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Angolo del tifoso

Angolo Lazio – Il solito inutile e isterico mercato di gennaio

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Come sarebbe finita la finestra di calciomercato invernale della Lazio, i tifosi lo sapevano benissimo: Cessione degli esuberi in prestito con biglietto di ritorno, immobilismo totale sul fronte entrate fino ai 100 nomi dell’ultimo folle giorno e topolino finale partorito dalla montagna. È arrivato Jovane Cabral, attaccante esterno dello Sporting Lisbona, ed è stato tesserato Kamenovic, difensore serbo che da 6 mesi si allena a Formello senza poter mai scendere in campo perché appunto con il contratto non depositato in lega. Se il “Jovane” capoverdiano (passaporto portoghese) potrà essere utile alla causa ce lo dirà il giudice supremo del calcio: il campo. Pare chiaro però che il suo non è stato un nome ragionato. Il giocatore, per sgombrare il campo da equivoci, è stato seguito per molto tempo, circola in orbita Lazio dallo scorso anno. Ma è palese che se prima di lui vengono cercati giocatori con altre caratteristiche, sceglierlo è stata una mossa disperata, last minute. Destro, Lucca, Miranchuk e Dany Mota sono i calciatori cercati nelle ultime 24 ore per sostituire Muriqi. Centravanti veri alcuni, nessuno di questi con le caratteristiche del giocatore arrivato.

COLPEVOLEZZA PIRAMIDALE

Dalle 20.00 di ieri 31 gennaio è scattata la caccia al colpevole. Tra i tifosi serpeggia malumore e insoddisfazione anche se, per i più navigati, la speranza di un calciomercato mirato e ragionato restava comunque una chimera. In tutti questi anni della presidenza Lotito, tranne in un’occasione in cui la classifica era piuttosto delicata, mai nella finestra invernale si sono fatti interventi massicci e strabilianti. Anzi spesso la delusione è stata cocente e solo per inaspettati colpi di fortuna il rinforzo ebbe ripercussioni positive negli anni. I casi di Candreva e Mauri,  arrivati a gennaio e divenuti simboli dei biancocelesti per molte stagioni, rimangono gocce in mezzo a un mare di flop.

In una società piramidale, nel caso della Lazio parecchio corta, il colpevole principale va sempre ricercato nel capo. Colui che comanda ha sempre la responsabilità dell’intera nave, successi e sconfitte, luci e ombre. Lotito è il padre padrone della società, tutto passa da lui, niente viene delegato, nessuno ha il potere del si finale senza che lui venga informato. Negli ultimi tempi si è molto speso per le sue battiglie di politica sportiva, in prima linea contro i Presidenti di FIGC e Lega Calcio, mettendo da parte la Lazio e di conseguenza i suoi tifosi. Lui stesso ha dichiarato al Messaggero solo pochi giorni fa: “In questo periodo ho avuto da fare ma adesso scendo in campo io per risolvere la questione“.

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Il suo impegno per la squadra quindi è venuto dopo altro e questo non va bene. Il suo pensiero per le sorti di ciò che muove la passione di migliaia di tifosi, non può venire dopo nulla. Al tifoso le battaglie personali interessano poco o niente e, se non si è in grado di assicurare un impegno costante, le possibilità sono due: delegare la gestione sportiva a qualcuno che realmente abbia potere decisionale o farsi da parte.

ERRATA PROGRAMMAZIONE

L’impressione di chi scrive è che la programmazione economica e gestionale della Lazio non sia in linea con ciò che realmente si fa. Il club si autofinanzia, fa fronte cioè ai suoi bisogni con quello che incassa. Al contrario di altre società non vengono fatti aumenti di capitale per reperire una maggiore forza economica. Questo dovrebbe portare ad avere una gestione finanziaria totalmente diversa da quella che viene attuata. Sembra palese che non si possa prescindere dal trovare sul calciomercato le risorse per il governo della società poiché gli introiti provenienti dai risultati sportivi non consentono una programmazione costante negli anni. Nei 18 anni della presidenza Lotito solo due volte la Lazio si è qualificata per la fase a gironi della Champions, “conditio sine qua non” per sopravvivere ad alti livelli senza immettere denaro fresco. Mantenere i campioni in rosa è un sollievo per i tifosi sul momento ma è ciò che alla fine ha creato la situazione attuale di IMMOBILISMO. La vendita di Correa all’Inter porterà la possibilità dal 1 febbraio di avere più margini di manovra e questa sembra l’unica strada percorribile per il futuro: vendere per acquistare, per rifondare, per ringiovanire progressivamente la rosa, Atalanta docet.

