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La pace secondo Roman
La parola “pace” assume in questi tempi significati ancor più profondi. In un’Europa che ormai più di un mese fa ha scoperto l’ora più buia dal secondo dopoguerra, continuano le battaglie e le morte di civili, tanti. E non solo: anche perché – guai a dimenticarselo – i soldati restano degli esseri umani come tutti noi. Mandati, comunque, a morire e poco importa se di mestiere fanno proprio la guerra.
Tutto il mondo attende che si arrivi alla tregua, alla speranza. Alla “pace”: parola che pende anche dalle labbra di Roman Abramovich, che il calcio ha imparato a conoscere come il presidente del Chelsea. Carica da cui ha deciso di dimettersi appena dopo l’invasione “per tutelare gli interessi del club”.
Il tutto, contestualmente alla sua messa a disposizione per i colloqui tra Russia e Ucraina, all’inizio difficili e soltanto da pochi giorni più ragionevoli.
Un uomo legato (oggi chissà fino a quanto) al presidente russo Vladimir Putin e che è, al contempo, un punto di riferimento per il suo omologo ucraino Volodymyr Zelenskyi. Il punto di contatto tra aggressore e aggredito che di questi tempi scontato, sicuramente, non è.
Più di un semplice oligarca
Già di per sé la definizione di ‘semplice oligarca’ suona come un’espressione del tutto ossimorica, ma nel caso di Roman Abramovich parliamo di un qualcosa che va addirittura oltre.
Insomma, non si è per caso uno degli uomini di fiducia di chi è alla guida della seconda superpotenza nucleare. E se ci aggiungiamo che fu lo stesso Roman a suggerire il nome dell’ex KGB per il post Eltsin, ci si accorge del peso anche politico (ancor prima di quello economico-imprenditoriale) che Abramovich ha nel suo Paese.
Ufficialmente, l’unica carica politica ricoperta dal magnate russo resta quella del governatore dell’isolatissimo circondario autonomo di Cukotka, diventandone poi successivamente il presidente del parlamento.
Ma la sua fama oltre i confini russi la si deve sicuramente all’acquisizione del Chelsea, con cui si è consacrato a livello sportivo e a livello d’immagine agli occhi del mondo. La semplice punta dell’iceberg, evidentemente.
Da Gosmel a Istanbul: nel mezzo, il presunto avvelenamento
Presente sia ai primi colloqui di Gosmel, in Bielorussia, che a Istanbul nel vertice bilaterale sotto la regia della Turchia di Erdogan: Roman Abramovich si è ritagliato uno spazio cruciale nei negoziati tra Russia e Ucraina.
Il suo ruolo, non riconosciuto ufficialmente, è ben noto a tutti. È mistero, però, sul rapporto oggi in essere tra l’oligarca e Putin e non è dato sapersi nemmeno se la sua posizione sia condivisa dallo zar stesso.
“Abramovich si è impegnato a garantire alcuni contatti tra la parte russa e quella ucraina”, si è limitato a chiarire il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, sottolineando che “non è un membro ufficiale della delegazione russa”.
Da qui, le ombre sul presunto tentato avvelenamento, confermato dall’entourage di Abramovich e smentito da Mosca e da Kiev. Secondo fonti non ufficiali, si sarebbe trattata di un’intossicazione accusata in seguito a una sorta di negoziato parallelo con due mediatori ucraini, uno dei quali è il deputato Rustem Umerov. A poche ore da quell’incontro, tenutosi a inizio marzo, l’ex proprietario del Chelsea avrebbe manifestato forti sintomi riconducilibi al contatto con un agente chimico nocivo.
Tuttavia, Abramovich è apparso comunque ai colloqui di Istanbul. Sempre in veste neutrale e un ruolo non proprio chiaro. Ma perché, a oggi, è una figura di fiducia per ambo le parti, al netto di quelle che sono i rumors dell’avvelenamento?
La pace pende (anche) dalle sue labbra
Perché Roman Abramovich collabora per la pace, intestandosi un ruolo di intermediazione tra l’Ucraina – simbolo dell’Occidente che ha difatti isolato gli oligarchi – e la Russia, in cui lui è tra i dieci uomini più ricchi?
Difficile credere che non ci siano interessi personali dietro tutta la vicenda, alla luce soprattutto di quella che è arrivare quanto prima a un allentamento delle sanzioni. Che sono arrivate da buona parte dal mondo, tranne che dagli USA. Non l’ultimo dei dettagli, visto che sarebbe stato lo stesso Zelenskyi a chiedere al presidente USA Joe Biden a non procedere con sanzioni ad personam.
C’è chi tira in ballo le sue radici ucraine – i suoi nonni materni e sua madre sono nati lì – e il fatto che sia Abramovich che Zelenskyi siano entrambi ebrei. O, banalmente, un tentativo per tentare di arginare l’embargo economico, ancor più drastico in Inghilterra.
In ogni caso, la sua figura è una garanzia per entrambi le parti, soprattutto per la delegazione ucraina. Che lo invoca, malgrado la sua affinità (almeno antecedente all’invasione) con il Cremlino. Un fattore che potrebbe portarlo ancor di più alla ribalta nel dopoguerra e che, si spera, possa portare quanto prima alla fine delle ostilità.
(foto: profilo Twitter ufficiale Chelsea)
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