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NUMERO 14 – Il demone nella bottiglia

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“Skoglund? Segnava meno di Maradona ma aveva poco da invidiargli. Il suo avversario più temibile era però la bottiglia: beveva troppo”. Le parole di Azeglio Vicini, ex c. t. della Nazionale che era stato suo compagno di squadra alla Sampdoria, sono il ritratto più efficace di un campione tanto efficace nel dribblare gli avversari sul campo quanto completamente indifeso nella vita privata, in perenne balia dei suoi vizi.

Non è stato il primo calciatore a rovinarsi una carriera per i suoi eccessi né sarà l’ultimo, ma la storia di Lennart Skoglund ha delle sfumature davvero uniche.

Ripercorriamola dall’inizio, partendo da “Nacka”, il nome del sobborgo di Stoccolma dove era nato alla Vigilia di Natale del 1929. Il giorno della nascita da l’idea del principio di una bella favola, il racconto dell’ascesa di un prescelto dalla Sorte.

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Non è esattamente così. Il luogo dove viene al mondo non ha nulla di fiabesco: è uno squallido agglomerato di casermoni. Abitato prevalentemente da operai, dove la miseria è una presenza costante e l’unico divertimento dei ragazzini è costituito da infinite partite a pallone per le strade.

Lennart è bravo, ci sa fare. E’ un’ala che usa tutti e due i piedi, ma è dal suo mancino che nascono le cose migliori: la fascia sinistra è il suo terreno di elezione. La mattonella da cui tira fuori accelerazioni brucianti e assist a catena per i suoi compagni d’attacco, non disdegnando di puntare a rete lui stesso per realizzare gol spettacolari che fanno di lui il beniamino dell’intero “Nacka”. Nomignolo che gli resterà attaccato alla pelle come un marchio indelebile.

E’ contesissimo per i tornei che si disputano tra i quartieri e non ci mette molto, a suon di gol ed assist, a suscitare l’interesse di varie squadre.

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A sedici anni, quindi, è già tesserato per il Soder Ik. Ci resta poco. Il suo talento gli frutta l’ingaggio per un club di terza divisione, l’Hammarby, e le sue prestazioni lo portano ad essere proclamato miglior giocatore svedese a soli diciotto anni.

Niente sembra poterlo fermare se non il suo carattere ribelle: dei quattordici mesi  obbligatori di servizio militare ne trascorre circa un terzo in carcere per ripetute infrazioni al rigido regolamento della caserma.

E’ il 1950, la Svezia deve selezionare i migliori calciatori del paese per farne l’ossatura della nazionale che andrà a disputare il Mondiale in Brasile. Il metodo usato per la selezione è davvero singolare: una commissione tecnica formerà una squadra mentre i giornalisti sportivi ne faranno un’altra e l’incontro che si disputerà tra queste due formazioni darà le indicazioni definitive per la squadra da inviare in Sudamerica.

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Skoglund è l’ala destra della selezione formata dai giornalisti e firma l’incontro a modo suo: tre gol di meravigliosa fattura, biglietto prenotato per il Brasile e posto da titolare assicurato in una squadra che vede presenti anche giocatori come Jeppson e Palmer.

La Svezia, spinta dalle invenzioni di Nacka, superbo ispiratore per i due partner d’attacco, si qualifica terza. Al ritorno in patria, Skoglund, ormai eroe nazionale, viene ingaggiato dall’AIK. La squadra principale di Stoccolma gli offre un contratto principesco che prevede, tra l’altro, un impiego fisso come venditore di persiane e un appartamento enorme in pieno centro cittadino.

Giusto il tempo di lasciare il segno anche nel nuovo club (sette gol in cinque partite) che Nacka deve preparare nuovamente la valigia. Ha ottimi motivi per farlo, cosi come la sua società per cederlo. Dato che incassa i venti milioni di lire che l’Inter, impressionata dai suoi numeri al Mondiale brasiliano, sborsa per portarlo a Milano.

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L’impatto con il calcio italiano non modifica le sue caratteristiche. L’Inter di Alfredo Foni è una squadra tignosa, arroccata rigidamente in difesa ma che davanti lascia ampio spazio alla sua inventiva al servizio del centravanti Benito “Veleno” Lorenzi e del campione apolide Nyers.

