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ESCLUSIVA #LBDV – Schwoch #ACasaConVlad: “Napoli è stata la mia Serie A. Meritavo qualche chance nella massima serie”

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Primo ospite di oggi all’interno del nostro spazio social #ACasaConVlad è Stefan Schwoch, ex bomber di Napoli e Vicenza, tra le altre.

Di seguito riportiamo le sue dichiarazioni, rilasciate nel corso della diretta in compagnia dell’editore de ‘Le Bombe di VladFrancesco Romano:

Prima di iniziare a parlare della tua carriera, lunga venti anni, ti pongo una domanda in merito all’affetto che i tifosi del Napoli ti dimostrano da sempre. Secondo te perché c’è questo legame così forte?

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“Ho sempre avuto difficoltà a spiegarmelo anch’io. È stato amore a prima vista, sbocciato in un mercato di riparazione con una trattativa portata a termine in due, tre giorni. È sempre stato apprezzato il fatto che io abbia sudato la maglia e che abbia difeso l’ideale di una città forse bistrattata ingiustamente. Napoli mi tratta come se giocassi ancora lì: quando sono in città, anche oggi, i tifosi mi chiedono ancora le foto e sto ricevendo forse più di quello che ho dato. Vincere lì è stata una soddisfazione incredibile, è stata la mia Serie A”.

Hai cominciato in C2 nelle fila della SPAL e non hai iniziato a giocare da attaccante:

“È stato un anno particolare. Andai alla SPAL nella trattativa che coinvolgeva un altro calciatore. Giocai poco e quando si fece male il terzino sinistro, mi proposi per quel ruolo perché avevo voglia di giocare. Segnai anche un gol, ma ripropormi poi come attaccante è stato difficile. In quell’anno ho appreso il più possibile per migliorare il mio bagaglio tecnico”.

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Nella stagione 94-95, anno della tua stagione a Livorno, ti consacri come attaccante, segnando 19 reti in 33 partite e sfiorando la promozione nei playoff.

“Ricordo che era una piazza difficile e con grandi pretese. Per questo c’era molta pressione. Partimmo bene, poi ci furono molti cambi di panchina. Nonostante ciò, riuscimmo ad andare ai playoff, ma fummo eliminati nelle semifinali. E’ stato il primo anno dove ho segnato molto e lì è iniziata la grossa ascesa. Finita quell’annata lì andai a Ravenna, società che cercò di prendermi ad ogni costo”.

A Ravenna segni 21 reti in 33 gare e le cose vanno molto bene.

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“Soltanto dopo ci siamo accorti che quella era una squadra davvero forte. Facemmo un campionato travolgente con una società strutturata in maniera importante e che non badò a spese quell’anno. Era un gruppo unito e c’era un legame anche al di fuori del campo. Così facendo, è difficile non fare risultato”.

Dopo arriva il Venezia di Zamparini dove incontri Walter Novellino, che porterà la squadra in A dopo 31 anni.

“Già l’anno prima avevo Novellino a Ravenna e già si era creato un certo feeling. Il presidente fece una grande campagna acquisti, voleva sempre vincere. Riuscimmo a partire molto bene, vincemmo sette, otto partite di fila e andammo in A disputando una stagione importante. Facemmo risultati in campi difficili e salimmo insieme a Salernitana e Perugia. Ci fu una festa sul Canal Grande, fu un susseguirsi continuo di emozioni”.

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Nel dicembre del ’98 arrivi a Napoli, e qui inizia quella che tu hai definito prima ‘la tua Serie A’. Non era una grande stagione per il Napoli, reduce da una retrocessione molto pesante. Com’è stato l’impatto?

“Arrivai il 30 dicembre. Non ero stato mai a Napoli e la città mi fece subito una bella impressione. A Soccavo c’era tanta gente e morivo dalla voglia di giocare al San Paolo. Questo stadio l’avevo sempre visto da fuori e volevo essere protagonista in un ambiente del genere. La mia avventura iniziò bene anche se la stagione non finì nel migliore dei modi. Non sempre si può fare risultato, pur stando in una squadra importante. Andavamo anche d’accordo nello spogliatoio, ma nel calcio sono soltanto tre le squadre che possono salire ed in quell’anno furono gli altri a meritare la promozione. Dovevamo rincorrere chi stava davanti e non era semplice: bastava un errore per fare passi indietro. Ma quei primi sei mesi mi aiutarono a farmi conoscere la piazza”.

L’anno successivo il Napoli diventa una squadra che un po’ tutti gli addetti ai lavori ritenevano favorita per la promozione. In particolare nel cuore porti il gol contro la Pistoiese.

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“Quello che ho fatto a Pistoia fu un qualcosa di incredibilmente appagante, perché è stato il coronamento di sacrifici fatti fino ad allora. Insieme al gol segnato nel derby vicentino anni dopo, è la rete che porto più nel mio cuore”.

Quando il Napoli salì in A, cominciarono a girare le voci di mercato. Ci fu l’ingresso di Corbelli in società e c’era la convinzione che la società partisse comunque dalla tua figura, ma così non è stato. Cosa successe?

