Juventus
Juventus, Agnelli: “Allegri? È pronto a buttarsi in questa avventura”
Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, ha rilasciato delle dichiarazioni nel corso della conferenza stampa organizzata per il saluto di Fabio Paratici ai bianconeri.
Siamo qui per un saluto, anzi un abbraccio a Fabio. Vorrei evitare che si trasformasse in un’opera omnia. Ho tre temi che ho a cuore e non risponderò a domande su questi, vorrei concentrarmi sul saluto a Fabio. Anzitutto farei un bilancio della stagione, vorrei ringraziare Andrea Pirlo e tutto il suo staff. Se devo fare un’analisi della stagione e leggo di fallimento Juve… beh se in dieci anni il fallimento è andare in Champions e vincere due trofei… se sbagliare un anno su dieci vuol dire questo ce lo teniamo volentieri. Non sempre abbiamo trovato le risposte che avremmo voluto trovare a momenti di difficoltà. Di sicuro dopo questa annata dobbiamo imparare dagli errori commessi da parte di tutti. D’altro canto, è la prima volta che mi trovo a parlare del ritorno di Max Allegri. Quello che mi piace sottolineare è la determinazione, la voglia, la grinta di ributtarsi sull’avventura in campo sua e da parte dello staff. È un’avventura di lungo periodo, di programmazione e di crescita continua. Ci sono state tante speculazioni sull’assetto dell’area sportiva: quando la riorganizzazione sarà completata ci vedremo in una nuova conferenza stampa. Nel frattempo vedo grande passione in Federico Cherubini, che è qui con noi, ma del resto il suo impegno sono doti che io, Pavel Nedved e Fabio abbiamo conosciuto in questi anni. Toccherei semplicemente i discorsi sulle competizioni internazionali, che ci vedono citati su tutti gli organi di informazione del mondo. Io per anni ho cercato di cambiare le competizioni europee dall’interno, ho fatto tutta la gavetta all’interno dell’ECA fino alla presidenza. Abbiamo cercato di cambiare in tutti i modi dall’interno, anche perché i segnali di crisi erano evidenti già prima del Covid, e torno alla proposta congiunta UEFA-ECA del 2019 per me ottima, tant’è che fu sostenuta dai club di seconda, terza e quarta divisione, ma il sistema non si può non analizzare come concentri in un monopolio il potere esecutivo, economico e giudiziario sul calcio europeo, riservando all’UEFA la responsabilità quasi arbitraria di assegnare le licenze. È un sistema ormai inefficiente: la Superlega non è stato un colpo di Stato, ma un grido di allarme per un sistema che, non so se consapevole o inconsapevole, si avvia verso uno stato di insolvenza. Vi cito il documento approvato al congresso di Montreux: nella proposta di budget 21/22 si parte dal fatto che la crisi sanitaria è ormai storia e che lo sviluppo del calcio prosegue come sempre. Questo è un documento portato in approvazione a dicembre 2020, credo che tutti voi ormai sappiano cos’abbiamo vissuto nel frattempo. Da subito i club hanno cercato un’interlocuzione con la UEFA: la risposta è stata di totale chiusura, con termini offensivi, e si è concretizzata nelle minacce di esclusione di soli tre club, diffuse con metodi arroganti e indebite pressioni. Queste minacce sono portate avanti in totale spregio di un provvedimento del tribunale di Madrid e in pendenza di un giudizio alla Corte UE. Non è con questi comportamenti che si riforma il calcio, so che per fortuna non tutti in UEFA la pensano così. Le basi della nostra proposta sono quelle, ma il desiderio di dialogo con UEFA e FIFA è immutato. Altri sport hanno subito grandi modifiche negli anni, penso all’Eurolega di basket che ha portato grandi benefici a tifosi, club e giocatori. Fino all’altro giorno i tifosi italiani hanno celebrato Milano in Eurolega. Quasi tutti gli stakeholders ritengono che il calcio venga riformato, chi fa proposte viene demonizzato. Juventus, Real Madrid e Barcellona sono intenzionati a portare avanti le proprie proposte, anche in solidarietà con chi ha dimostrato paura nell’aderirvi. Sono tre temi importanti, su cui oggi non intendo risponde ad alcuna domanda, vorrei