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ESCLUSIVA #LBDV – Antonio Floro Flores: “Da bambino non sognavo la nazionale ma il Napoli”
Oltre alla rubrica in live su Instagram, #ACasaConVlad, in cui abbiamo intervistato tantissimi nomi noti del mondo del calcio, siamo riusciti a contattare anche un ex attaccante di Serie A: Antonio Floro Flores. L’ex Udinese e Sassuolo ha concesso un’intervista ai microfoni di LBDV, in cui ha ripercorso il suo passato, il suo presente e cercato di pianificare il suo futuro:
C’è qualcosa che sin da ragazzino ti ha spinto ad intraprendere la carriera di calciatore?
“La passione. Il calciatore non è come un lavoro in cui tu scegli cosa fare. Il calciatore è una cosa che viene da sé, ci nasci; è una passione da coltivare. C’è chi ha la fortuna di intraprendere questo percorso e chi invece, ahimé, non è così fortunato. Il mio istinto mi ha portato a seguire questa strada, in famiglia non avevo nessuno che appartenesse a questo mondo”.
Giocare per la squadra della propria città ha sempre una sapore particolare. Come hai vissuto la tua esperienza a Napoli?
“Ero spensierato all’inizio perché per me era un mondo nuovo, quindi non avevo pressioni. Quando poi ho fatto il mio debutto ho capito quanto valesse quella maglia per una città intera; una città in cui c’è gente che lascia la propria famiglia la domenica per andare allo stadio. Inizi a vedere il calcio con occhio diverso, inizi ad essere responsabile nei confronti di quella città che vuole tanto da te. Soprattutto perché passi dallo stare in curva al calcare il campo; vieni catapultato in un mondo che non conosci. Ad inizio ritiro ero emozionato perché avevo incontrato persone che fino ad allora vedevo solamente in televisione. Fino ad un mese prima speravi anche solo di farti dare una maglia da quei calciatori e poi con loro inizi ad allenarti. Da bambino non sognavo di giocare in nazionale ma nel Napoli. E quando si è avverato sono stato l’uomo più felice del mondo. E ricordo tutto di quel momento, l’inizio e persino l’addio in malo modo. Ma se non vivi quelle esperienze è difficile raccontarle”.
Con l’Arezzo raggiungi il record personale di gol (17) in una singola stagione. Come sono stati i due anni in Toscana?
“Prima di andare da Arezzo sono stato a Perugia, anche lì un fallimento come a Napoli. Era un periodo in cui non percepivo uno stipendio, stava nascendo mia figlia, avevo un mutuo, ma cose che senza uno stipendio per sei mesi diventano pesanti. Ero spaventato ma allo stesso tempo sicuro di poter dare un grande contributo all’Arezzo. Il primo anno siamo stati vicini ai playoff; il secondo anno ci sono stati problemi legati ad anni precedenti al mio approdo, che riguardavano il calcio scommesse, quindi siamo partiti con sei punti di penalizzazione ma avevamo due allenatori come Sarri e Conte. Due anni che mi hanno segnato, perché mi hanno lanciato nel calcio che conta”.
Infatti poi arriva l’Udinese, la permanenza più lunga in uno stesso club, torni in Serie A e giochi in Coppa UEFA segnando anche un gol. Come sono stati quegli anni in bianconero?
“È stata un’esperienza devastante. Giocare in Europa ha un sapore diverso: competi con giocatori di altre nazionalità, vedi altre culture. Se potessi tornare indietro farei molto di più di quanto ho fatto per cercare di giocare il più possibile in Europa. A volte però non si ha la maturità per essere preparati per quelle tipologie di partite. Ho anche segnato in alcune partite ma entrambe le volte in cui siamo qualificati in Champions sono stato infortunato. Qualche soddisfazione sono riuscito a togliermela, come il goal al Dortmund ma sono comunque contento di ciò che ho fatto”.
A proposito di bianconero, in una recente intervista hai dichiarato di aver rifiutato la Juventus. A distanza di tutti questi anni hai dei rimorsi?
“No, nessuno. La mia scelta si era basata sulla mia volontà di giocare a calcio, essere più presente in campo, e non andare alla Juventus per fare il tappabuchi. Se avessi avuto la possibilità di andare lì come titolare non avrei mai rifiutato poiché la Juve è comunque un grande club, che punta sempre a vincere. Per me, quindi, sarebbe sicuramente stata una grande esperienza. In quel momento sentivo, però, di voler giocare. Ero all’Udinese con Sanchez e Di Natale e volevo dimostrare di essere parte di qualcosa di altrettanto grande. È stato semplicemente un rifiuto basato su una ricerca di continuità”.
In Spagna, al Granada, la tua unica esperienza fuori dall’Italia. Che differenze hai notato tra i due campionati?
“Il modo di giocare ma soprattutto di vivere il calcio. Ci sono meno pressioni, non ci sono molti ritiri. Per farti un esempio: preliminari di Champions League, Arsenal-Udinese. Loro avevano la musica ad alto volume e noi Guidolin che tremava di paura (ride, ndr). Questo per far capire che da noi il calcio è vita, negli altri paesi è solo un gioco e così dovrebbe essere per tutti. Altrove non esistono risse tra tifosi nonostante le rivalità ma vivono comunque questo sport in modo impeccabile. Anche quando abbiamo perso tante partite i tifosi non si sono mai presentati allo stadio per fischiarci”.
