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STORIE A FIL DI RETE – “Buonasera napolitani”
Una città paralizzata dalla festa, dalla gioia di chi ha visto compiersi un vero e proprio miracolo in una città che si nutre di simbolismi e pallone. Dove la squadra del cuore è parte integrante della stessa, ma nello stesso tempo collante di mille contraddizioni che la caratterizzano. Una Napoli unita, nel lontano 5 luglio 1984 dallo sbarco di chi è diventato uno dei più grandi di tutti i tempi e sicuramente l’icona più carismatica che il calcio abbia mai conosciuto.
L’avvento di Re Diego Armando Maradona è l’evento simbolo per eccellenza di una metropoli che ha nel proprio ego miriadi di sfumature, molte di esse decise e spigolose ma cancellate nella loro eterogeneità in quel caldo pomeriggio d’estate dell’84.
C’era tutta Napoli attorno all’impianto del fu Stadio San Paolo, oltre ai 70mila che riuscirono ad assistere con i propri occhi al primo giro di campo e palleggi di Diego. La gioia di un popolo che si protrarrà per diversi anni, con la conquista di due Scudetti e una Coppa UEFA su tutte e che sono l’emblema della storia del club napoletano.
Quel pomeriggio che fu una svolta per il Napoli e per Napoli, meta che sembrava scritta nel destino del Pibe de Oro. Città che consacra ulteriormente il suo immenso talento, croce e delizia di un campione forse fin troppo fragile per reggere un determinato peso. Eppure Maradona, nonostante tutto, ha preso il Napoli per mano e lo ha portato in cima. Prese l’intero popolo argentino sulle spalle e lo portò in cima al mondo per la seconda volta dopo il trionfo del 1978.
IL RETROSCENA DEL 1978
Il 1978 è anche l’anno della delusione mondiale per Maradona. L’allora giovane stella dell’Argentinos Junior prese parte inizialmente alla spedizione vincente guidata dal CT Luis Cesar Minotti, che decise di far fuori Maradona dalla lista definitiva per il Mondiale giocato in casa. “Ho 25 giocatori, ne devo iscrivere 22”, si limitò a commentare il tecnico, che ‘costrinse’ Maradona a vedere esultare l’Albiceleste da casa sua.
Ma in quell’anno, Diego Armando venne segnalato dalla stessa Argentina all’allora tecnico del Napoli Gianni Di Marzio che, recatosi nel Paese sudamericano proprio per seguire il Mondiale, ebbe modo di vedere da vicino quel giovane riccioluto che negli anni a venire avrebbe scritto pagine e pagine di storia.
“In quei giorni Settimio Aloisio, tifoso del Catanzaro (ex squadra di Di Marzio, ndr), disse a mio padre «Ti devo far vedere un fenomeno»”, raccontò il giornalista di Sky Sport Gianluca, figlio di Gianni, nel corso della presentazione online del libro del nostro direttore editoriale Daniele Garbo. “Mio padre non voleva neanche andarci, ma Settimio andò in albergo e lo convinse a salire in macchina. Raggiunsero il campetto dove fu organizzata una partita soltanto per far vedere Maradona all’allenatore del Napoli. Diego non si presentò perché era ancora arrabbiato per l’esclusione di Menotti dal Mondiale. Alla fine Settimio Aloisio portò mio padre a Villa Fiorito, in questa casa dove non c’era l’acqua ed era tutto sporco di fango e pieno di pozzanghere. Riuscirono a convincerlo a prendere parte a questa sorta di provino”.
Non ci volle moltissimo a far impressionare Gianni Di Marzio, che subito si rese conto di avere tra le mani un talento più unico che raro. “Mio padre da napoletano furbo – aggiunge Gianluca nel suo racconto – scese negli spogliatoi con la scusa di andare in bagno per anticipare i due giornalisti italiani presenti, tra cui uno molto vicino all’allora presidente della Lazio. Aveva paura che lo anticipasse e gli fece firmare su un foglio intestato all’Hotel una sorta di pre-contratto”.
Tuttavia, non bastò per convincere il presidente del Napoli Corrado Ferlaino, che decise di virare altrove anche in virtù delle frontiere chiuse. Per rendere possibile il trasferimento, il Napoli avrebbe dovuto ‘parcheggiarlo’ in Belgio o in Svizzera, in attesa dell’apertura delle frontiere prevista per il 1980. Un affare che sarebbe costato soltanto 270 mila dollari: sostanzialmente nulla in confronto a quanto Ferlaino esborsò nel 1984 per prelevarlo dal Barcellona, ovvero 7,5 milioni di dollari (in lire, 13 miliardi). L’appuntamento, però, fu rinviato negli anni a seguire.
LA GRANDE TRATTATIVA
Maradona nel frattempo iniziò a conquistare il mondo con le sue giocate, passando al Boca Juniors fino ad arrivare in Europa a Barcellona nel 1982. La sua esperienza catalana non fu particolarmente felice per Diego e iniziò con l’epatite virale che lo tenne lontano dal campo per tre mesi. Diversi problemi fisici, tra cui il tremendo infortunio al ginocchio, associati ai non pochi problemi di ambientamento ne condizionarono il suo benessere in Spagna. La Catalogna iniziava a stare stretta a Maradona: urgeva una sfida nuova e, perché no, ambiziosa.
