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ESCLUSIVA #LBDV – Diego Armando Maradona JR #ACasaConVlad: “Voglio diventare allenatore. Non mi aspettavo che Ancelotti fallisse a Napoli”

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Ospite d’eccezione oggi alla nostra rubrica social #ACasaConVlad. Trattasi di Diego Armando Maradona JR, calciatore di beach soccer, medaglia d’argento dei Mondiali di categoria a Marsiglia 2008.

Di seguito riportiamo l’intervista completa.

Come stai vivendo questo periodo così difficile di quarantena?

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Diciamo che ho provato fin da subito a prenderla in maniera positiva. Ho studiato tanto, ho provato a stare di più coi figli che non riesco a vedere molto nella vita di tutti giorni. Adesso si sente il bisogno generale di ripartire e tornare al quotidiano. Per quanto riguarda la scuola calcio con cui lavoro, credo che ci vorrà ancora tempo, mentre la mia attività in radio non si è mai fermata e questo mi sta dando un’enorme mano”.

Tutti nel mondo del calcio sentono la necessità di ripartire. In queste ore la Serie A ha diramato un comunicato secondo cui tutte le squadre sarebbero d’accordo a riprendere: cosa ne pensi?

Non credo al fatto che tutti abbiano vogliano di ripartire. Troppe squadre hanno interesse a non ripartire secondo me. Prendi ad esempio la SPAL, che è ultima in classifica. Non le farebbe molto più comodo che la classifica si congelasse? In linea di massima, credo sia fondamentale dover ripartire per limitare il più possibile il buco economico che si verrebbe a creare: sarebbe una cosa che ammazza tutto il sistema. Bisogna però mettersi d’accordo e dare priorità assoluta alla salute, senza accelerare i tempi. Se un calciatore risulterà positivo durante la ripresa, si bloccherà di nuovo tutto. Cosa costa aspettare qualche settimana in più? Un ruolo fondamentale lo gioca anche la questione fisica. Non c’entra nulla il fatto che i calciatori guadagnino milioni; sono umani e hanno bisogno di riposare dopo un periodo intenso di sforzi. Oggi non vorrei essere nei panni di chi deve compiere queste scelte, la situazione è davvero complicata. Una soluzione, a mio avviso, sarebbe la creazione di playoff e playout: il calendario così andrebbe a snellirsi”.

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Ripercorriamo un po’ quella che è stata la tua carriera. Sei partito dalle giovanili nel Napoli e sei rimasto lì fino a quando la società è fallita. Questo ha pesato molto?

Con il senno di poi è sempre molto semplice parlare. A detta di tanti allenatori, ho fatto forse il 30-40% di quello che potevo. Mi piace ammettere che se non sono arrivato ad un certo livello è colpa mia, ma il contesto non mi ha dato i mezzi per esprimermi. Fino ad una certa età ho mantenuto le aspettative: a diciotto anni ero nella primavera del Genoa e spesso ero nella Top Undici della Gazzetta. Ero anche in orbita Nazionale e mi allenavo con la prima squadra. Ad un certo punto, ho incontrato un allenatore (Torrente, ndr.) che mi ha distrutto. Con gli allenatori in generale, però, ho avuto un rapporto abbastanza complicato. Nel calcio c’è molto ‘ego’ e tutti i tecnici vedevano in me la persona che, se avesse fatto bene, avrebbe tolto visibilità all’intero ambiente”.

Che esperienza è stata il Cervia?

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Fu un grande errore a mio avviso. Non era la scelta giusta, dovevo andare ovunque ma non lì. Dal punto di vista calcistico, si è trattato di una scelta disastrosa. Lasciai all’epoca una realtà che stava vincendo il campionato di Serie B per andare in Eccellenza. E’ vero che dal punto di vista umano ho avuto modo di conoscere molte persone, ma lì non stavo bene. Mi porto il rimorso di non aver seguito i consigli di chi mi spingeva a compiere altre scelte, in particolare la mia famiglia. Quando fai scelte sbagliate ad una certa età, le paghi. Poi ci fu l’occasione di Venafro, dove ebbi anche un’offerta da una squadra di C. Scelsi di andare a Gaeta ma le parti non si misero d’accordo: arrivammo ad inizio agosto, non se ne fece nulla e faticai a trovare una squadra. Ad un certo punto mi arresi. Se però ho continuato a giocare a calcio è perché amo questo sport ed ho ritenuto sempre una fortuna poterne farne parte, a prescindere dalla categoria”.

Un allenatore con cui sei andato d’accordo?