“Quando finì il campionato, avevo il contratto in scadenza e mi aspettavo una chiamata e la società mi rassicurò. Dopo un paio di giorni a casa, mi contattò il mio procuratore che mi disse che mi avevano venduto al Torino. Ero arrabbiatissimo ma, col passare degli anni, capii che la società era in difficoltà e che undici miliardi per un trentunenne non potevano essere rifiutati. Io sono una persona che, quando non sente di essere voluta, toglie il disturbo. Do tutto me stesso e mi aspetto che la cosa sia reciproca. Non parlo ovviamente dei tifosi, ma parlo della società che fece altre scelte”.

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Vai a Torino, con i granata appena retrocessi. Ferrante sembrò chiuderti un po’ lo spazio in quella squadra.

“Io e Marco all’inizio giocavamo insieme perché Gigi Simoni faceva il 4-4-2, poi arrivò Camolese e giocammo con 4-3-3, in cui venni provato da esterno. Dopo la partita col Cittadella, chiesi a chi di dovere di non farmi giocare più in quel ruolo. La richiesta fu accolta, ma entrai in concorrenza con Ferrante. In quel gennaio andarono via calciatori che creavano problemi allo spogliatoio e, ristabiliti certi equilibri, arrivarono pure i risultati. Infatti da terzultimi arrivammo primi addirittura”.

Poi arriva l’epopea vicentina di Schwoch. Otto anni di militanza in cui sei diventato il quarto goleador della storia del Vicenza. E’ un periodo importante ed è una realtà che ti è entrata sottopelle.

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“Esperienza bellissima. Quello, nel contempo, è anche il cruccio della mia carriera perché non siamo andati in A. I primi anni avevamo una squadra incredibile e non riuscimmo a centrare l’impresa. E’ la città dove vivo, dove è nato il mio terzo figlio. Insieme a Napoli, è la squadra a cui sono più legato. Sono calorosi, ma in giro ti lasciano tranquillo, a differenza di quanto succede a Napoli. Quando una persona fa una scelta, deve essere consapevole e speravo anch’io di entrare nei cuori dei tifosi azzurri. Non tutti vengono fermati per strada a Napoli e quando questo succede ti fa capire quanto amore ti può essere dato. Spero che anche a ottanta anni mi fermeranno, perché allora significherà che il ricordo è sempre vivo. A Napoli non è questione di essere solo calciatori, ma bisogna considerare l’ambiente a 360°. Vicenza è più tranquilla, però la domenica si trasforma in qualcosa di bello: il Menti è sempre pieno e caloroso. Non ti lascia mai solo e, in un certo senso, Vicenza e Napoli hanno una cosa in comune: entrambe guardano la forza morale, ancor prima del tuo tasso tecnico”.

In passato hai dichiarato che, ogni qualvolta sei andato via da una squadra, lo hai fatto sempre malvolentieri. Questo spiega molto del tuo carattere empatico.

“Sarebbe stato da pazzi scegliere una squadra in cui potevo immaginare di stare male. Sì, è vero, non sono mai andato a giocare in un posto dove non volevo andare e quando sono andato via da una squadra l’ho fatto sempre a malincuore. Quando sposi una causa, devi avere rispetto massimo e trattarla come la maglia più importante del mondo”.

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Credo che tutti, addetti ai lavori compresi, avessero presente il tuo valore tecnico. Come mai in Serie A ci sei stato così poco?

“I motivi possono essere tanti. Ho sempre detto quello che penso e per questo sostengo che qualche errore lo abbia fatto anch’io, ma credo ne abbiano fatti più gli altri. In Serie A ci sono andati calciatori che hanno fatto un terzo dei miei gol, quindi qualche occasione la meritavo. Anche se mi ritengo fortunato di aver fatto questo lavoro: ti fa divertire, ti consente un futuro di un certo tipo e ho sempre dato il massimo per questo”.

Si fa un gran parlare della differenza tra calcio ed altri sport riguardo la ripresa dei vari campionati. Qual è la tua posizione in merito?

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“Sono uno di quelli che dice che il calcio deve riprendere. Ma non dobbiamo pensare che il calcio abbia corsie preferenziali. Noi parliamo della seconda azienda più grande d’Italia ed in quanto tale tiene in vita anche gli altri sport. Ripartire non è una mancanza di rispetto per chi purtroppo non c’è più, ma si tratta di tornare quanto prima alla normalità. Se c’è qualche possibilità, nella piena sicurezza per tutti, possiamo dare anche una mano a chi sta a casa adesso. In tutta Italia ci si è comportati bene, senza alcuna distinzione tra Nord, Centro e Sud. Su quest’ultimo aspetto, molto ci sguazzano in maniera irresponsabile. Quando si vivono certi momenti, bisogna fare dei sacrifici. Anche terminare i campionati sarà un sacrificio. Ciò si rende necessario perché se non si porta a termine questa stagione, non si hanno garanzie sull’inizio della stagione successiva. Si deve fare uno sforzo almeno tra A e B, dove ci sono interessi troppo grandi”.

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