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CORNER CAFE’ – Lozano, il Napoli e la caccia all’untore
Mettetevi nei panni di Hirving Lozano, un ventiquattrenne messicano che arriva, per la prima volta in carriera, in un vero e proprio top club. L’esperienza in Olanda lo ha avvicinato al calcio europeo, tanto simile nel nome quanto diverso nei contenuti rispetto a quello sudamericano. Arriva la chiamata del Napoli, e Lozano non può che accettare: diamine, chi rifiuterebbe?
Arriva, ma la situazione puzza già: la squadra è spaccata, anche se non si vede chiaramente; Lozano perde, di fatto, l’iter corretto da seguire, impelagato com’è in una situazione a lui totalmente estranea. Il Napoli dà, inizialmente, l’impressione di funzionare comunque, e lui riesce ad esprimere le sue qualità. Per poco, però: la pericolosa polveriera, di cui si sentiva solo l’odore della polvere, deflagra clamorosamente. Lo spogliatoio si rompe, il presidente multa chiunque; l’allenatore viene cacciato, al suo posto ne arriva un altro, discepolo del primo per anni ma di cultura di gioco totalmente diversa. Il messicano si ritrova costretto ad un cambio di rotta totale, dove ognuno pensa a se stesso: chi vuole scappar via al più presto, chi vuol rimanere con riserva – si legga: garanzie. Lui, Lozano, diventa l’untore: quanto è costato? Quanto a reso? Ci si scaglia, affannosamente, contro di lui, capro espiatorio di una squadra che, nell’insieme, ha molte più colpe del singolo. Sopratutto di quel singolo.
Tempo di primavera, tempo di (pre)mercato. Non so quanti ne ho letti, di articoli su una sua cessione; un vaso di pandora in eccesso: se va via, meglio. Eppure, mettetevi nei panni di Lozano e capirete che modi per esprimersi, lui, non ne ha avuti. O ne ha avuti molto meno di altri che, nonostante una stagione fallimentare, hanno fatto lo stesso poco o nulla. Siamo sicuri sia corretto, non dargli una seconda possibilità?