A(F)FONDO
A(F)FONDO – Il protocollo VAR…ivisto
Il protocollo VAR
Il protocollo VAR, ne abbiamo già parlato in passato, è quella parte del Regolamento del Giuoco del Calcio che disciplina l’utilizzo della tecnologia VAR.
Allo stato attuale, il VAR può intervenire soltanto in caso di “grave ed evidente errore” o di “grave episodio non visto” e limitatamente, comunque, alle seguenti situazioni: – rete segnata o non segnata; – calcio di rigore o non calcio di rigore; – espulsione diretta; – scambio d’identità.
La applicazione
Dopo un inizio tormentato, il VAR è ormai un elemento imprescindibile; continua, però e purtroppo, a sollevare polemiche.
Il problema vero non è tanto lo strumento in sé, che funziona oramai bene o molto bene, ma la persistente difformità di utilizzo.
E tutto risiede nell’ampia discrezionalità volutamente lasciata ai Direttori di gara circa l’individuazione dei casi in cui il VAR può entrare in gioco.
Le espressioni “grave ed evidente errore” e “grave episodio non visto” implicano una valutazione con un enorme grado di discrezionalità.
Accadrà inevitabilmente, e si è infatti già verificato più volte, che episodi simili o addirittura sovrapponibili siano valutati diversamente, sotto il profilo dell’intervento VAR.
Il presupposto
Tutto nasce dalla esplicita esigenza, assolutamente condivisibile, di preservare il primato del Direttore di gara come arbitro terzo ed imparziale, e non influenzabile, della gara.
Tuttavia questa esigenza ha condotto, a parere di chi scrive, ad un errore grossolano: quello di riproporre a monte, con il protocollo attuale, le incertezze ed i problemi che si volevano risolvere, e si sono in gran parte risolti, a valle.
Le soluzioni: individuazione oggettiva dei casi di intervento
La individuazione oggettiva dei casi di intervento sarebbe un primo, sostanziale contributo alla risoluzione delle attuali incertezze.
Se il protocollo VAR prevedesse l’intervento, ferme le altre regole e nei soli casi già elencati, soltanto in presenza di “episodio non visto”, non residuerebbero più dubbi applicativi.
L’errore dell’arbitro, persino quello grave ed evidente, deve essere un elemento di gioco, esattamente come può esserlo l’infortunio di un giocatore, piuttosto che un rimpallo fortunoso.
Le soluzioni: il VAR a chiamata
Il secondo e auspicabilmente definitivo contributo alla tacitazione di ogni polemica sarebbe la introduzione del VAR a chiamata. Ne parlavamo già la scorsa stagione con Luca Marelli, tra i primi a perorare la causa.
Ogni allenatore dovrebbe avere la possibilità, slegata dai vincoli prima indicati, di richiedere ed ottenere la revisione VAR due volte a partita, una volta per tempo regolamentare di gioco (con un supplemento per tempo nelle competizioni in cui siano previsti i tempi supplementari).
Attraverso un meccanismo del genere si azzererebbero quasi del tutto le possibili recriminazioni a fine partita e si introdurrebbe un nuovo elemento strategico a disposizione delle società.
L’utilizzo del “jolly” diverrebbe uno dei vari strumenti a disposizione dell’allenatore nell’ambito del match, responsabilizzando anche i giocatori sotto il profilo delle simulazioni e delle proteste.
Il futuro
Il VAR a chiamata è argomento di discussione già da molto tempo, ma residuano tuttora grosse resistenze.
Le stesse che c’erano rispetto allo strumento in sé, prima della sua introduzione.
E nel frattempo si parla già di tecnologia specifica, in tempo reale, per la valutazione degli offside.
Bisogna entrare nell’ordine di idee che la tecnologia non è il male, ma che l’unico vero male è un suo scorretto utilizzo.
La componente umana deve restare portante, l’automazione totale snaturerebbe il gioco, ed è ovvio.
Ma bisogna fare attenzione a non privarsi degli enormi vantaggi che la tecnologia può dare, per il solo timore del nuovo.
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