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EN PLEIN AIR – Da Boccioni a Castori: “La città che sale”

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Ecco quanto scrisse Filippo Tommaso Marinetti, era il 20 febbraio del 1909.

Fu questa la cesura, il La – fra le colonne di “Le Figaro” – a un nuovo movimento letterario, poi artistico: il futurismo. L’era in cui l’arte – lenta e accademica – cedette il passo alla velocità e all’azione, alla mitraglia e ai bolidi in folle corsa verso l’avvenire.

“Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri.”

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Nuovo climax, nuova linfa, nuovi orizzonti.

Anche Salerno, finalmente, si accosta al palcoscenico maximo. Lo fa col fervore degli Arditi, col coraggio di chi nulla ha da perdere. Col pugnale nel cinturone e la smorfia di dolore attraccata al plenilunio della Storia.

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Avanguardia pura, la stagione della Salernitana. Partita fra il silenzioso disgusto delle trincee, il frastuono improvviso delle granate, palloni restituiti al mittente: tramutatasi, giornata per giornata, in un complesso dinamicamente futuristico ma tutt’altro che futuribile. Chiedetelo alla società uscente, all’elemosina di mamma Lazio, a un parco giocatori – talmente scarno – da richiedere robusti innesti già dalle prossime settimane.

“La città che sale”, Umberto Boccioni 1910. Fonte: Wikipedia

È “La città che sale” di Umberto Boccioni, comunque, l’opera che meglio si presta a queste giornate furibonde. L’esplosione di gioia, viscerale e spontanea, che dal mare ai Lattari ha raccolto l’ebbrezza di un popolo. L’euforia per una liberazione che si avvicina a rapide falcate. I legacci della multiproprietà, intanto, si allentano: bentornata capitale salmastra, mai più feudo romano.

Una Salerno caotica e fiera bussa oggi alle porte della massima serie: velocità e frenesia. Un auspicato riscatto sociale, al netto di difficoltà endemiche.

L’etichetta da Cenerentola, altresì, va conferita immediatamente al macero.

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Foto: Sito Ufficiale Unione Sportiva Salernitana 1919.

Fenomenologia di un traguardo inaspettato: una squadra ruspante e incompleta si accosta – senza brulichio di fanali – all’Olimpo del calcio italiano.

Questione di scomposizione dei piani visivi, nulla – dicemmo anche in chiave impressionista – è quel che pare alla vigilia. Non ci si soffermi, pertanto, alla lettura delle statistiche: per questi mari il possesso palla non è prerogativa di successo. Del resto, il pallone scotta troppo a queste latitudini. Men che meno ci si prodighi a disquisire di costruzione dal basso e di gioco orizzontale. Non Champagne, bensì proletario Sangiovese. Non ristorante stellato, bensì accogliente bettola di periferia.

Da Delio Rossi a Fabrizio Castori il passo è stato lungo, tribolato. Ventitré anni, un cortile e tanta fede, cento piazze e quintalate di letame. Pizzicagnoli e affaristi squattrinati, dilettantismo e stracci, co-patron col savoir-faire dei latifondisti senza scrupoli, identità svendute alla tavola del proprietario. Maree di radici recise e lodi sperticate all’onnipotente direttore di borgata.

“È oggi, tutto l’ieri andò cadendo”. Da Marinetti a Neruda, senza continuità temporale. Semplici concetti coniugabili al presente, poi al futuro.

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È questo lo zenit che rappresenta il movimento, la scelta dei colori evidenzia la propulsione della forma: non più stasi ma rincorsa. Mitizzare la normalità concedendole altra vita: gli avamposti cadetti, le tabaccherie di provincia, lo sciabordio degli arsenali, il fracasso dei moli.

Salernitana Sport 1997-98.jpg

La Salernitana 1997-98. Fonte foto: Wikipedia

Non è tempo, tuttavia, di trincerarsi nei ricordi, sfogliare diapositive conduce al passato. Altri capitoli aspettano d’essere srotolati alle falde di un sole nuovo. Salerno è viva ed è presente, non più calesse di provincia ma sentinella dell’alta velocità.

E, seppure il viaggio dovesse durare appena trentotto fermate, non è questa l’ora di crogiolarsi nel sonno del già fatto.

“Ritti su la cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!”

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