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NUMERO 14 – Il piccolo Diavolo

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Milano, 19 Gennaio 1982. In via Turati, sede del Milan, fa il suo ingresso il nuovo proprietario della società. Ha un paio di vistosi baffi, una chiara cadenza veneta nel parlare, l’aria di un self made man di provincia catapultato nella metropoli. Si chiama Giuseppe Farina, “Giussy” per gli amici. Ha fatto epoca, per diversi motivi, con la gestione del suo precedente club, il Lanerossi Vicenza. Lascerà tracce anche nell’ambiente rossonero, identificandosi in maniera indelebile con la squadra in un particolare momento della sua storia. Il piccolo Diavolo.

Ritorno all’Inferno

Trova una situazione molto difficile: bilancio disastrato, giocatori disorientati, tifosi in subbuglio e classifica pericolante. Il suo immediato predecessore, l’Avvocato Gaetano Morazzoni, è stato un dirigente di comodo, utile ad uscire dalle secche derivanti dallo scandalo del Totonero di due anni prima. Il club rossonero ne era uscito con le ossa rotte: retrocessione d’ufficio in Serie B e la radiazione per l’allora presidente Felice Colombo. L’immediata risalita nella massima serie non aveva mutato di molto le prospettive del club: campionato portato avanti con difficoltà, inevitabile giubilazione dell’allenatore Luigi Radice, un intero ambiente sull’orlo della crisi di nervi. Il penultimo posto nella classifica finale del torneo 1981-82 sancisce il ritorno all’inferno della serie cadetta per il Milan. C’è aria di smobilitazione, molti preferiscono cercare scampo altrove, in primis il capitano Fulvio Collovati, fresco campione del Mondo in Spagna, che passa sull’altra sponda dei Navigli, ai rivali cittadini dell’Inter. Il nuovo allenatore Castagner consegna la fascia al giovanissimo libero Franco Baresi, uno dei pochi a giurare eterna fedeltà alla causa. Farina, dal canto suo, progetta il rilancio della squadra anche con l’ausilio di qualche trucchetto al sapore di zolfo. Il piccolo Diavolo.

Astuzie da contadino

E’ di origine contadina, i suoi sono proprietari terrieri, gli hanno fatto prendere una laurea in Giurisprudenza per badare agli affari di famiglia. Ha un debole conclamato per le donne formose e le battute di caccia ma è meno sprovveduto di quanto voglia dare ad intendere agli interlocutori. Ha già messo a segno un colpo formidabile nella sua carriera, lo storico secondo posto conseguito dal suo Vicenza alle spalle della corazzata Juventus nel campionato 1977-78. Il principale artefice di quell’impresa era stato un piccolo centravanti tanto agile quanto letale, Paolo Rossi. E’ divenuto il suo pupillo, non rinuncerebbe a lui per nessuna cifra al mondo. Ma i proprietari della metà del suo cartellino sono proprio i bianconeri, che adesso lo rivogliono a Torino. Farina tira fuori le sue astuzie da contadino: lo valuta più di due miliardi e mezzo, riesce a strapparlo ai potenti rivali, medita di farne il simbolo del suo successo. Ma ha fatto il passo più lungo della gamba: la squadra retrocede, è costretto a svendere il suo gioiello e poi a rinunciare alla guida della società. A nulla  valgono alcune rudimentali alchimie finanziarie come gli abbonamenti biennali o l’azionariato popolare. Il grintoso Giussy ricomincia dal Milan, un ambiente con cui si sente immediatamente in sintonia, ha molte idee per rimodellarlo alla sua maniera popolaresca e truffaldina. Il piccolo Diavolo.

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Gli affari sono affari

Alla promozione ci pensino Castagner e i giocatori, lui si occupa innanzitutto di rimpinguare le disastrate casse societarie. Anche con metodi inconsueti, come l’affitto del centro sportivo di Milanello, sede dei ritiri della squadra, per feste di matrimonio. Poco importa che i ricevimenti nuziali interferiscano con la preparazione della prossima partita di campionato. Per il nuovo patron rossonero vengono prima di tutto gli affari: i giocatori possono ben sopportare un po’ di trambusto se questo serve ad incassare cifre utili a pagare i loro stipendi. Il vicepresidente Gianni Rivera, portavoce delle proteste del gruppo dirigenziale, viene ben presto messo a tacere, l’allenatore si adegua a denti stretti, la squadra, alla fine, centra comunque l’obiettivo anche grazie al provvidenziale trasferimento in un hotel del centro alla vigilia degli incontri. Farina ha tagliato il suo primo traguardo da Presidente milanista, e l’ha fatto alla sua maniera, da simpatico e spericolato furfante. Il piccolo Diavolo.