In Italia, frattanto, il Napoli era reduce da stagioni complicate: anni in cui riuscì addirittura a raggiungere stentatamente la salvezza e in cui il progetto Ferlaino, malgrado alcuni importanti investimenti, non riusciva a decollare.
In quei mesi l’allora dirigente del Napoli, Antonio Juliano, contattò la società blaugrana per organizzare un match amichevole, in cui Maradona non sarebbe stato presente “perché infortunato”. In realtà, il problema fisico era soltanto la motivazione ufficiale per nascondere la rottura tra l’argentino e il Barcellona. A scoprirlo fu lo stesso Juliano che decise a quel punto di intavolare una trattativa che sembrava praticamente impossibile anche da immaginare, almeno all’inizio.
Le società cominciarono a discutere a fine maggio del 1984 e le voci della trattativa iniziarono a serpeggiare anche in città, alimentando la curiosità dei tifosi che attendevano una svolta dopo anni di difficoltà. Il Barcellona era convinto che la trattativa non potesse andare in porto, proprio perché la società partenopea non disponeva delle risorse finanziarie per poter coprire i costi di un’operazione così complessa. La prima richiesta del Barcellona era di 11 miliardi di euro, ed effettivamente il Napoli non poteva permettersi un investimento così oneroso.
Ma l’affare a Napoli mobilitò anche la politica, con il sindaco Scotti che fece da vero e proprio intermediario tra Ferlaino e Ventriglia, presidente del Banco di Napoli. L’istituto di credito riuscì a dare tutte le garanzie economiche al Barcellona, che era sempre più bastone tra le ruote degli azzurri e di Diego Armando Maradona.
La trattativa durò ben quaranta giorni esatti e sui giornali dell’epoca non si batteva altro. Giorni in cui l’ottimismo si alternava a brusche frenate, a giochi di parte e a bluff che hanno tenuto con il fiato sospeso Napoli fino all’ultimo.
Tant’è che lo stesso Maradona fu costretto a forzare la mano pubblicamente con il Barcellona. L’argentino voleva la Serie A, all’epoca il maggior campionato al mondo per forza economica e tecnica, e voleva in particolare gli azzurri, che lo sfiorarono soltanto nel ’78. Il calore che si percepiva anche a latitudini ben distanti dalla Spagna fu un fattore determinante e Maradona aveva la possibilità di rimettersi in gioco, in una sfida stimolante e che gli rifacesse tornare il sorriso perduto al Camp Nou.
Anche la Serie A chiamava Maradona, e in maniera sorprendente fu proprio il simbolo dei rivali per eccellenza del Napoli a chiamarlo in Italia. Quel Michel Platini, emblema della Juventus, che ai microfoni de Il Corriere dello Sport dichiarò senza giri di parole “Maradona, vieni in Italia”. Nel gran galà del campionato italiano mancava soltanto Diego: un’occasione troppo ghiotta da mandare in fumo per il nostro calcio e per Maradona stesso.
Diego fu così protagonista della storica prima pagina del Guerin Sportivo (edizione del 6-12 giugno del 1984), che lo vedeva in posa con una maglia del Napoli, ribadendo così in maniera chiara e indistinta la volontà di abbracciare finalmente la squadra azzurra.
Una pressione che si rivelerà fatale per le dure resistenze del Barcellona, che proprio in quei giorni riteneva la trattativa sostanzialmente chiusa, per buona pace di Maradona e del Napoli.
Il 29 giugno il Barcellona chiese addirittura un plus di 2 miliardi di lire per chiudere l’affare, a dimostrazione di quanto i catalani volevano non cedere a tutti i costi Maradona al Napoli. Il giorno dopo il mercato si sarebbe chiuso e l’affare sembrava essere saltato definitivamente. Non per Ferlaino, che riuscì a risolvere il tutto con un vero e proprio colpo da novanta.
“Non avevamo quei due miliardi per concludere la trattativa”, raccontò in un’intervista a La Repubblica nel 2014 Corrado Ferlaino. “L’ultimo giorno utile presi l’aereo e andai in Lega a Milano, dove consegnai una busta vuota. Da lì con un volo privato a Barcellona: feci firmare Maradona e in piena notte tornai a Milano correndo in Lega. All’ingresso dissi alla guardia giurata che avevo sbagliato una procedura, salimmo negli uffici e di nascosto sostituii la busta: portai via la vuota e lasciai quella con il contratto. All’alba Napoli era in festa”.
L’affare, dopo mille tira e molla, si concluse e Maradona firmò un contratto di sei anni da un miliardo e 300 milioni annuali e un 15% che il calciatore argentino avrebbe guadagnato dal costo del cartellino.
Una gioia che consegnò alla città di Napoli una data storica, quella del 5 luglio 1984, in cui finalmente i napoletani riuscirono a incoronare personalmente il nuovo Re. Bastò semplicemente un “Buonasera napolitani” per far ruggire lo stadio dei 70mila in festa. Quello stadio che oggi porta il suo nome, tangente testimonianza di un amore che continuerà ad andare avanti in eterno. Che continuerà a vivere nell’orgoglio di una città che vivrà sempre nel solco di Diego Armando Maradona.
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