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NUMERO 14 – Lo scudetto degli esclusi

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Per i golosi è la sede del pastificio Bauli, casa produttrice del celebre Pandoro. Per i romantici è la città dove Shakespeare ambientò l’immortale dramma amoroso di Romeo e Giulietta. Per gli sportivi, invece, il suo nome resterà sempre legato al ricordo di una clamorosa impresa compiuta da un gruppo di irriducibili al comando di un saggio allenatore.

Sogni in riva all’Adige

Verona, estate 1984. I tifosi sulle tribune dello stadio Bentegodi non hanno proprio di che lamentarsi. La squadra, promossa da un paio d’anni nella massima serie, si sta facendo decisamente onore. Un quarto e un sesto posto nella classifica dei due precedenti tornei ha permesso agli scaligeri di ritagliarsi un ruolo da outsider tra le tradizionali grandi del calcio italiano. Certo, è bello poter fare la parte della matricola terribile ma qualcuno, in riva all’Adige, comincia a pensare a ben altri traguardi. Gli stessi dirigenti hanno capito di aver per le mani un bel giocattolo, al punto di condurre una  sontuosa campagna acquisti. Dal Belgio arriva il poderoso centravanti danese Preben Larsen-Elkjaer. Ha ben figurato ai recenti Europei con la sua Nazionale, arriverà secondo nella classifica del Pallone d’Oro, ha tutte le carte in regola per sfondare, compreso il vezzoso doppio cognome, tipico di una primadonna. Assieme a lui arriva anche il secondo straniero, un marcantonio tedesco con i piedi buoni che risponde al nome di Hans Peter Briegel. E’ una vecchia conoscenza, ce lo ricordiamo bene nei panni di affannato marcatore dell’imprendibile Bruno Conti nella finale del Mondiale di Spagna dell’82. Anche lui è sbarcato in Italia per dare una svolta alla sua carriera.

Il mago della Bovisa

A fare gli onori di casa ai due è l’allenatore, il milanese Osvaldo Bagnoli. Originario del quartiere popolare della Bovisa, di famiglia operaia, ha alle spalle una onesta carriera come centrocampista che lo ha visto anche vincere uno scudetto con il Milan. Terminato il suo percorso da calciatore ha iniziato subito il suo apprendistato come allenatore, con la gestione delle giovanili del Como per poi diventare allenatore della prima squadra dei lariani in serie B e conquistare una insperata salvezza. Le successive tappe a Rimini, a Fano (in C2) e a Cesena ne certificano le doti di specialista in passaggi di categoria, con ripetute promozioni. In questa veste viene chiamato dai dirigenti del Verona e lui esegue la missione a puntino, portando la squadra in Serie A al primo colpo e poi centrando i due ottimi piazzamenti di cui abbiamo già detto. Ha ormai una consolidata reputazione di ottimo gestore d’uomini, in grado di tirare fuori il meglio anche da atleti ritenuti mediocri. Il suo nomignolo, il Mago della Bovisa, fa pensare che abbia più di un coniglio da estrarre dal suo cilindro.

