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NUMERO 14 – Sul Danubio in zattera

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Zona di confine tra Romania e Jugoslavia, 23 Dicembre 1988. A una stazione di controllo doganale si presentano due donne. Gli infreddoliti addetti alla verifica dei documenti si accertano che abbiano tutti i requisiti per il passaggio della frontiera. Le viaggiatrici, dichiarano di voler andare a Belgrado per effettuare delle visite mediche. A tal proposito esibiscono un apposito visto rilasciatogli dal Ministero degli Interni rumeno. I doganieri lasciano proseguire le due donne, la madre e la sorella del calciatore dello Steaua Bucarest Miograd Belodedici. Che, in quello stesso momento, è giunto sulle sponde del fiume che segna il confine tra i due paesi. Ha deciso di espatriare ma non può farlo legalmente, il regime che governa il suo paese non glielo consentirebbe. Arriverà comunque alla sua meta, con dei mezzi di fortuna. Sul Danubio in zattera.

La dicotomia delle origini

La sua fuga ha la sua motivazione in una singolare dicotomia delle origini. Belodedici all’anagrafe dovrebbe essere “Belodedic”, è figlio di un serbo e di una rumena. E’ nato e cresciuto a Socol, una piccola cittadina al confine tra Romania e Jugoslavia: a casa ha sempre parlato in serbo con i genitori, tra i banchi di scuola era obbligatorio esprimersi in rumeno. Solo nel calcio nessuno gli ha fatto mai pesare il suo sanguemisto, a 16 anni è già tesserato per il Luceafarul Bucarest. E non è un caso: il club è uno dei vivai della celebre Steaua, la squadra più prestigiosa del paese. Le migliori promesse vengono selezionate per farne parte, al termine di un durissimo apprendistato saranno ritenute pronte per passare di livello. Già l’anno seguente Belodedici è un giocatore dello Steaua, dopo due stagioni è il libero titolare, l’indiscusso leader della difesa e uno dei giocatori determinanti del gruppo.

Amara vittoria

Lo Steaua, dopo aver fatto incetta di trofei in patria, riesce ad imporsi anche in campo internazionale. Belodedici è in campo a Siviglia nella partita che decide l’assegnazione della Coppa dei Campioni 1986. Quella sera i riflettori sono tutti per il portiere Duckadam, l’eroe che regala il trofeo ai suoi parando tutti i tiri del dischetto degli avversari ma ci si aspetta che il ritorno a casa dei Campioni d’Europa preveda un trattamento di riguardo per l’intera squadra. La realtà, invece, è ben diversa: il dittatore Niculae Ceausescu, capo del regime, non è particolarmente interessato ai risultati sportivi e mostra indifferenza per i suoi vittoriosi atleti. Che, nei confronti del giovane difensore, si tramuta in malcelato disprezzo per le sue origini slave. E’ da quel giorno che Belodedici inizia a pensare di cambiare aria. Ormai ha capito che deve andarsene altrove. E a qualsiasi costo. Anche se dovesse andare sul Danubio in zattera.

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Fuga in due tempi

Intorno a lui l’atmosfera si è fatta pesante. Miodrag è uno dei migliori calciatori dello Steaua e non è mai stato un piantagrane. Eppure i rapporti con Ceausescu e i suoi due figli, Valentin (padrone assoluto del suo club) e Nicu (boss della Dinamo Bucarest) sono gelidi. A nessuno di loro va a genio che uno degli elementi di livello del calcio rumeno sia, in realtà, un mezzosangue di discendenza serba. Farebbero volentieri a meno di lui e, se non fosse per la testardaggine dell’allenatore Jenei, avrebbero già fatto in modo di farlo escludere dalla formazione titolare. Ma Belodedici non aspetta che trovino il pretesto adatto per rovinargli la carriera. Si procura, innanzitutto, quanto necessario per far arrivare a Belgrado i suoi familiari  con tutti i crismi della legalità. E, in questo, gli fa gioco il suo status di calciatore famoso: per lui è facile ottenere, in breve tempo, autorizzazioni che un comune cittadino dovrebbe aspettare per mesi. Ma la sua celebrità è un arma a doppio taglio: quando deve andare all’estero è sempre sotto stretta sorveglianza per evitare tentazioni di fuga. Pertanto, non resta che scappare da clandestino in un secondo momento. Una improvvisata imbarcazione è il suo mezzo di trasporto verso la libertà. Sul Danubio in zattera.

La squadra dei sogni

Dopo aver varcato il confine rumeno Miograd raggiunge Belgrado in autostop. Tutto è andato per il meglio, nessuno l’ha riconosciuto. Ora di tratta di cominciare una nuova vita, anche sotto il profilo professionale. Si presenta ai dirigenti della Stella Rossa, si qualifica e chiede se può far parte del gruppo. Ottenere un ingaggio è affare di un attimo, viene considerato uno dei migliori d’Europa nel suo ruolo. Il problema è, piuttosto, la sua fuga dal regime che gli costa un processo in contumacia per “abbandono della Repubblica” e una condanna a 10 anni di reclusione. Ceausescu non può permettere che Belodedici diventi un esempio per tutti i dissidenti e colpisce duro anche sotto l’aspetto sportivo, facendo sparire dall’archivio dello Steaua tutti i documenti che lo riguardano in modo da rendere impossibile il trasferimento al club serbo. Il giocatore, a questo punto, si appella al governo jugoslavo che intercede con l’UEFA per sbloccare la situazione. Alla fine lo Steaua cede e Miograd può firmare il sospirato contratto con la Stella Rossa, anche se gli vengono comminati sei mesi di squalifica. Al suo ritorno in campo scopre di far parte di un autentico “Dream team”: a suo fianco ci sono giocatori come il talentuoso capitano Dragan Stojkovic, il geniale rifinitore Dejan Savicevic e il poliedrico regista Robert Prosinecki. Tutti più che disposti ad accogliere quel coraggioso profugo come un fratello. Come non ammirare uno che ha fatto di tutto pur di indossare quella maglia? Uno che ha sfidato la corrente di un fiume a bordo di un natante di fortuna? Sul Danubio in zattera.

In cima al mondo

L’innesto del nuovo arrivato al centro della difesa rende la Stella Rossa imbattibile in patria e tremendamente competitiva in Europa. Lo scudetto conquistato nel 1990 la proietta nella Coppa dei Campioni dell’anno successivo da candidata alla vittoria finale. Un pronostico che si avvera, dato che il 29 Maggio del 1991, in Italia, allo Stadio San Nicola di Bari Belodedic (ora lo chiamano cosi) e compagni scendono in campo per l’atto conclusivo della manifestazione. Gli avversari sono i francesi dell’Olympique Marsiglia, guidati proprio da Stojkovic, l’ex capitano degli slavi, trasferitosi oltralpe pochi mesi prima. La partita è dura, combattuta e si conclude ai calci di rigore. I giocatori della Stella Rossa, più freddi e concentrati sui tiri dal dischetto (Miograd realizza il terzo penalty), trionfano e portano a casa il prestigioso trofeo, il secondo della carriera del giocatore serbo-rumeno. Che poi aggiungerà alla sua già ben fornita bacheca anche la Coppa Intercontinentale, disputata e vinta contro i cileni del Colo Colo a Dicembre.  E’ il punto più alto della parabola calcistica di un uomo che, diviso tra due culture diverse, ha scelto quella che gli sembrava più adatta al suo modo di vivere. E ha rischiato anche la vita per arrivarci. Attraversando un fiume con una scialuppa autocostruita. Sul Danubio in zattera.

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