L’ala svedese è il perno del gioco, i lanci lunghi provenienti dalle retrovie sono tutti indirizzati verso di lui, dopodiché ci si affida al suo estro: fascia destra o sinistra è lo stesso tanto il copione resta uguale: finta diabolica, scatto bruciante, avversario diretto lasciato sul posto e assist al bacio per il compagno che deve solo scaraventare il pallone in porta.

E se le prestazioni eccellenti sul campo ne fanno un beniamino di S. Siro anche fuori dal terreno di gioco Nacka dimostra di avere delle ottime carte da giocare.

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Alto, biondo, sorriso aperto e carattere gioviale non ci mette molto a diventare un protagonista delle notti cittadine. Anticipando di almeno tre decenni lo stile della Milano da bere. E tutta di un fiato.

E’ sempre stato amante dell’alcool ma, durante il suo soggiorno meneghino, la sua propensione al bere diventa una ossessione. Al punto di meritargli il soprannome di “grappino”, affibbiatogli dai compagni di squadra, più divertiti che infastiditi dallo scoprire qual era il suo modo preferito di passare il tempo in ritiro.

Ma non manca di farsi notare anche per altre doti: è intelligente, sa scrivere bene e la sua esperienza nel calcio italiano in patria è oggetto di interesse per cui firma una serie di articoli sui quotidiani scandinavi in cui racconta le sue vicende fuori e dentro dal campo di gioco.

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Si rende protagonista anche della cronaca rosa: dopo aver lasciato un figlio illegittimo in patria conosce e sposa Nuccia Zirilli. Ex concorrente di Miss Italia, inaugurando cosi, con molti anni di anticipo, la moda dello sportivo che si accoppia con la starlette.

Dal matrimonio nasceranno due figli e il metter su famiglia va di pari passo con la sua nascente attività imprenditoriale, con l’acquisto di un bar in centro e di un negozio di profumeria per la sua consorte.

Con la maglia nerazzurra è sempre protagonista di campionati eccellenti e anche la sua nazionale, alla vigilia dei mondiali casalinghi del 1958 lo richiama per un attacco da sogno assieme ai vari Hamrin, Liedholm e Gren.

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Arriveranno assieme fino alla finale, persa contro il Brasile dell’astro nascente Pelè.

Al suo rientro a Milano è ormai alla soglia dei trent’anni ma, finché il suo rendimento sul campo resta eccellente e i risultati arrivano, nessuno ha da ridire sulle sue abitudini di vita ma poi, durante il suo ultimo anno di militanza nerazzurra, gli eccessi smodati e i postumi di un grave infortunio che lo costringe all’operazione all’ernia limitano il suo apporto a 15 presenze e tre gol.

Inevitabile la cessione con l’approdo a Genova, alla Sampdoria, per disputare due  campionati che lo vedranno comunque protagonista. Con la conquista di uno storico quarto posto anche se ormai è un Nacka in versione minore. Sempre più spesso stordito dai suoi eccessi viziosi, con giocate da fuoriclasse alternate a pause sconcertanti ed errori banali.

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E’ ormai scontato anche l’addio all’Italia e ai suoi affetti: dopo una breve parentesi al Palermo, lascia moglie e figli a Milano e  ritorna in patria. Alla sua vecchia squadra, l’Hammarby, dove sembra ritrovare se stesso. Il suo modo di stare in campo, le sue ineguagliabili finte, al punto di riconquistare persino la maglia della nazionale.

Ma sono gli ultimi spiccioli di una carriera straordinaria che avrebbe potuto essere scintillante senza l’ingombrante presenza della bottiglia, dentro la quale si annidavano chissà quali demoni oppure Nacka la utilizzava come spauracchio per esorcizzarli.

Licenziato anche dalla sua ultima squadra e piantato anche dalla nuova compagna, Nacka è ormai completamente dipendente dal suo vizio e l’unico approdo possibile è una clinica specializzata nel recupero degli alcolizzati.

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Si racconta che, negli ormai rari momenti di lucidità, amasse esibirsi in un gioco di prestigio: lanciare una monetina per aria e poi spedirla nella sua tasca con un impeccabile colpo di tacco.

Lennart Nacka Skoglund muore, solo e malato, il 20 luglio 1975 a 46 anni.

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