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NUMERO 14 – Un dribbling al tempo

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Aneddoto numero 1: Estate 1947, Joe Smith, l’allenatore del Blackpool, rivolgendosi al neoacquisto Stanley Matthews, gli chiede “Hai 32 anni, pensi di farcela per un altro paio di stagioni?”.

Aneddoto numero 2: Primavera 1965, il suddetto Matthews, 50 anni compiuti, disputa il suo ultimo campionato da professionista con lo Stoke City. Dopo la  partita conclusiva del torneo organizza un party e invita tutti i più celebri giornalisti inglesi. Ai loro tavoli, sotto i tovaglioli, fa trovare tutti gli articoli apparsi sulla stampa negli ultimi quindici anni con l’annuncio del suo imminente ritiro.

Nel mezzo di questi due episodi vi è una carriera di una straordinaria longevità, da  autentica leggenda del calcio, con il meraviglioso fiore all’occhiello costituito dall’assegnazione del primo Pallone d’Oro.

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Ripercorriamola a partire dal momento in cui il quindicenne Matthews, in fuga dagli allenamenti di un padre pugile fin troppo ansioso di vederlo ripercorrere le sue orme,si aggrega alla squadra riserve dello Stoke City, il club della sua città natale, facendo anche da fattorino per la società con uno stipendio da una sterlina a settimana.

Il ragazzino ha a che fare con compagni ed avversari che hanno il doppio dei suoi anni ma il confronto non lo intimidisce: è svelto, agile ed ha una tecnica di base molto superiore alla media, grazie ai suoi quotidiani allenamenti infantili in cortile, intento ad esercitarsi a dribblare la fila di sedie che ha diligentemente messo in ordine.

La sua ascesa è tanto inevitabile quanto rapida: al primo campionato disputato con le riserve ne segue un altro, giocato pressoché da titolare fisso, che gli vale, a 17 anni, un contratto da professionista con la prima squadra condito da un congruo stipendio da cinque sterline a settimana, il massimo consentito dal regolamento.

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Anche nella Prima Divisione il suo talento fa la differenza e, dopo un paio  di stagioni di apprendistato, nel campionato 1933-34 diventa titolare nel ruolo di ala destra e il suo prezioso apporto alla squadra (33 presenze e 15 gol) gli frutta anche il debutto in nazionale contro il Galles, esordio festeggiato con una marcatura.

Tuttavia, i suoi repentini successi provocano anche invidie e malumori nei compagni di squadra del City, talmente accesi che spesso, in partita, viene volontariamente emarginato dal gioco con conseguenze disastrose per il club che rischia addirittura la retrocessione in Seconda Divisione.

Amareggiato per la difficile situazione e convinto che ormai non ci sia più spazio per lui in squadra, Matthews chiede ai dirigenti del City di essere ceduto e, in attesa di una risposta, si autoesclude dalla formazione, rifugiandosi a Blackpool.

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Solo la vibrante protesta dei tifosi, tutti uniti nel chiedere la sua permanenza, e un incontro chiarificatore con il Presidente del club, che lo considera imprescindibile, lo convincono a restare per disputare altri due ottimi campionati prima dello stop all’attività agonistica imposto dall’infuriare della Seconda Guerra Mondiale.

Al ritorno dal fronte, dove ha combattuto in aviazione nelle file della Royal Air Force, Matthews riprende il suo posto in squadra, riuscendo nell’impresa di portare il suo piccolo club di provincia ad un lusinghiero quarto posto finale, distaccati di pochi punti dal Liverpool, vincitore del torneo.

Ma non è destinato a rimanere ancora a lungo nel suo luogo natio e due tragici episodi, in aggiunta ad alcune incomprensioni con l’allenatore, lo segnano in maniera indelebile, al punto da spingerlo decisamente a cambiare aria.

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Il primo accade a Bolton, nel 1946. Si gioca un incontro valido per i quarti di finale di F. A. Cup, la Coppa Nazionale, tra la squadra locale e lo Stoke City.

Allo stadio del Burnden Park, a causa del sovraffollamento, vi è un crollo parziale delle tribune che causa la morte di 33 tifosi e il ferimento di oltre 400. E’  la prima, grande tragedia del calcio inglese, Matthews è talmente turbato dal drammatico incidente da non riuscire nemmeno ad allenarsi per parecchi giorni.

