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ANGOLO DEL TIFOSO NAPOLI – Napule è… un inchino al numero sette

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Non capiterà – speriamo – mai più che il campionato finisca ai primi giorni d’agosto, quando la testa è altrove e le temperature consigliano ben altro.

Non capiterà – speriamo – mai più che un terzo del campionato si giochi senza pubblico, coi calciatori che si urlano addosso e la pay-tv che porta nelle case degli spettatori anche i sussurri degli uomini che calpestano il prato verde.

Capiterà, invece, c’è da giurarci, che non appena tutto tornerà gestibile e nei ranghi, il popolo napoletano celebri come merita un’icona del calcio moderno che in Napoli-Lazio ha giocato probabilmente la sua ultima partita al San Paolo, in quello stadio che per sette lunghi meravigliosi anni è stato casa sua.

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L’ultima partita degli azzurri vale una chiusura a 62 punti, chiude un girone di ritorno da 38 punti (dopo i miseri 24 dell’andata), mette apprensione per le condizioni di Insigne (uscito malconcio per un fastidio muscolare che non lascia presagire nulla di buono per la Champions), ma fa morale in vista della decisiva partita che si giocherà ancora non si sa dove sabato prossimo.

E’ una partita che il Napoli ha giocato bene, con determinazione ed intelligenza, alternando fasi di contenimento (probabilmente la prova generale di quanto avverrà contro il palleggio del Barcellona) a ripartenze veloci e costruzioni sublimi (il terzo gol di Politano è costruito come i versi d’una poesia che si declama a memoria ogni volta con emozioni diverse).

Il nervosismo finale e qualche intervento gratuito oltre i limiti hanno rischiato di rovinare il clima d’un match giocato a buon livello in cui, tra le altre cose, Ciro Immobile ha raggiunto il record (36 gol in una sola stagione) che pareva intoccabile di Gonzalo Higuain.

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C’è però, su tutti gli altri, un protagonista assoluto di Napoli-Lazio, che non ha segnato, ha brillato meno del solito e che, sostituito, ha tolto dal braccio la fascia di capitano gentilmente donata per l’occasione abbracciando via via tutti i compagni uscendo dal campo.

José Maria Callejon è il numero 7. Qualcuno ha scritto che per chi si abitua a correre, non vuole più camminare. Succederà, di sicuro, ai tifosi napoletani quando non avranno più, sulla fascia destra, uno spagnolo per bene, un gran signore, un sublime calciatore. L’amata abitudine di avere sempre una soluzione da quella parte è tatuata da anni nel cuore di ogni tifoso azzurro, che nei tagli dello spagnolo e nella sua capacità di stare in campo ha scoperto l’essenza della bellezza e della dedizione applicata al pallone.

Ogni scuola calcio dovrebbe insegnare ad un bambino come si fanno i tagli alla Callejon, le giocate di testa prima che di piede, la capacità – innata, unica ed irripetibile – di esserci in difesa, di costruire a centrocampo e di solcare l’erba in attacco. Perché JMC è il Calcio, qualcosa di diverso da tutti gli altri, un uomo capace di far sembrare facili anche le cose più difficili.

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Per sette anni José Maria Callejon ha insegnato e distribuito calcio in casa ed in trasferta, vedendo passare allenatori, ma facendo – silenziosamente – il suo bel lavoro senza fare mai alcuna polemica.

Assai numerose sono state le occasioni in cui, firmando una marcatura spesso pesante per l’esito finale, Josè si è inchinato sotto la curva, ringraziando tutti quelli che in quel momento già lo stavano idolatrando.

E’ arrivato il momento, però, nei primi giorni d’agosto 2020, in cui a fare l’inchino sono idealmente tutti i tifosi del Napoli, grati per aver applaudito – per anni – un Maestro di stile ed un signor interprete del gioco del calcio.

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Seri, nella vita, bisogna esserlo, prima ancora di dirlo o solo sembrarlo.

Così è stato per il numero 7 spagnolo, arrivato in azzurro dopo due grandi interpreti con quel numero di maglia, ma capace di non farli rimpiangere.

Abbiamo tutti diritto a un giusto addio.

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Qualcuno che prima di chiudere si volti ancora una volta.

E ci dia un cenno di saluto, una parola, un ultimo sguardo. Magari dopo aver segnato un gol in Spagna, di sabato sera, indicando il numero sette sulle spalle.

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