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NUMERO 14 – Quattro contro l’allenatore

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E’ dolce e profumata la primavera del 1988 a Napoli. Nell’aria si respira ancora la fragranza del ricordo del primo scudetto della squadra partenopea e già si profila all’orizzonte un nuovo traguardo. I campioni d’italia in carica hanno dominato sin dall’inizio anche questo campionato e sono vicini ad uno straordinario bis tricolore. Ma accade l’incredibile: il gruppo si sfalda, perde quattro delle ultime cinque partite e consegna il titolo al Milan di Arrigo Sacchi. Nel frattempo viene fuori una sconcertante verità, affidata alle parole di uno scarno comunicato.

Il portiere clown

Premesso che siamo professionisti seri e che nessuno questo può negarlo, a seguito della situazione che si è venuta a creare, noi riteniamo giusto chiarire la nostra posizione. La squadra è sempre stata unita e l’ unico problema è il rapporto mai esistito con l’ allenatore, soprattutto nei momenti in cui la squadra ne aveva bisogno. Nonostante questo gravissimo problema, la squadra ha risposto sul campo sempre con la massima professionalità. Di questo problema la società era stata preventivamente informata. Firmato: I giocatori del Napoli”. A leggere queste parole davanti ai microfoni è Claudio Garella, il portiere titolare, uno degli artefici del complotto ai danni del tecnico Ottavio Bianchi. Anche se il documento porta la firma di tutti i giocatori della squadra la società azzurra decide di schierarsi dalla parte dell’allenatore ed allontanare i presunti capi della rivolta di spogliatoio. Che vengono prontamente identificati in Bagni, Ferrario e Giordano. In aggiunta a Garella, passato da indispensabile ad indesiderato nel giro di un anno e destinato, dopo l’epurazione, a finire la carriera in provincia, ad Udine ed Avellino. Gli stessi luoghi dove aveva cercato rifugio, ad inizio carriera, dopo una traumatica esperienza come portiere titolare della Lazio. I suoi ripetuti errori, per cui era stato soprannominato “Paperella”, gli avevano alienato per sempre le simpatie della tifoseria, al punto da arrivare ad una vera e propria aggressione fisica ai suoi danni, cui aveva posto rimedio con un frettoloso trasferimento a Genova, nelle file della Sampdoria. Dopo tre anni, pienamente rigenerato, aveva accettato le offerte del Verona: tre stagioni, ottimi piazzamenti e uno storico scudetto conquistato nel 1985. Poi, all’indomani del tricolore, il trasferimento al Napoli. Di nuovo una grande sfida in una piazza molto esigente. Nonostante le critiche al suo modo di stare in porta, ai limiti del clownesco (fondamentali appena sufficienti, scarsa coordinazione, tendenza ad affidarsi solo ai movimenti d’istinto) si era imposto come portiere affidabile, aveva conquistato la stima della tifoseria ed era divenuto uno dei leader dello spogliatoio.

Il guerriero fragile

Stesso ruolo che spettava a Salvatore Bagni, centrocampista di sostanza dai piedi buoni, dotato di una carica agonistica pari solo al suo carisma. Arrivato a Napoli nell’estate 1984, assieme a Diego Maradona, ne era divenuto subito inseparabile amico, oltre che spalla preziosissima in campo. Le funamboliche invenzioni dell’argentino erano spesso il frutto dei recuperi effettuati dal grintoso mediano, sempre pronto a far ripartire l’azione per arrivare al magico sinistro del Pibe de Oro. Allo stesso modo aveva ottenuto la leadership del centrocampo della nazionale: dopo il Mondiale del 1986 in Messico era stato protagonista anche delle qualificazioni all’Europeo del 1988 in Germania. Solo un ginocchio scricchiolante e il rifiuto di sottoporsi ad una operazione gli avevano impedito di partecipare alla manifestazione. Un carattere facile all’ira  completa il quadro di un giocatore fragile, capace di passare in un attimo dal ruolo di pupillo dell’allenatore a suo acerrimo nemico. Sconterà le sue colpe con un esilio ad Avellino, in serie B.

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Un rapporto logoro

Al contrario rivestiva il ruolo di leader silenzioso Moreno Ferrario. Stopper di origine lombarda, nelle file del Napoli sin dal 1977, aveva costituito, assieme allo storico capitano Bruscolotti, il nucleo della difesa azzurra per molte stagioni. Molto professionale, dotato di ottima tecnica per un difensore, aveva ricoperto anche il ruolo di rigorista nelle due stagioni precedenti l’arrivo di Maradona. La sua proverbiale freddezza, anche nei momenti più drammatici di una partita, lo rendeva l’uomo più adatto per assumersi certe responsabilità. In quella primavera dell’88, tuttavia, gli ormai lunghi anni di militanza e l’avanzare dell’età avevano indotto i dirigenti ad aspettare fino all’ultimo per decidere sul rinnovo. Si temeva che Ferrario, ormai prossimo ai trenta e all’ultimo contratto della carriera, puntasse a ricavare il massimo da una situazione favorevole. Passerà alla Roma, per due campionati da riserva, spesso infortunato.