Il secondo è l’improvvisa morte del padre. Con il morale a pezzi, dopo tanti anni con la casacca del City, accetta il trasferimento al Blackpool.

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In realtà, c’è anche un altro motivo: il genitore, sul letto di morte, gli ha strappato la solenne promessa di vincere, almeno una volta nella sua carriera, la Coppa Nazionale, la F. A. Cup, il più antico e prestigioso torneo del calcio britannico.

I limitati mezzi del City non erano in grado di assicurargli una squadra abbastanza competitiva per vincere l’agognato trofeo mentre un club più attrezzato come il Blackpool è l’ideale trampolino di lancio per il suo obiettivo.

Matthews non trascura nessun particolare pur di raggiungere il suo traguardo: ai consueti, meticolosissimi allenamenti abbina una ferrea dieta vegetariana e uno stile di vita spartano, con nessuna concessione al fumo o all’alcool.

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Il suo fisico, cosi ben tirato a lucido, gli consente di surclassare anche avversari che, con il passare del tempo, vantano parecchie primavere in meno delle sue e, quando il fiato viene meno, l’intelligenza tattica del buon Stanley gli consiglia saggiamente di arretrare il raggio d’azione e di spostarsi di qualche metro sulla fascia per continuare a sfoderare i cross che l’hanno reso famoso.

Per ben due volte, con il suo nuovo club, arriva all’atto conclusivo della tanto desiderata F. A. Cup, la finale, ma viene sempre battuto dal diretto avversario.

Sembra che la promessa fatta al padre debba rimanere  soltanto un bel sogno ma, a volte, nella vita i sogni diventano realtà.

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Per Matthews il Destino ha in serbo qualcosa di davvero speciale: il 2 Maggio del 1953 si gioca a Londra, alla presenza di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra, la finale della 72esima edizione della F. A. Cup. Verrà ricordata come la sua finale.

In campo ci sono la sua squadra, il Blackpool,e gli avversari del Bolton.

Partita vibrante e combattuta: va subito in vantaggio il Bolton, pareggia il Blackpool con il centravanti Mortensen su assist di Matthews, ma poi la squadra del nostro ha un calo di tensione e subisce anche la seconda e la terza rete.

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3 a 1 per i rivali a 35 minuti dal fischio finale: la Coppa è sfumata ancora una volta?

A questo punto Stanley, 38 anni e ancora nessun trofeo in bacheca, decide di prendere in mano la situazione. E la partita.

Si fa dare il pallone e si invola sulla fascia per una, due, tre, infinite volte.

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Sforna un perfetto assist che il centravanti Mortensen trasforma agevolmente in rete.

Il Blackpool, trascinato dalla sua guizzante ala, mette all’angolo gli avversari che, sul finire subiscono il gol del pareggio con una punizione del micidiale Mortensen.

Si va ai supplementari: Matthews ha ancora energia in corpo, tanta quanto ne basta per servire ancora un perfetto assist al compagno Perry per il 4 a 3  conclusivo.

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La finale di Coppa d’Inghilterra più emozionante mai vista è finita e il Blackpool si è aggiudicato il trofeo. Matthews si mette al collo la tanto sospirata medaglia, rivolge uno sguardo in alto, convinto che da qualche parte lassù suo padre lo veda e sorrida e poi si gode il meritato trionfo, con tanto di abbraccio dei compagni e persino un assaggio, una volta tanto, di champagne. L’evento è unico e lo merita.

Continuerà a giocare con il Blackpool fino al 1961, con il picco di un prestigioso secondo posto nel 1956, l’anno in cui viene insignito anche del primo Pallone d’Oro.

In seguito tornerà al suo primo amore, lo Stoke City, dove, sia pur in Seconda Divisione, continuerà a dispensare meraviglie sul campo fino al suo addio nel 1965, all’età che ben sappiamo, l’anno in cui viene nominato baronetto per meriti sportivi.

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Sir Stanley Matthews, gentiluomo che ha sempre onorato lo sport, è riuscito a dribblare qualsiasi avversario che si è trovato di fronte. Persino il tempo.

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