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LEVA CALCISTICA ’68 – Auguri Palo ‘e Fierro

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La miopia  è una vera scocciatura. Soprattutto per chi, come me, ci convive dalla tenera età di sette anni. Eh si … presi gli occhiali come un nuovo gioco, al punto da non staccarmene più. Chissà se avessi seguito i dettami medici usandoli solo quando necessario: magari oggi non sembrerei Mister Magoo. Ma tant’è.

Però a pensarci bene una volta mi è tornata utile.

Era l’autunno del 1982 e, in qualità di “Giovanissimi” della S.S.C. Napoli, mi aggiravo ramingo nei meandri della pancia dello Stadio San Paolo. Il giovedì avevamo l’onore di allenarci nel Tempio, spesso in contemporanea con la prima squadra.

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Quel giorno avevo fatto tardi e i compagni erano già tutti in campo. Ovviamente gli occhiali rimasero negli spogliatoi e con loro la mia vista. Trotterellando nei semibui corridoi alla ricerca del passaggio che portava alle scalette, mi accorsi che stavo andando incontro ad un gruppetto di persone non ben definite. Man mano che mi avvicinavo, si delineavano i contorni, ma non riuscii a mettere a fuoco subito, concentrato come ero alla ricerca del “passaggio perduto”.

Passai davanti ad un paio di volti; ora sì, li vedevo chiaramente, volti noti.

Un tipetto sulla destra, della mia altezza, sguardo e postura tristi, ricciolino e con baffoni. Il piedino 39 ne certificava l’identità: Massimo Palanca, il colpo di mercato dell’estate.

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Alle sue spalle un lungagnone filiforme: Raimondo Marino, che chiacchierava con un altro con un volto da contabile piemontese, Mario Guidetti.

Rallentai e allungai lo sguardo ed ebbi la certezza di essermi perso quando vidi i lineamenti da scugnizzo di Gaetano Musella che stridevano con le reali fattezze di Sua Maestà Rudolph Joseph Krol.

Mi pietrificai all’istante quando sentii sulla spalla sinistra una tenaglia.

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“Dove stai andando?”

Mi voltai e mi sembrò di stare innanzi ad un totem scolpito nella pietra. Era possente e i muscoli guizzavano finanche dalla mascella quadrata. Gli umidi ricci neri come la pece, che gli ricadevano sulla fronte, accentuavano lo sguardo truce. Il portamento era quello di un fiero guerriero spartano, l’espressione dipinta in volto era quella di chi voleva una risposta, e la voleva subito.

“Io.. ehm.. – biascicai qualcosa tipo – scale… campo..”

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“Torna indietro. Cinquanta metri sulla sinistra!”: fu la risposta lapidaria.

Era Palo ‘e Fierro, al secolo Giuseppe Bruscolotti da Sassano. Colui che sarebbe diventato un grande Capitano e Bandiera della mia squadra del cuore. Uno dei più grandi difensori puri del calcio italiano. Era sempre quello preposto a marcare il giocatore più forte della squadra avversaria, e smetteva solo quando lo vedeva rientrare negli spogliatoi. Forse.

Insieme a Mary, la moglie, costruì quello che ogni team vincente che si rispetti deve avere obbligatoriamente: lo spirito di squadra. Ci riuscì con delle leggendarie cene che coinvolgevano tutti, compagni e staff.

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Insieme a Bagni, in quel di Vietri sul Mare, mise in chiaro alcune cosette con l’Extraterrestre di Lanus, che forse non aveva ben compreso cosa significasse il calcio per Napoli.

Insieme ai suoi compagni e a tutti i napoletani visse il più bel sogno per chi veste la maglia della propria squadra del cuore.

Il 10 maggio del 1987 probabilmente lui era quello più emozionato e commosso della rosa. Aveva donato la fascia di Capitano a Diego strappandogli la promessa, poi mantenuta, del tricolore.

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Ma il vero Leader e Capitano era lui: Giuseppe Bruscolotti da Sassano.

Buon compleanno totem.

Buon compleanno Palo ‘e Fierro.

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