I nostri Social

Approfondimenti

#LBDV – Ricardo Kakà, il brasiliano “poco” verdeoro

Pubblicato

il

Tempo di lettura: 3 minuti

Trentotto anni, per Ricardo Izecson dos Santos Leite. O meglio, per Ricardo Kakà. Il brasiliano meno brasiliano di sempre, tanto diavolo in campo quanto ingenuo fuori. Lontano anni luce dalla cultura pop calcistica che si andava affermando in quegli anni – e di cui oggi si raccolgono i frutti, Kakà ha reso ancor più chiaro, se ce ne fosse bisogno, di come un singolo calciatore possa far innamorare una intera tifoseria.

Kakà, lo “scolaro” che non ti aspetti

Un universitario: così fu definito da Carlo Ancelotti, che se lo vide presentare a Milanello in una calda giornata d’agosto del 2003. Vestito per bene, senza un pelo fuori posto, con l’acconciatura da scolaretto e gli occhiali: cosa ci faceva uno così in mezzo al campo, Carletto non lo sapeva. Come, del resto, non si aspettava minimamente che quel ragazzo in Erasmus sarebbe stato capace prima di vincere uno spalla a spalla con Gattuso, e poi di portare negli anni il Milan a vette incredibili.

Non è la solita storia brasiliana, quella di Kakà: non ha mai subito la fame, la sete o la povertà. E’ nato nel ceto medio, circondato dagli affetti; forse, è proprio per questo che non ha mai ceduto alla tentazione dell’essere un giocoliere, prima che un calciatore. E, se a ventuno anni sei un brasiliano di spessore più che di dribbling, ma capace di segnare dieci goal in campionato alla tua prima stagione in rossonero, nessuno può dirti nulla.

Pubblicità

Dalla Champions al Pallone d’Oro: la stella rossonera

Forse, l’icona più emblematica del Milan del primo decennio duemila è proprio lui, Kakà. In una squadra di fenomeni era l’elemento imprescindibile, fondamentale tanto nel gioco quanto nella mentalità del Milan di Ancelotti. E’ fu dimostrato a chiare lettere – e risultati – durante la stagione 2006/07. Quella della Champions’ League. 

Tra goal – dieci, in tutta la competizione – e assist – quello del due a zero contro il Liverpool per Inzaghi, Kakà ha reso note le sue qualità a tutto il mondo. Chiunque, da quel momento in poi, avrebbe pensato ad Atene 2007 ammirando il Milan di Inzaghi, di Pirlo, di Shevchenko, ma soprattutto di Ricardo Kakà. Prestazioni superbe che, di fatto, gli garantirono la vittoria del Pallone d’Oro.

Eppure, il calcio stava per cambiare.

Pubblicità

Il richiamo dei Galacticos e una carriera “differente”

Le seguenti stagioni in maglia rossonera non hanno fatto altro che confermare il talento cristallino di Kakà che, ormai, era passato dall’essere un ragazzino perbene ad un calciatore maturo. Duecentoventitré gare, settantasette goal e sessantatré assist con la maglia dei rossoneri per lo smoking bianco: numeri da capogiro, numeri da fenomeni assoluti.

Ma nel calcio cominciavano, pian piano, a farsi strada i grossi investitori, con tanti soldi e contratti milionari. Chiunque sapeva che, prima o poi, avrebbero bussato anche alla porta del Milan. 

Ci prova prima il City, offrendo al Milan 120 milioni di euro, ma Kakà rifiuta, scegliendo col cuore. Lo stesso cuore, però, non lo seguirà più in estate, quando il Real Madrid, in piena rifondazione, lo cerca. Dirà di sì, Kakà: forse in cerca di nuove avventure, stimoli e quant’altro. Farà parte del nuovo organico dei Galacticos, pronti a fare macerie delle avversarie e vincere ogni competizione.

Pubblicità

Qualcosa, però, non convince Kakà. Lo si capisce subito: tutti i compagni sono più belli che performanti, preferiscono le telecamere al campo d’allenamento. Sembra più un reality show, che un team affiatato: una composizione di singole bellezze slegate tra loro. Un mondo in cui, ovviamente, Kakà non si trova a suo agio. 

In campo ci andrà sempre meno spesso, nonostante riesca, in tre anni, a giocare ottantacinque partite con la camiseta blanca. Difficilmente, però, gli usi e i costumi possono cambiare tanto radicalmente, e da quel posto Kakà avrebbe fatto volentieri a meno.

Il ritorno “a casa”: Milano, San Paolo e l’avventura americana

Adriano Galliani fiuta le difficoltà del brasiliano e lo riporta a Milano, nel 2014. Sarà per un solo anno, è vero, nel quale Kakà non riuscirà più a ritrovare la brillantezza che lo aveva contraddistinto nel recente passato; sarà, però, anche l’anno dell’amore ritrovato, del pubblico rossonero che ha potuto, finalmente, riabbracciare l’idolo tanto pianto al suo addio. 

Pubblicità

Ritorna a casa propria l’anno successivo, in quel San Paolo che lo aveva lanciato e dove, come un po’ tutti i brasiliani di fatto, avrebbe voluto chiudere la sua carriera. Ormai, del Kakà del primo decennio rimanevano solo gli sprazzi del campione, quei piedi non seguiti dal corpo – meno che mai da quel menisco fratturato in Spagna. Ma la classe, il talento emergeva ogni volta che poteva, per rendere l’immagine di un brasiliano atipico, di spessore, di grazia. Poco giocoliere, tanto pragmatico. In un due sole parole: Ricardo Kakà.

Pubblicità
Pubblicità

in evidenza