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NUMERO 14 – Turista per caso

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“Venire come apprendista non giocatore? E che significa? Se è così, preferisco stare a casa!”. Gigi Riva, giovane punta del Cagliari, è esploso non appena i dirigenti del suo club gli hanno riferito la proposta di Edmondo Fabbri, c. t. della Nazionale.

Siamo nella tarda primavera del 1966, Fabbri sta preparando la lista dei ventidue atleti per i Mondiali d’Inghilterra. Ha le idee chiare, almeno in apparenza, un piglio fermo, da decisionista e perfino le sue antipatie dichiarate.

Come molti altri, in quel momento, è un convinto detrattore del gioco speculativo dell’Inter del Mago Helenio Herrera, per lui i trionfi nerazzurri sono frutto più della casualità che del merito. In questa sua convinzione è appoggiato dai giocatori delle altre squadre, con in prima fila Gianni Rivera, l’alfiere del bel gioco auspicato dalla stampa e propugnato dal tecnico emiliano.

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Fabbri non ha esitato a sacrificare alle sue idee alcuni pezzi da novanta come il libero Armando Picchi e il fantasista Mario Corso, il primo giudicato inadeguato come costruttore di gioco dal basso mentre il secondo sconta la fama di inaffidabile.

Durante le qualificazioni li ha impiegati poco e di malavoglia, preferendo impiegare al centro della retroguardia il libero della Juventus, Sandro Salvadore, mentre all’ala sinistra si è affidato al fiuto del gol dell’attaccante del Bologna Ezio Pascutti.

Dal canto loro, i due non gradiscono per nulla l’ostracismo dell’allenatore e, forti del loro status di giocatori affermati, si prendono il lusso di snobbare il Mondiale, rifiutando a priori la convocazione in modo da non lasciare a Fabbri la possibilità di  escluderli per scelta tecnica, come già meditava di fare.

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Quest’ultimo, forte dell’appoggio del resto della squadra e con il pieno sostegno da parte dei dirigenti, non si straccia di certo le vesti per la mancanza dei due ribelli, che per lui costituivano solo una minaccia alla coesione del gruppo.

Ormai la scelta dei selezionati è fatta, il tecnico ha solo una postilla da inserire: in Inghilterra, come aggregati  fuori lista, vorrebbe ci fossero anche Gigi Riva e il mediano della Fiorentina  Mario Bertini.

Li considera promettenti ma molto acerbi: non li include nell’elenco ufficiale dei convocati, dato che non conta su di loro, ma li vorrebbe lo stesso nel gruppo per fargli fare esperienza, gli tornerà di certo utile.

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Il mite Bertini accetta di buon grado, non cosi il fumantino Riva: è già da un anno nel giro della nazionale, sente di poter dare il suo contributo alla causa e, comunque, non gli va di essere trattato come una matricola a cui dare il contentino di una specie di gita-premio, in aggiunta al gruppo dei grandi.

La dirigenza federale non gradisce l’atteggiamento del giocatore e, d’accordo con Fabbri, gli chiarisce la situazione: non gli è consentito rinunciare, se insiste l’unica cosa che otterrà è di essere escluso per sempre dalle liste dei convocati.

Un’eventualità del genere è l’equivalente di una mannaia calata sulla carriera del loro elemento più promettente per cui la dirigenza cagliaritana si fa in quattro per fare opera di persuasione in modo da far recedere Riva dai propri bellicosi propositi.

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Quest’ultimo, una volta sbollita la rabbia, non ha nessuna voglia di precludersi per sempre il futuro in azzurro e quindi, inforcati un paio di occhialoni scuri per mascherare il disappunto, si aggrega al gruppo in partenza verso l’Inghilterra.

La sede scelta per il ritiro della Nazionale in terra inglese è Duhram, in un enorme edificio a due ali, con sistemazioni adeguate al peso politico dei giocatori: nella prima ala ci sono i senatori del gruppo (Bulgarelli, Rivera, Mazzola, Facchetti, Pascutti), quelli che contano, quelli a cui l’allenatore si rivolge per un parere mentre nella seconda ala trovano posto le seconde linee, tra cui gli aggregati Riva e Bertini.

Gigi, anche se non lo da a vedere, è furibondo: si è ritrovato in una situazione assurda e non ne capisce il motivo. Se ritengono di non aver bisogno di lui, perché diavolo hanno insistito tanto per farlo venire? Che senso ha vedere il Mondiale dalla tribuna?

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Non c’è una risposta alle sue domande, nessuno ritiene che abbia il diritto di farne e, comunque, non è cosi stupido da peggiorare le cose sfogandosi con qualche giornalista: la sua rabbia la usa come propellente nelle partitelle di allenamento, dove la squadra b prende regolarmente a pallonate i titolari designati, con il bomber cagliaritano sempre presente nel tabellino dei marcatori.

Il torneo inizia con una confortante vittoria contro il Cile per 2 a 0 ma, poi, già alla seconda partita si complicano le cose, con una sconfitta di misura contro l’URSS del mastodontico portiere Lev Jasin, già Pallone d’Oro.

Niente è compromesso, basterebbe una vittoria contro la modesta Corea del Sud per proseguire il cammino nella manifestazione. Gli avversari non destano preoccupazione, si pensa addirittura ad una goleada.

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Tuttavia Fabbri è assillato dai dubbi: vede la squadra in difficoltà sul piano fisico e molti giocatori in pessima forma. Al momento decisivo non si sente di rinunciare al suo uomo di fiducia e, contro la Corea, manda in campo Bulgarelli pur consapevole che ha un ginocchio in condizioni precarie.

La fortuna non gli da una mano: Bulgarelli si infortuna subito e non può essere sostituito, la squadra rimane in dieci in balia degli avversari che, come tante vespe impazzite, assediano in tre o quattro ogni nostro giocatore appena viene in possesso del pallone, tanto poveri di tecnica quanto gonfi di furore agonistico.

Alla fine va come doveva andare: la Corea batte l’Italia 1 a 0, la elimina dal Mondiale. Con sommo disonore per l’allenatore, massimo artefice del disastro, per i giocatori che l’hanno supportato e per i dirigenti, rei di aver avallato sempre le sue scelte.

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Al ritorno si cerca di evitare il furibondo comitato di accoglienza preparato dai tifosi delusi scegliendo di far atterrare l’aereo a Genova. Precauzione inutile: la soffiata è arrivata in tempo utile per far preparare le cassette di pomodori e uova marce da riversare sull’intero staff della Nazionale.

Gigi Riva è fuori da tutto questo, non ha colpe e, anzi, ha pure la soddisfazione di sentirsi dire da Fabbri che ha sbagliato con lui, doveva avere il coraggio di mandarlo in campo e sarebbe andato tutto in modo diverso.

Fa una smorfia che somiglia ad un sorriso: a che serve un Riva turista per caso?

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