Angolo del tifoso
ANGOLO JUVE – Il tormento e l’estasi
Sarebbe troppo facile cominciare dal finale. Dagli occhi di Andrea Pirlo sulla Supercoppa, e anche dalle mani, che dopo sei mesi dall’inizio di una carriera da allenatore toccano per la prima volta il freddo cromato di un trofeo, fino ad allora assaggiato innumerevoli volte, ma da calciatore. Sarebbe facile non pensare a ciò che è successo domenica scorsa a San Siro, una squadra senza spina dorsale, nessuna voglia di scendere in campo.
Ma la vita cosa esiste a fare, se non a darti la possibilità di riscattarti. E la Juventus la possibilità l’ha avuta eccome questa sera, nel freddo gelido di Reggio Emilia, teatro della finale di Supercoppa contro il Napoli di Gattuso. Dicono di essere Bud Spencer e Terence Hill quei due, e gli credo, perché se potessi avere qualcuno dall’altro lato vorrei che fosse un mio amico.
E finalmente si gioca questa partita. Senza carte bollate e strani personaggi togati, con i tacchetti sull’erba, a cercare di capire come sia stato possibile vivere quella domenica sera, e quanto profondo fosse il baratro in cui ci stavamo pericolosamente calando.
Pirlo dà occasione dal primo minuto alla coppia Kulusevski-Ronaldo, affidandosi a centrocampo a chi fino ad ora gli ha dato le migliori certezze, Weston McKennie. Con l’americano, e quale giorno migliore dell’insediamento di Biden per celebrarne le origini, Fede Chiesa ormai garanzia di corse a perdifiato sulla fascia, Lolo Bentancur, e finalmente dall’inizio della gara, Deo Gratias, Arthur. Ma la vera sorpresa è alle spalle: con Bonucci e Chiellini c’è Danilo, ma soprattutto c’è Juan Cuadrado, che al secondo tampone negativo è scappato alla volta di Reggio Emilia. Senza di lui, forse staremmo parlando di una partita diversa.
Che tra l’altro non è stata affatto frizzante. Il possesso degli uomini di Pirlo cozzava con l’impatto abbastanza blando in area, ma ho accettato le scorie dell’ultima giornata di campionato. La prima vera sveglia, dopo un paio di tiri finiti in tribuna da parte di Arthur e Cristiano, ce la dà Lozano. Su un bel cross di Mario Rui il messicano ci mette la testa saltando Danilo, ma non aveva tenuto conto del fatto che Szczesny potesse metterci le mani.
Secondo tempo, seconda sorpresa. Entra Bernardeschi per Chiesa, che potrebbe portare la squadra in vantaggio dopo trenta secondi dal suo ingresso su una bella palla di McKennie, ma anche Ospina ci mette del suo a far sì che questa partita resti assolutamente ancorata sullo zero a zero. Fanne altre cinquanta così e forse potremo diventare amici, Federico.
Ma cosa ve lo dico a fare chi la sblocca. Io c’ero a quella rovesciata, quella sera a Torino. Ed ogni volta che segna, penso a quella sera, a quanto avrei voluto amare ciò che in quel momento odiavo. A quanto siamo fortunati a poter esultare con lui per aver insaccato la porta di questa partita che ormai la tirava troppo per le lunghe. E finalmente su calcio d’angolo, quei maledetti quanto benedetti calci piazzati che nella fase allegriana della nostra esistenza ci facevano diventare le gambe di gelatina.
È strano dover parlare di una sensazione del genere. Sarà quello che ha vissuto Lorenzo Insigne davanti a Szczesny, quando il signor Valeri ha assegnato un rigore per un colpo di McKennie su Mertens mentre cercava di buttar via la palla dalla nostra area di rigore. Lorenzo calcia fuori.
Il cuore mi è uscito dal petto dalla gioia, per poi rimettersi al suo posto nel vedere le lacrime di un ragazzo. Uno di quelli che a volte non hanno tenuto le parole a posto, nel ricordarci come si perdono le finali. E sì, noi lo sappiamo molto bene come si perdono, e conosciamo altrettanto bene il sapore di quelle lacrime. Talmente tanto bene da non augurarle.
Con il cardiofrequenzimetro sul mio polso che segna 110, Szczesny salva tutti noi su Zielinski ad un minuto dalla fine, dimostrando ancora al mondo, se non fosse ancora chiaro, che le sue non sono ossa e cartilagine, è gomma. La paura lascia spazio alla liberazione, ad Alvaro Morata che ha segnato in tutte le competizioni che gli sono capitate a tiro, con un due a zero al gusto, finalmente, di vera Juve.
Da dove avevamo cominciato, quindi? Da Andrea Pirlo, che si lascia immortalare con il trofeo. Dal Andrea Agnelli che twitta che per dieci anni di fila la nostra sala trofei ha dovuto trovare uno spazietto in più, per far posto a quanto di nuovo questa squadra, ogni anno, è riuscita a portare a casa.
Non è che abbiamo cominciato, è che non abbiamo mai finito.
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