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Moggi, il figlio polemizza: “Mio padre violentato da Calciopoli”

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Moggi
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Non ci sta, Alessandro Moggi, a vedere ancor più biasimata la figura del padre. Figlio dell’ex dirigente juventino Luciano, Alessandro oggi fa l’agente sportivo. Classe ’72, ha raccontato di sé e del padre al Foglio Sportivo in una lunga intervista, come riportata da Calciomercato.com:

SU CALCIOPOLI – “Da un punto di vista umano mi hanno indurito tantissimo. Non credevo più nella giustizia. I danni economici e morali erano evidenti nella misura in cui mi hanno tolto la famiglia e tolto il lavoro a mio padre, l’unico davvero violentato da questo scandalo. Le conseguenze hanno preso corpo nell’amarezza di non poter far rivivere a mio figlio ciò che avevo vissuto io tra squadre, spogliatoi, stadi, calciatori ed emozioni che per un adolescente sono impagabili”.

SUL COGNOME MOGGI – “Lo porto con orgoglio. Devo tutto a mio padre che, per me, rimane un modello di vita e professionale incredibile. Mi ha insegnato il rispetto e la cultura del lavoro, trasmesso il valore delle persone e degli impegni. Ricordo che sette mesi dopo il mio esame da agente, era il settembre del 1993, vado insieme a lui a vedere qualche match dei Mondiali negli Stati Uniti. A un certo punto, mi chiede di fare una telefonata per lui che finisco per dimenticare: segue una cazziata di frasi violentissime, quella sì, che non potrò scordare mai. Da quel momento, ho capito come si lavora”.

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SU MENDES – “Veniva in ufficio da noi a chiederci di accrescere la visibilità dei suoi assistiti. Erano i tempi di un baby Cristiano Ronaldo proposto alla Juventus in cambio di Marcelo Salas più soldi. Affare saltato a causa del rifiuto del cileno che a Lisbona preferì il River Plate. Il portoghese fu poi offerto alla Lazio di Sergio Cragnotti, presidente per me tra i più straordinari, che letteralmente rispose: ‘Nun me rompete er cazzo co’ questo e portatemi Ronaldo, quello vero”.

IL PERCORSO – “Direi che va bene così. Sono contento di ciò che ho fatto, orgoglioso di essermi lasciato alle spalle la tempesta perfetta, felice di rappresentare uno dei più grandi attaccanti in Europa dell’ultimo decennio (Immobile, ndr). Dopo il 2006 ‘avrei potuto accontentarmi, ma è così che si diventa infelici’, frase che ho tatuato sul braccio. Oggi lavoro con la stessa intensità del ’93, vivo in un mondo che ormai è la mia vita. Cerco anzi nuove sfide, degli obiettivi molto più ambiziosi da fissare lungo il mio cammino”.

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