Torni in Italia, Genoa poi Sassuolo. Con i neroverdi la tua rete contro il Napoli senza esultanza. Cosa porta un calciatore a non esultare contro una sua ex squadra?
“Sicuramente il rispetto, soprattutto per ciò che c’è stato in precedenza. Poi nello specifico io ero un tifoso del Napoli, quindi sarei andato contro i miei principi. Ad esempio però anche contro il Genoa non ho esultato, perché personalmente avevo rispetto per quei tifosi mi hanno dato in quegli anni. Per il Napoli è stata una questione di attaccamento e anche per i tifosi, perché nel mio periodo in azzurro non sono mai contestato”.
L’ultimo anno invece lo passi alla Casertana. Cosa ci puoi raccontare della tua prima esperienza in Serie C e del rapporto con la città di Caserta?
“In Serie C, i tempi e i ritmi del calcio sono diversi. Sarò sincero, inizialmente non ero convinto di voler andare in C e qualora avessi accettato l’idea sarebbe stata quella di ritornare all’Arezzo. La Casertana però mi aveva proposto un gran progetto, almeno per come si prospettava. In seguito ci sono stati diversi problemi anche con il direttore e l’ambiente si è un po’ demoralizzato. Potevo fare molto di più ma se non si vince è perché qualcosa alla base non funzionava. Da un’annata che doveva essere strepitosa, è stata fallimentare. Per il resto, della città ho un bellissimo ricordo. Quando ho voluto lasciare il ritiro non c’è stato alcun tipo di problema; inoltre quando sono ritornato ho ritrovato un gruppo diverso ed un allenatore con una grande grinta. A quel punto mi sono detto: «Perché non rimanere?!». Sono rimasto volentieri ma i problemi fisici si sono frapposti alle mie volontà e sarebbe stato anche una mancanza di rispetto nei confronti di chi mi sostiene. A causa degli infortuni non ero più contento di giocare e non volevo rovinare un ambiente pulito. Ho sempre pensato che appena avessi smesso di provare le stesse sensazioni che avevo a 16 anni, mi sarei ritirato e così è stato”.
Con la Casertana sono 11 le squadre in cui hai militato. Qual è quella in cui ti sei sentito calcisticamente più a tuo agio?
“In venti anni di carriera non si può pretendere di essere sempre al top. Sono stato bene quasi in tutte, tranne magari alla Sampdoria, oppure dopo Chievo perché l’ambiente non mi piaceva. Al Granada forse non ero ancora pronto: una lingua diversa, poi avevo anche i miei figli piccoli. Invece al Genoa, Sassuolo, Napoli e al Bari ho passato momenti fantastici. Anche al Perugia, nonostante non abbia ricevuto lo stipendio per alcuni mesi, siamo riusciti a raggiungere le finali di playoff. Sono contento anche di finire la carriera a Caserta. Sembra banale ma difficilmente mi sono trovato male in una squadra. Quando ti dicono che sei una bella persona è come una vittoria, perché il calcio prima o poi passa. Forse Napoli ma perché, ripeto, è indiscussa: lì ci sono nato”.
Da calciatore, come hai vissuto le sessioni di calciomercato? Ci sono degli aneddoti che puoi raccontarci sulle tue cessioni?
“Per un attaccante ogni volta che iniziava il calciomercato c’era già qualche squadra pronta a volerti. Sapevi che comunque poteva accadere qualcosa: magari non ti sentivi più adatto in un luogo. Come l’ultimo anno al Sassuolo in cui non me l’aspettavo; ma quando il volere della società collima con il proprio non c’è molto da fare ed è giusto rispettare le scelte altrui senza creare ulteriori problemi”.
Dopo l’addio al calcio giocato, stai già pensando al tuo futuro? Quella di allenatore può essere un’opzione?
“Sto studiando, mi piacerebbe tanto. Ci sono tanti ostacoli ma aspetto la giusta occasione per partite. Qualsiasi sia il punto da cui partirò, tenendo conto del mio passato, la mia unica ambizione sarà quella di vincere. Se non c’è un progetto che mi permette di fare il mio lavoro, non ho alcuna intenzione di iniziare. Quello dell’allenatore è un ruolo complesso, che va rispettato. Da calciatore lavori per te stesso; da allenatore devi lavorare su altre venticinque persone”.
Facciamo fantacalcio: in una top 11 con Floro Flores punta, chi sarebbero gli altri 10 calciatori con i quali hai giocato che schiereresti?
“Sono tanti, devo pensarci bene (ride, ndr). Sicuramente un 4-3-3 con: Handanovic; Paolo Cannavaro, Acerbi, Vrsaljko, Peluso; Matuzalem, D’Agostino, Inler; Sanchez, Quagliarella, Floro Flores. Ci tengo a precisare che Matuzalem è il più forte con cui abbia mai giocato”.