#TAREOUT

Partendo quindi dal presupposto che il responsabile maggiore di questa situazione sia Lotito non si può prescindere dal considerare il direttore sportivo Igli Tare correo del presidente. In un precedente articolo avevo illustrato “Splendori e Miserie” del ds albanese, sottolineando come gli splendori si fossero fermati a diversi anni fa. Negli ultimi anni sono state sbagliate tutto le scelte, sono stati comprati giocatori che si sono rivelati inutili e costosi tanto da essere una zavorra per la società. Aspettarsi un passo indietro da Tare non sembra una possibilità reale cosi come un intervento del presidente per esautorare il dirigente. I conti si faranno probabilmente a fine anno ma è chiaro che se nulla cambierà dopo le ultime fallimentari imprese bisognerà iniziare a chiedersi quali sono i reali motivi di questo connubio inseparabile. Le dietrologie che accompagnano il rapporto tra Tare e Lotito non ci interessano perché non conoscendo la verità restano appunto non dimostrabili e buone solo per chiacchere da social. È chiaro però che, in assenza di soddisfacenti risultati, le domande saranno lecite.

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AGGRAPPATI A SARRI

Da ieri sera alle 20.01 è partita la solita giostra del dopo mercato: accuse incrociate, proteste veementi e isterismo collettivo. La paura di veder infrangere una rivoluzione ancora agli albori serpeggia tra la tifoseria perché l’arrivo di Sarri aveva fatto scordare in fretta il tradimento di Inzaghi e ridato una speranza di cambiamento. Il mister laziale non può essere contento perché le sue richieste di puntellare la rosa con due giocatori sono state esaudite ma solo numericamente. La fronda anti Sarri, composta da malinconiche vedove dell’ex tecnico ora all’Inter, allenatori disoccupati con curriculum imbarazzanti e giustificatori seriali dell’operato societario, è ripartita spada in resta. Colpa di Sarri che non si è imposto, che non sa valorizzare, che non sa cambiare, che non si dimette, che non rinnova, che non sbraiata in pubblico. Comunque per loro sarà, anzi già è, colpa sua. Sembra impossibile che l’ex allenatore del Napoli non fosse a conoscenza delle possibilità societarie, delle dinamiche passate, dei comportamenti incancreniti di presidente e direttore sportivo. Sarri ha firmato un contratto fino al 2023 a 3 milioni e mezzo di euro, consapevolmente, sapendo dove andava ad allenare e alle dipendenze di chi andava a lavorare. Se, come sbandierato da più parti,  firmerà il prolungamento vorrà dire che questa situazione non lo turba più di tanto e che i discorsi privati tra lui e la dirigenza sono più chiari di quelli che l’esterno percepisce. Se invece questo mood non sarà per lui sostenibile, a fine anno (le dimissioni in corsa con conseguente perdita di 5-6 milioni paiono complicate) saluterà con buona pace di chi, come chi scrive, l’ha difeso e lo difenderà fino all’ultimo giorno di permanenza a Roma. Nella certezza, ancora salda,  che il sarrismo possa essere l’unico antidoto all’eclissi del romanticismo calcistico. Le storie d’amore si fanno in due e la quasi totalità della tifoseria è dalla sua parte ma, in caso di abbandono, non perderanno comunque quella che è da sempre la stella polare della loro vita da tifosi: l’amore per la maglia con l’aquila sul petto sopra a ogni cosa. 

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