraziare innanzitutto Mister Novellino ed i miei compagni: è grazie a loro se ho fatto tanti gol. Ebbi la fortuna di non allontanarmi da casa e la mia vita rimase la stessa. Nello stesso tempo, trovai una squadra che faceva un gioco che mi piaceva e che era adatto alle mie caratteristiche”.

Su Poggi:

È stato un grande giocatore che ha fatto grandi cose. Apriva le difese e ti consentiva di fare tanti gol. Averlo vicino è stata davvero una fortuna”.

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Ti aspettavi qualcosa di più dalla Nazionale?

Dopo tanti anni penso che una presenza in amichevole me la meritavo. Non tanto per il Mondiale, perché davanti a me c’erano degli autentici fuoriclasse. Mi sarei aspettato, però, almeno qualche possibilità, ma pazienza”.

Ci puoi raccontare un po’ di quella tournée con il Milan? Come andò realmente?

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All’inizio non sapevo nulla di quella possibilità, lo sapeva soltanto il mio procuratore. Mi nascose questa cosa perchè avevamo una partita contro il Verona molto importante per la salvezza, che raggiungemmo. La domenica sera mi chiamò, mi fece i complimenti e mi disse che il giovedì sarei andato in tournée con il Milan. È stata una cosa bella perché ho avuto la possibilità di entrare in uno spogliatoio con tantissimi campioni. Quando sono arrivato, con addosso l’abbigliamento del Milan, è stato bello ma nello stesso tempo ne ho sentito il peso, considerato quel blasone. Furono giorni bellissimi in cui conobbi persone fantastiche”.

Tornato a Piacenza, la squadra era smantellata ed arrivò Agostinelli in panchina.

Quando si retrocede tutti sbagliano. Quello fu un anno particolare perché cambiarono tantissime cose e non rendemmo quanto avremmo dovuto. Verso la fine, arrivò Gigi Cagni e se il cambio fosse stato fatto prima, forse, avremmo avuto qualche possibilità in più a mio avviso”.

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Ritieni l’Ancona una scelta errata?

Quando ti guardi intorno, non sai mai cosa può succedere. Ricordando i tre anni a Fano, pensavo fosse l’ambiente giusto, ma le cose furono un po’ diverse da quelle inizialmente immaginate. Peccato perché si tratta di una grande piazza e, quando trovi certi problemi, sicuramente non rendi al massimo. Ho fatto quei quattro mesi che mi hanno insegnato tante cose”.

Nell’esperienza al Perugia hai avuto come compagno Gheddafi: ci puoi svelare qualche retroscena?

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Gheddafi è un ragazzo eccezionale, uno come tutti gli altri. Era bravo tecnicamente anche se fisicamente non era proprio il massimo. Lo trattavano come uno del gruppo senza alcun problema o preferenza”.

Da qualche settimana è uscita in libreria la tua biografia “Mi chiamavano Tatanka”: cosa ti ha spinto a scriverla?

A dire il vero non è stata una mia idea. Una mattina, Tiziano Marino mi ha chiamato, dicendomi che voleva scrivere la mia storia in un libro. All’inizio ero un po’ scettico perché non amo i riflettori, ma riuscì a convincermi e poi mi sono anche divertito. Quando inizi a raccontare le cose della tua vita è sempre bello. Mi sono divertito davvero tanto”.

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Ti ha un po’ pesato l’etichetta di calciatore con sigaretta e grappa?

Sinceramente no, era una cosa che mi andava di fare e non è mai stato un problema per nessuno se magari nello spogliatoio fumavo o bevevo della grappa”.

La tua ultima esperienza nel ‘grande calcio’ è stata a Mantova con Mimmo Di Carlo allenatore.

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È stata una bella esperienza perché c’era un bel gruppo composto da un mix di giovani e calciatori di esperienza. Ci siamo divertiti, abbiamo fatto bene e siamo riusciti ad andare in Serie B”.

Hai continuato a giocare in categorie inferiori: cosa pensi di aver dato ai giovani che hanno giocato con te?

Non credo di dover insegnare qualcosa agli altri, bensì dovevano essere furbi gli altri a guardarmi e ad apprendere il minimo particolare”.

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Sul soprannome Tatanka:

Era per il mio modo di correre che, in un certo senso, era simile al bisonte. È un soprannome che mi è sempre piaciuto”.

C’è qualche calciatore dell’attuale Serie A che ritieni interessante?

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Mi piace tantissimo Belotti perché difende bene la palla ed è uno che non molla mai”.

Consiglieresti a lui di tentare il salto in una grande squadra?

Un attaccante deve essere fortunato nel trovarsi in una squadra che gira. Quest’anno per il Torino le cose non stanno andando bene, ma in ogni caso lui non è diventato un brocco all’improvviso. Sono convinto che se il Torino ritornerà a fare bene, lui tornerà ai suoi livelli”.

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Sul futuro dei campionati:

Devo dirti che sono chiuso in casa da metà febbraio ed il calcio è l’ultimo pensiero che ho in testa. Trovo le polemiche un po’ stucchevoli, sento le sirene per strada in continuazione e c’è altro a cui pensare. Il calcio manca ma non è la priorità. Se la scienza riuscirà a dare delle garanzie, va bene e mi fa piacere. L’importante però è uscire quanto prima da questa crisi”.

Vuoi continuare ad allenare?

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In questo momento sono il Direttore Tecnico di una squadra di “ragazzi speciali” a Mantova. Collaboro con due ragazzi, Francesco e Simone, abituati a lavorare in questo ambito. Vedere questi ragazzi divertirsi e giocare è un qualcosa di grandioso”.

Su Sarri e Simone Inzaghi:

Stimo Sarri perché con lui a Napoli abbiamo visto il miglior calcio degli ultimi anni. Anche la Lazio di Inzaghi sta facendo cose grandiose e quando un allenatore fa bene è giusto che gli vengano riconosciuti i propri meriti”.

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Calcutta ti ha dedicato una canzone: che si prova ad essere protagonista di un pezzo di uno dei cantanti attuali più ascoltati?

Fa sicuramente piacere, ti rende orgoglioso. All’inizio non l’avevo capita molto bene ma ascoltandola meglio ne ho compreso il vero significato ed è una canzone che racchiude tantissimi valori. Appena sarà possibile, lo vedrò e andrò anche ad un suo concerto”.

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