All’inferno e ritorno

Chi invece ci aveva ormai fatto il callo alle situazioni complicate era Bruno Giordano. Già enfant prodige delle giovanili della Lazio, aveva ereditato la maglia e il ruolo del suo idolo d’infanzia Giorgio Chinaglia poco più che maggiorenne. I suoi gol avevano tenuto a galla la squadra sino al suo coinvolgimento nello scandalo del calcio scommesse del 1980. Tre anni di squalifica gli avevano anche fatto perdere la maglia della nazionale e il vittorioso Mondiale del 1982. Solo l’amnistia susseguente al trionfo spagnolo gli aveva consentito di tornare in campo in tempo per riportare la sua squadra in Serie A, laureandosi capocannoniere della serie cadetta. Altri due campionati nella massima categoria e un clamoroso rifiuto a passare alla Juventus prima di una nuova retrocessione e del trasferimento a Napoli alla corte di Re Diego. I suoi giri sulle montagne russe della sorte, tuttavia, non hanno mai fine: spalla prediletta di Maradona sin dal primo momento, conquista lo scudetto del 1987 giocando a fianco dell’argentino e di Carnevale e poi forma il famoso trio MaGiCa assieme al suo capitano e al neoacquisto Careca.  Anche se giostra spesso più da trequartista che da centravanti la qualità del suo rendimento sembra che possa spalancargli di nuovo le porte della nazionale. Ma la bufera del Maggio 1988 travolge ogni cosa e viene spedito all’Ascoli per un mesto finale di carriera.

L’uomo di ghiaccio

Ma era davvero tutta colpa dei giocatori? Come mai ll Napoli scelse senza esitazioni di schierarsi dalla parte del tecnico e di sostenerlo sino all’ultimo, preferendo rinunciare a giocatori anche molto popolari tra i tifosi? In situazioni simili è normale che si decida di esonerare l’allenatore piuttosto che smembrare la squadra. Ma il caso di Ottavio Bianchi costituiva l’eccezione alla regola. Ex calciatore in forza al Napoli alla fine degli anni Sessanta, conosceva bene pregi e difetti dell’ambiente. Ai suoi tempi, pur disponendo di campioni come Sivori, Altafini e Zoff, la squadra non aveva mai vinto nulla. Troppo umorale la piazza, troppa l’influenza sui giocatori, troppe pressioni extrasportive da sopportare. Per ottenere risultati, quindi, aveva chiesto al direttore generale Allodi, l’uomo che lo aveva voluto sulla panchina partenopea, assoluta autonomia nella direzione del gruppo. Nessuna ingerenza da parte della società sulla gestione dei rapporti con la squadra, piena libertà nelle scelte tecniche e tolleranza zero nei confronti di chi avesse remato contro. Il suo rigore era stato premiato con lo scudetto e adesso la stima che si era guadagnato da parte della società lo metteva al riparo da ogni rischio. Del resto i quattro ribelli erano comunque già in bilico, per varie ragioni. La carta d’identità, innanzitutto: per tutti era ormai sopra o prossima ai trenta, motivo valido per pensarci bene prima di concedere un rinnovo pluriennale. Poi le condizioni fisiche, soprattutto di Bagni, consigliavano prudenza nei confronti di atleti con un fisico usurato da una già lunga carriera. Quindi, gli equilibri interni alla squadra: la presenza del brasiliano Careca aveva costretto alla panchina Andrea Carnevale, uno degli artefici dello scudetto. L’ex bomber dell’Avellino aveva accettato di malavoglia un anno di panchina, ma la sua pazienza non sarebbe durata per un’altra stagione. Quindi il già 32enne Giordano, cannoniere dal caratterino difficile, era diventato ingombrante. Come Garella, portiere discutibile. Al suo posto i dirigenti avrebbero visto bene Walter Zenga, il portiere della nazionale. L’accordo era già stato raggiunto, mancava solo la firma. Solo la contestazione dei tifosi dell’Inter costrinse Zenga a fare retromarcia ed impedire all’affare di andare in porto. Lo stesso Ferrario, giocatore di lungo corso, faceva pensare che sarebbe stata una scelta saggia mettere un altro più giovane al suo posto. Alla fine, la famigerata rivolta del Maggio 1988, propugnata più che inaspettata, consenti ai dirigenti del Napoli di liberarsi di giocatori scomodi senza eccessive polemiche. Con buona pace di chi parla di ingerenze della camorra, della gestione del Totonero e di accordi tra Berlusconi e Ferlaino per una compravendita del titolo.

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