parlare di Fabio e dei nostri undici anni. Avevo tanti bloc notes sulla scrivania, quello di Palazzo Parigi a Milano mi sembrava il più adatto a prendere gli appunti su cosa sono stati questi undici anni insieme. Partiamo da Delneri a Pirlo, in mezzo nove scudetti, cinque Coppe Italia, due finali di Champions. Siamo partiti che eravamo all’Olimpico, oggi stadio Grande Torino, siamo arrivati all’Allianz. In mezzo penso all’Under 23, che ha vinto anche una Coppa Italia, e alle Women, con quattro scudetti, una Coppa Italia, due supercoppe. Sono tutti trofei raggiunti sotto la leadership di Fabio. Penso ai giocatori che ha portato qui da noi nella veste di direttore sportivo prima e chief of football poi. Ne cito tre: Tevez, Dybala, CR7. Ringrazio ovviamente tutti i tecnici, perché il calcio è uno sport di gruppo. L’unico rammarico, tra le tante trattative perché il problema è se la Juventus non segue questo o quel giocatore, è quel Van Persie con quella cena organizzata a casa mia. Me la ricordo e se penso a un rimpianto è sicuramente Robin, anche per la missione in avanscoperta che avevi fatto qualche settimana prima. Penso alla riunione con Paratici, Marotta e Nedved, alle innumerevoli cene e ai pranzi, alle storie del giovane scouting in Sudamerica: il modo in cui te le racconta Fabio fa in modo che lo ascolteresti per ore. Penso agli Juventus Day e ai cucchiai di legno girati. Penso alle rare chiamate alle 7,30 del mattino e io pensavo solo alla sua incolumità fisica, mentre era in realtà in un fuso orario diverso. Penso, per una persona astemia come lui, ai mojito e alle feste scudetto. Rimarranno impresse. Penso che alla Juventus sia arrivato un ragazzo e vada via un uomo, col grande pregio della curiosità. Un uomo istintivo, che segue il suo talento, ma anche responsabile. Soprattutto, un uomo vincente: ha gestito la Juventus in uno dei momenti più difficili della storia del calcio. Abbiamo giocato un calcio surreale con la pandemia. Penso, almeno è la sensazione dall’interno, che queste due stagioni, che voi avete raccontato quasi normalmente, non hanno avuto nulla di normale per chi ha vissuto da dentro questo sport. Fabio ha avuto questa maggiore complessità di gestire la Juventus nel momento più difficile della storia del calcio. Dopo questi undici anni potevo pensare a mille momenti, le risate sono state innumerevoli ma a fine stagione abbiamo avuto una lunga chiacchierata nel mio ufficio: è stato naturale convenire che forse era il momento di chiudere e aprire un percorso diverso. Trovare parole è difficili, ma a livello personale e in nome di tutta la Juventus dico: grazie. Grazie di tutto, Fabio, sono stati anni fantastici. Ti chiedo solo di non chiamarmi più alle 7,30 del mattino”.
Non temete che fra un paio d’anni vi pentirete di questa decisione, come è successo con Allegri?
“Credo che abbia già risposto Fabio in maniera impeccabile. Certe decisioni vengono prese in determinati momenti e vanno contestualizzate. Sostenere adesso che la scelta di due anni fa e quella di oggi implichi un pentimento implica un giudizio sbagliato. In quel momento era la decisione giusta, in questo momento è la decisione giusta. Secondo noi, ovviamente: non sono collegati”.
Cosa ha inciso in questa decisione, per esempio il caso Suarez o il ritorno di Allegri?
“No, assolutamente. Nessuna vicenda esterna ha inciso. Gestire la Juventus vuol dire affrontare anche situazioni esterne importanti, penso a Scommessopoli con Conte, a Bonucci-Pepe passando per i discorsi di mafia e arrivando al caso Suarez. Gestire la Juventus vuol dire anche dover affrontare determinati ostacoli. Ci siamo fatti una chiacchierata e insieme abbiamo deciso che fosse il momento di chiudere questi undici anni insieme. Così come nulla ha a che fare la scelta di Allegri, peraltro successiva: li conosco bene e sono due professionisti, se avessimo deciso di continuare insieme lo avrebbero fatto pensando solo a vincere”.
(Foto: twitter ufficiale Juventus)
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