Approfondimenti
NUMERO 14 – Da Paolo a Pablito
Un piccolo riassunto degli avvenimenti precedenti e poi si riprende con la storia del Signor Rossi, l’uomo dal cognome più inflazionato d’Italia ma dalla vita unica.
Primavera 1978. Alla fine, dopo l’incredibile trattativa che ha visto coinvolte Juventus e Vicenza, la comproprietà di Paolo Rossi è stata decisa dall’esito delle buste. Il verdetto ha premiato l’audacia della squadra veneta, adesso il giocatore è interamente di sua proprietà. La Juventus deve accontentarsi del denaro.
In città il clima è di piena euforia: con quel gruppo, con quel Rossi si può anche pensare in grande dopo il meritato secondo posto conquistato poche settimane prima. Ma il diretto interessato, prima di riprendere a segnare gol a raffica per la sua squadra, ha una grande avventura da vivere, il Mondiale in Argentina.
Fine del riepilogo, per i dettagli rimando ai miei due articoli precedenti “Eppure faceva l’ala destra” e “Il contenuto della busta”.
Ora si parte con la nuova puntata della storia.
Smessa la casacca a strisce biancorosse Paolo Rossi indossa quella azzurra e sale sull’aereo diretto in Sudamerica. Fa parte del gruppo dei 22 atleti guidato dal commissario tecnico Enzo Bearzot.
E’ un friulano di scorza dura, pipa sempre in bocca, un onesto passato da centrocampista in Serie A e una lunga gavetta nei quadri federali. Dopo Giussy Farina e G. B. Fabbri è il suo terzo padre putativo. Sarà fondamentale.
Non ha paura di osare: ha convocato anche un coetaneo di Rossi, il terzino Antonio Cabrini, uno che nella Juventus non gioca neanche titolare.
Il c. t. Bearzot avrà anche il naso scassato da pugile ma possiede un occhio da lince: l’ha studiato bene quel giovane centravanti dal fisico esile. E’ quel che fa per lui.
La sua nazionale ha uno spirito audace ed un animo d’acciaio: una difesa granitica comandata alla perfezione dall’elegante libero Scirea, un centrocampo di lottatori con la variabile impazzita costituita da Causio, ala tornante con licenza di inventare gioco e un attacco mobile ed efficace con il duo Graziani-Bettega.
Il problema è che la squadra azzurra viene da un campionato sfibrante e chi ha pagato di più gli sforzi del torneo è proprio il centravanti del Torino.
Ciccio Graziani, un generoso per natura, è arrivato alla rassegna mondiale completamente scarico. E un giocatore con le sue caratteristiche, se non è al massimo della forma atletica, perde molto del suo potenziale.
La rassegna mondiale sta per iniziare e le condizioni del giocatore impongono una scelta: al debutto contro la Francia il centravanti titolare è Rossi.
Un semiesordiente al posto di un veterano nella prima partita di un Mondiale.
I casi sono due: o Bearzot è ammattito oppure la sa più lunga di tutti.
E’ un esordio al cardiopalma: dopo appena un minuto di gioco i francesi passano in vantaggio con il centravanti Lacombe.
Ci sarebbe da perdere la testa ma gli azzurri fanno in fretta a ritrovarsi: riordinano le idee, prendono le misure agli avversari e guadagnano metri di campo con rapidi scambi di prima intenzione.
La squadra gioca molto bene e Rossi è quello del Vicenza: agile, guizzante, sempre pronto agli uno-due in velocità per puntare dritto a rete.
Il gol del pareggio non tarda ad arrivare e porta la sua firma.
Nella ripresa Zaccarelli firma la rete del sorpasso e della vittoria.
Negli spogliatoi Rossi viene festeggiato da tutti i compagni. Contano molto su di lui.
Prima della partita non lo conosceva nessuno, ora i giornalisti di tutto il mondo lo dipingono come l’arma in più della nazionale.
E i soloni che avevano sentenziato sull’incoscienza del tecnico azzurro sono ammutoliti.
Il secondo match del girone contro l’Ungheria è molto più abbordabile: una sua rete, abbinata a quelle di Benetti e Bettega sanciscono il 3 a 1 finale.
Italia a punteggio pieno e già qualificata. La gara contro l’Argentina serve solo per stabilire la predominanza nel girone e la permanenza nella capitale.
La prudenza, a questo punto, consiglierebbe a Bearzot di far riposare qualche titolare per gli impegni futuri ma la voglia di vittoria della nazionale non conosce limiti.
Va in campo la squadra-tipo ed è proprio un mirabolante assist di tacco di Rossi a spalancare a Bettega la via del gol vittoria contro i padroni di casa.
Ormai l’Italia è tra le favorite per la vittoria finale.
Il pareggio a reti bianche contro la Germania Ovest e la vittoria con l’Austria griffata dal suo terzo gol aprono agli azzurri la strada per la partita contro l’Olanda.
Di fatto è una semifinale, chi vince andrà a disputare la partita per il titolo mondiale.
Anche se ormai le fatiche del torneo iniziano a farsi sentire e qualche titolare, come Antognoni, si trascina dietro qualche guaio fisico di troppo.
La partita con gli orange inizia con il botto: gli azzurri sembrano ritrovare la freschezza degli esordi, Rossi fa impazzire la difesa avversaria e una sua combinazione con Bettega porta la nazionale in vantaggio provocando un autogol.
Ma nella ripresa la stanchezza è in agguato: gli avversari recuperano terreno, impongono la loro forza fisica e con due tiri dalla distanza fulminano il portiere azzurro Zoff per il 2 a 1 definitivo che li proietta in finale.
Resta la finale per il terzo posto contro il Brasile.
Inizio arrembante e azzurri meritatamente in vantaggio con Causio.
Poi il calo atletico generale impone nuovamente il suo pesante dazio: il Brasile parte all’assalto della porta di Zoff e nuova, doppia capitolazione del capitano su due tiri da fuori area che sanciscono il quarto posto finale per i nostri.
Il ritorno in patria della nazionale è comunque trionfale: hanno giocato in maniera splendida, sempre a viso aperto contro chiunque e solo la stanchezza e un pizzico di sfortuna hanno impedito agli azzurri di diventare campioni del mondo.
Per Rossi è un tripudio: è arrivato in Argentina come oggetto misterioso, si è guadagnato un posto da titolare, ha stupito tutti con le sue prestazioni e viene considerato dalla stampa il secondo miglior giocatore del Mondiale dopo l’argentino Mario Kempes, capocannoniere della manifestazione.
La favola del ragazzo che una volta era perseguitato dalla sfortuna continua.
Adesso per tutti è diventato Pablito.
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