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CALCIO & BUSINESS – La morte del Fair Play Finanziario

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Nel 2010 la UEFA introdusse per la prima volta il FFP (Financial Fair Play), entrato in vigore poi a partire dalla stagione 2013-14, con lo scopo primario di mantenere i club lontani dal rischio di spendere eccessivamente e mettersi da soli in difficoltà finanziarie e quello di evitare che essi reperiscano i mezzi monetari necessari a far fronte alle loro spese non tanto dalle entrate derivanti dalla chiusura del proprio circuito della produzione, ma col ricorso a nuovo capitale a credito e a nuovi apporti di capitale proprio; il FFP nelle parole della UEFA avrebbe dovuto “migliorare la complessiva salute finanziaria del calcio europeo”.

Il condizionale è d’obbligo perché, già prima del caos Super Lega, il FFP è stato messo in discussione da più e più stakeholders delle società di calcio europee, che ne richiedevano una modifica o addirittura una definitiva eliminazione.

Prima di illustrare il funzionamento dello stesso è utile sottolineare uno dei motivi per cui il FFP è tanto criticato da società e tifosi di alcune squadre: la gravità delle sanzioni per i club che non rispettano le regole.

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Essa è precisa (l’espulsione temporanea europea competizioni, come la Champions League, multe e blocchi sui trasferimenti) ma spesso, anche con l’ausilio di alcuni escamotage, aggirata da molte società calcistiche con facilità, aggiro che spesso resta impunito (vedasi il caso Neymar PSG).

È ovvio che in un contesto del genere i campionati, nazionali ed internazionali, non risultino equi e che, i problemi che il FFP avrebbe dovuto risolvere, si ripresentino.

È proprio questo il motivo per cui negli ultimi mesi sta prendendo piede un’ipotesi di “modificazione” da parte della UEFA del Financial Fair Play.

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Come detto da Andrea Traverso, direttore della ricerca e stabilità finanziaria per conto della UEFA, “le regole devono sempre evolversi (…) adattandosi al contesto in cui operano i club. La regola del pareggio di bilancio (break-even point) attuale, guarda al passato, esegue una valutazione di una situazione passata (…) La pandemia rappresenta un cambiamento così brusco che guardare al passato sta diventando inutile. Le regole dovrebbero quindi concentrarsi maggiormente sul presente e sul futuro e dovrebbero sicuramente concentrarsi maggiormente sulle sfide degli stipendi elevati e del mercato dei trasferimenti”.

Come funziona il FFP e perché i club e la UEFA vogliono intervenire su di esso?

Secondo le regole del FFP i club possono spendere fino a 5 milioni di euro in più di quanto guadagnano per periodo di valutazione, sebbene, durante questo periodo di monitoraggio, siano consentite perdite totali fino ad un massimo di 45 milioni di euro (a condizione che i club abbiano proprietari in grado di coprire tali importi).

Il “periodo di valutazione” consiste in un periodo di tre anni consecutivi, periodo in cui i club devono bilanciare le spese legate al calcio – trasferimenti e stipendi principalmente – con le entrate televisive e dei biglietti, oltre alle entrate raccolte dai loro dipartimenti commerciali.

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Il denaro speso per stadi, strutture di allenamento, sviluppo giovanile o progetti comunitari è esente dalle regole del FFP.

Con le spese per le sessioni di mercato fisse ogni anno, ed i salari dei giocatori e le tasse degli agenti che stanno aumentando esponenzialmente, ed i problemi legati alla pandemia di Covid_19, i club hanno aspramente criticato la regola imposta loro dalla UEFA in quanto essa, con le limitazioni che impone ad i club, ha portato via entrate principali per essi, il che ha portato a problemi finanziari per la maggior parte di loro, problemi finanziari diventati spesso problemi a livello competitivo.

L’esempio più calzante e vicino al nostro ambiente d’interesse principale è la Roma.

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La Roma, che nella stagione 2017-18 aveva una rosa stellare, capace di garantirle una semifinale di UEFA Champions League, fu costretta nell’estate successiva a vendere i suoi pezzi da 90 (fra gli altri Salah e Allisson) a detta di Monchi (allora direttore sportivo della società capitolina)sotto costrizione dei vincoli imposti dal FFP della UUEFA (…) I nostri conti erano sotto un rigido controllo della UEFA, e quando sono arrivato io c’era un’offerta di 30 milioni per Salah, ma poi con i bonus siamo saliti a 50, insomma abbiamo fatto il massimo che potevamo in quel momento (…) ma noi non avevamo scelta, né altre soluzioni, dovevamo vendere entro il 30 giugno.

Il Fair Play Finanziario ha infatti colpito pochi club, in maniera incredibilmente iniqua e non sottotraccia, ma interamente alla luce del sole con top club come PSG, Manchester City e Real Madrid soltanto sfiorati o “minacciati” e altri, come la Roma, pesantemente penalizzati.

L’obiettivo del Fair Play Finanziario era anche nobile, ma a distanza di 10 anni esso ha mostrato tutte le sue lacune e necessita di un serio cambiamento perché, come detto da Florentino Pérez: “il calcio è gravemente ferito perché la sua economia sta affondando e dobbiamo adattarci ai tempi che stiamo vivendo”.

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