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Voglia di riscatto

La  sua fama di motivatore ha un ottimo terreno su cui attecchire, la rosa della squadra è formata quasi per intero da giocatori scartati da altri club. E per i più svariati motivi. In porta c’è un omone grande e grosso, Claudio Garella, che dopo un debutto da giovanissimo tra i pali del Torino ha vissuto una traumatica esperienza a Roma, nelle file della Lazio. Designato titolare al posto dell’amatissimo Felice Pulici, il portiere dello storico scudetto del 1974, è incappato in un paio di giornate storte, con errori a ripetizione e valanghe di gol incassati. Inevitabile l’impietosa storpiatura del suo cognome in “Paperella” e la feroce contestazione degli ultras laziali sfociata addirittura in una aggressione fisica. Garella è stato costretto ad abbandonare Roma per sbarcare a Genova con la maglia della Sampdoria. Tre campionati senza infamia e senza lode in blucerchiato gli hanno valso la chiamata del Verona. Adesso vuole dimostrare di essere un portiere affidabile e scacciare i fantasmi del passato. Davanti a lui agisce, con la fascia di capitano, un giovane ed elegante libero. Roberto Tricella è un prodotto delle giovanili dell’Inter, ha esordito con la maglia nerazzurra in Serie A non ancora ventenne. Ma il club non ha mai creduto in lui e ha lasciato che emigrasse a Verona, dove è divenuto il leader del gruppo. Ai suoi fianchi agiscono i marcatori Ferroni e Fontolan, il primo cresciuto nella Sampdoria (dove ha indossato anche la fascia di capitano) e il secondo nel Como. Ad entrambi è stato dato il benservito dai rispettivi club alla soglia dei trent’anni senza una spiegazione. Ora sono la coppia di marcatori più implacabile della Serie A. sulla fascia sinistra c’è un vigoroso stantuffo di nome Marangon. E’ cresciuto nel vivaio della Juventus, a 18 anni volevano mandarlo a fare esperienza a Catanzaro. Ha rifiutato seccamente e si è giocato il suo futuro in bianconero. Ha sfiorato lo scudetto a Napoli e a Roma dopo essere stato un pilastro del Vicenza e ora è tornato in Veneto per il grande traguardo. A centrocampo c’è la coppia Bruni- Di Gennaro, entrambi con un passato nelle file della Fiorentina. Il primo era considerato l’erede di De Sisti, almeno prima di fare i conti con un brutto infortunio, mentre il secondo aveva il torto di giocare nello stesso ruolo del capitano Giancarlo Antognoni. Per Bruni il difficile recupero era coinciso con l’addio a Firenze, destino condiviso con Di Gennaro data l’intoccabilità dell’amatissimo numero dieci viola. Infine, sulla fascia e al centro dell’area vi erano Pietro Fanna e Giuseppe Galderisi. Entrambi ex della Juventus. Fanna era l’erede designato del Barone Franco Causio, per oltre un decennio padrone indiscusso della casacca numero 7 bianconera. Almeno avrebbe dovuto esserlo. Ma, al termine di un lustro di militanza, la sentenza era stata inappellabile: troppo incostante, troppo fragile caratterialmente, sente troppo il peso della maglia. E’ stato ritenuto un giocatore non di primo piano, adatto ad una squadra di provincia. Verona sembra essere il suo habitat naturale, cosi come per Galderisi, considerato troppo poco prestante per guidare l’attacco bianconero. Eppure il piccolo centravanti (appena 168 cm di altezza) aveva risolto vari match quando era stato chiamato in causa ma poi, data la presenza nel suo ruolo dei vari Rossi e Bettega, era stato ritenuto di troppo e ceduto, quindi, al miglior offerente. Questo gruppo di esclusi in cerca di rivincita, con l’aggiunta dei due stranieri, insegue, dunque, la grande impresa.

Marcia trionfale

Il debutto, contro il Napoli dell’esordiente Maradona, è una squillante vittoria. La settimana dopo, ad Ascoli, è un nuovo successo, il primo in trasferta. I successivi match (Inter, Roma, Juventus) passano senza una sconfitta e il Verona è al primo posto in classifica, posizione che manterrà fino alla fine del girone d’andata, laureandosi campione d’inverno. La squadra gira come un orologio: la difesa è un bunker difficilmente perforabile, orchestrata dal sagace Tricella con la collaborazione dei due mastini d’area Ferroni (o Volpati) e Fontolan. Sulla sinistra Marangon spinge come un dannato. Come ultimo baluardo c’è il granitico Garella, sicuro tra i pali e determinante nelle uscite, di mano o di pugno. A centrocampo giganteggia la coppia Bruni-Di Gennaro, con il secondo che si guadagna anche la maglia della nazionale. L’ex terzino Briegel, reinventato mediano di spinta, si rivela determinante sia in copertura che con i suoi sganciamenti.  In avanti Fanna, deciso e continuo, fa la fortuna, con i suoi assist, dei due attaccanti Galderisi (capocannoniere della squadra con 11 reti) ed Elkajer. L’elefantiaco danese mette la firma sul successo, prima con l’indimenticabile gol segnato senza scarpa contro la Juventus e poi con la rete che certifica lo scudetto, segnata all’Atalanta alla penultima giornata. La settimana successiva, il Bentegodi in festa acclama gli eroi che hanno fatto vivere ad una città di provincia il sogno più bello.

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