Angolo del tifoso
ANGOLO NAPOLI – Napule è… spettatori non paganti
“In campo sembravamo turisti. Con la differenza che per entrare allo stadio non abbiamo pagato il biglietto”. Ebbe ad affermarlo – ormai troppi anni fa – il leggendario Vujadin Boskov, ma l’affermazione starebbe benissimo anche in bocca a Gennaro Gattuso dopo un bruttissimo Verona-Napoli come quello andato in scena una uggiosa domenica pomeriggio.
Il calcio è uno sport semplice.
Nel senso che esistono 3/4 regole principali, che devono applicarsi a prescindere e rappresentano l’abc, e poi idee di gioco sulle quali si prova – con alterni successi – a costruire qualcosa in base al materiale umano che si ha a disposizione.
Al contrario, il Napoli a Verona ha ignorato gli elementi base del giocare a calcio, rinunciando completamente alla spinta dalla fascia, lasciando molto a desiderare nelle marcature, evidenziando lentezza a centrocampo e palesando un’enorme difficoltà di impostazione.
Da ciò, inevitabilmente, ha avuto conseguenza un pomeriggio triste, novanta minuti nei quali gli azzurri hanno nascosto tutti i pregi palesati sette giorni prima, portando a galla imbarazzanti limiti tattici prima che tecnici.
Il merito, probabilmente, è anche di una discreta squadra come il Verona, ma anche di una penosa condizione psico-fisica di troppi tra i ragazzi partenopei.
Quando un match va così, peraltro, non ce la si può prendere con nessuno in particolare, poiché meriterebbero tutti – dal primo all’ultimo – un’annotazione negativa alla fine di una valutazione severa e senza appelli.
Dopo il gol-lampo di Lozano, infatti, ed il raddoppio fallito in un paio di occasioni successive, si è spenta la luce nel gioco azzurro, divenuto via via ostaggio della fisicità del Verona e degli inserimenti, efficaci e decisivi, soprattutto di gente come Zaccagni, Lazovic, Ilic e Barak, apparsi – d’un tratto – interpreti capaci di giocate mortifere nei confronti d’una difesa imbarazzata ed imbarazzante, che ha visto in Maksimovic il peggiore di tutti.
E’ in pomeriggi come quelli di ieri che la tentazione forte è quella di mandare al diavolo l’allenatore (l’hanno fatto – in rapida sequenza – praticamente tutti), perché incapace di dare gioco e motivazioni alla squadra e del tutto assente nel reclamare con Ds e Presidente l’acquisto (tra gli altri) di un terzino degno di chiamarsi tale.
I passetti lenti di Bakayoko, il chewing-gum masticato distrattamente da Osimhen (il cui rientro è l’unica buona notizia), la diagonale mancata da Di Lorenzo in occasione del pareggio, l’assoluta assenza di Hysaj nella doppia fase di contenimento e rilancio, la scarsa vena di Insigne, gli errori finanche in appoggio di Maksimovic e la giornata-no di Zielinski sono le istantanee che dal Bentegodi arrivano negli occhi tristi di tifosi affranti, agli occhi dei quali il Napoli è sembrato avere un’unica idea di gioco: lancio in avanti per Lozano sperando nella velocità e buona condizione del messicano.
E se le difficoltà paiono venire da lontano, camuffate solo a volte da prestazioni super come quella di domenica scorsa con la Fiorentina, la prestazione migliore dell’anno da parte della squadra di Juric non basta a giustificare troppe defaillances di un collettivo sul quale – forse – è pesata anche la brutta sconfitta di Supercoppa.
Al di là del match ancora da recuperare, il girone di andata dice che il Napoli ha pareggiato in casa col Torino e perso con Sassuolo, Spezia e Verona, oltre che con Lazio, Inter e Milan. Risultati che – di solito – avrebbero minato da un pezzo qualsiasi sogno finanche di Europa League.
Ed invece se gli azzurri avessero sbancato il Bentegodi, la classifica avrebbe indicato 37 punti, sei in meno dalla capolista con una partita da recuperare.
Colpa del campionato più equilibrato degli ultimi anni, ma anche d’una confusione che regna sovrana tra le fila d’una squadra apparsa debole, sfibrata, stanca e demotivata.
A volte, però, si chiama “confusione” la paura di prendere una decisione.
Sarebbe ora che la società, cui va il merito d’aver racimolato qualche milioncino liberandosi d’un macigno polacco, dicesse con chiarezza qual è la direzione di marcia, lanciando segnali inequivocabili e di facile interpretazione.
Perché è giusto – quando le cose non vanno bene – prendersela con l’allenatore, è lecito pure sognarne qualcuno capace di imporre un’idea di gioco (che Gattuso in un anno pare non aver dato), ma sul prato verde scendono sempre innanzitutto i calciatori, uomini che indossano una maglia che hanno il dovere di sudare.
La condanna peggiore per un tifoso che non ha la possibilità (ormai da un anno) di andare sugli spalti ad esultare, urlare od applaudire è infatti quella di vedere, in mezzo al campo, spettatori non paganti, turisti della domenica, gente che pare del tutto estranea al contesto, disinteressata al risultato finale che, invece, dovrebbe contare più di tutto il resto.
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