Ricordo tre allenatori: Ciro Morosetti che mi prese dopo l’esperienza di Cervia. Non ho giocato sempre sotto la sua guida ma ho iniziato a ricredere in me stesso con lui. L’altro è Franco Castellano. Mi diceva: “Sei un calciatore di un’altra categoria e puoi fare ciò che vuoi per me”. Ripagai la sua fiducia, tant’è che tornai a fare tredici gol. E poi Corrado Urbano che mi ha sempre voluto portare con lui nelle sue esperienze successive a quella del Venafro”.

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Con il Beach Soccer ti sei tolto le tue soddisfazioni: su tutte, il titolo di vice campione mondiale nel 2008.

E’ uno sport molto più faticoso. E’ stata un’occasione presentatasi per caso, come tutte le cose belle della vita. Magrini mi seguiva e fu lui a chiamarmi. Mi disse: “Secondo me, tu puoi fare la differenza perché questo è lo sport che ti può far togliere qualche soddisfazione”. Provai, nonostante il mio scetticismo, e mi piacque. E così intrapresi quest’esperienza che mi ha dato parecchie soddisfazioni”.

Sei stato anche nell’AfroNapoli (squadra multietnica fondata per la lotta al razzismo, ndr). Com’è stata come esperienza?

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E’ stato un anno complicato dal punto di vista tecnico: ho giocato molto meno di quanto meritassi. Dal punto di vista umano, invece, è stata una bella esperienza. Io amo tanto l’integrazione e sono stato sempre molto favorevole allo scambio culturale, anche perché altrimenti non starei qui (ride. Ndr) perché mio padre non sarebbe venuto a Napoli. Abbiamo vinto e ci siamo divertiti. Mi sarei potuto magari divertire di più, però purtroppo le cose non vanno sempre come dovrebbero”.

Hai avuto la possibilità di allenarti con il River Plate, squadra per la quale tifi, tra l’altro. Ci puoi raccontare com’è andata?

Stavo anche per impegnarmi contrattualmente con loro, però alla fine non se ne fece nulla. Conobbi personaggi come Simeone: fu una bellissima esperienza e sono molto contento di averla fatta. Sono tifoso del River e molti stupidi pensano che io tifi River per fare un torto a mio padre (che tifa Boca, ndr.). La mia passione è nata per l’ammirazione nei confronti di Pablo Aimar”.

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Cosa vuole fare Diego ‘da grande’?

Io spero di fare l’allenatore. Sto studiando per riuscirci e ho già avuto delle esperienze positive”.

Modello a cui ti ispiri?

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A me non piace fare riferimento ad un solo allenatore, perché credo limitante sposare soltanto un’idea. E’ un lavoro complicato che richiede molti sforzi. Soprattutto approcciarsi in certi contesti non è semplice. Quando gli allenatori in uno spogliatoio dicono: “Per me siete tutti uguali e sarete trattati in egual modo”, non mi trovo d’accordo. Non sono dell’opinione che gli allenatori debbano soltanto trasferire concetti tattici, ma bisogna adattarsi alla psicologia dell’atleta. I calciatori non sono stupidi e percepiscono perfettamente la realtà. La cosa fondamentale è essere credibili dentro e fuori dal campo. Nello spogliatoio devi essere credibile con le tue idee di gioco, mentre all’esterno devi essere corretto e coerente”.

Un’opinione su Carlo Ancelotti: ti aspettavi fallisse in questo modo?

Non me l’aspettavo, anche se il primo anno ha fatto il massimo possibile, arrivando al secondo posto. Non mi aspettavo tutte quelle diatribe nello spogliatoio, visto che questo forse è il punto forte dell’ex Milan”.

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Su Gattuso:

Mi piace molto perché mi piace la sua idea e quello che trasmette alla squadra. Si parla molto della questione Ospina – Meret. Bisogna tener conto che oggi il portiere è anche un calciatore di movimento e non deve soltanto parare. Non mi scandalizza il fatto che Ospina sia titolare, perché è quello più adatto alle caratteristiche del gioco che chiede l’allenatore. E poi, non dimentichiamoci che lui ha un’esperienza internazionale alle spalle incredibile, non è l’ultimo arrivato. Ciò non toglie che Meret sia un portiere di livello e la fortuna del Napoli sta proprio nell’avere due portieri così forti”.

Per concludere, un ricordo legato all’avvocato napoletano Enrico Tuccillo, scomparso poco più di una settimana fa e che è stato importante nella tua vita:

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Nonostante siano passati una decina di giorni, faccio ancora tanta fatica a parlarne perché è una persona che mi mancherà tanto. Ha lottato spalla a spalla insieme a me per ottenere quello che volevo da anni. Il cognome l’ho avuto grazie a lui. Io con lui mi confidavo, parlavamo anche quando non eravamo d’accordo e questo è stato importante per me. Era una persona disponibile al massimo, mi ha ridato la dignità e mi ha fatto sentire un figlio di Napoli”.

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