Due acquisti sbagliati

Per affrontare il campionato di Serie A ci vogliono acquisti adeguati. Farina incarica i suoi collaboratori di trovargli due stranieri di valore per rinforzare la squadra. Sbarcano cosi a Milanello il centravanti  anglo-giamaicano Luther Blisset e il terzino belga Eric Gerets. Sembrano due acquisti azzeccati: il primo è stato capocannoniere dell’ultimo campionato inglese, il secondo è una colonna della sua nazionale, di cui è il capitano. Ma, per entrambi, le cose si mettono subito male. Gerets disputa poche partite prima di essere coinvolto in uno scandalo per corruzione. Lui stesso ammette di essersi venduto una partita per denaro. Il suo contratto viene immediatamente stracciato da un Farina riscopertosi moralista per salvaguardare l’immagine del Milan. Per l’attaccante, invece, il problema è di carattere tecnico. A dispetto dei tanti gol segnati l’anno precedente, Blissett ha delle serie difficoltà ad inquadrare la porta avversaria. Il suo rendimento è inconsistente e condiziona l’intera squadra. A fine campionato il Milan annovera un mediocre ottavo posto. Questa volta la diabolica astuzia del presidente contadino non ha prodotto risultati e sia lui che il team ne escono fortemente ridimensionati. Il piccolo Diavolo.

Una vecchia conoscenza

Va molto meglio l’annata successiva: in panchina arriva il monumento Nils Liedholm, la sua sagacia galvanizza il gruppo e porta subito a un ottimo quinto posto, con la qualificazione in Coppa Uefa e anche una finale di Coppa Italia. I risultati conseguiti invogliano Farina ad investire per il prossimo torneo, l’entusiasta presidente non si fa scappare l’occasione per riabbracciare una sua vecchia conoscenza. Paolo Rossi, il suo beniamino dei tempi d’oro del Vicenza, è in rotta con la sua attuale società, la Juventus. Ha ormai quasi trent’anni e le sue ginocchia scricchiolano da paura. Ma agli occhi del sentimentale Giussy è sempre un implacabile rapace dell’area di rigore. L’affare è presto fatto, Paolo indossa la maglia numero 10 che fu di Rivera e si prepara a dare soddisfazione al suo primo tifoso. L’inizio è incoraggiante, ci sono persino due reti nel Derby a rinfocolare le speranze di riscatto, ma ben presto il suo fisico martoriato lo costringe a marcar visita. Il suo campionato è incolore, la squadra non va oltre il settimo posto. Ma a turbare i sonni di Farina non sono  tanto le scialbe esibizioni in campo dei suoi quanto alcune vicissitudini extracalcistiche. Nubi fosche si addensano intorno al piccolo Diavolo.

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Passaggio di proprietà

Ad inizio stagione il Milan riceve l’inaspettata visita della Guardia di Finanza. La Federcalcio ha ricevuto una soffiata circa alcune operazioni sospette dei rossoneri e ha ordinato una ispezione a sorpresa. Vengono fuori alcune irregolarità nei libri contabili, molti mancati versamenti. Contemporaneamente iniziano a comparire titoli sui giornali circa l’interesse dell’imprenditore televisivo Silvio Berlusconi all’acquisto del Milan. L’istinto di Giussy fiuta il pericolo, sente che vogliono sfilargli di mano la squadra. Cerca di correre ai ripari, commissiona a dei tecnici una valutazione della società, prova ad accordarsi con il potenziale acquirente per una cessione in termini ragionevoli. Berlusconi risponde picche, trova troppo alto il prezzo richiesto, lascia intendere che vuole prendersi il Milan alle sue condizioni. Farina è preso tra due fuochi: da una parte il Fisco, dall’altra il socio Nardi che pretende 8 miliardi  per dei debiti pregressi. Tenta una ultima, disperata mossa per salvarsi, un accordo con il petroliere Dino Armani. Gli consegna il Milan per complessivi 25 miliardi più il pagamento dei crediti vantati da Nardi. La salvifica trattativa viene vanificata da un esposto della Federcalcio che sancisce, in pratica, il fallimento della società rossonera. Farina scappa dall’Italia, si rifugia nella sua tenuta in Sudafrica e si rende latitante. Il Milan, pochi mesi dopo, passa ufficialmente a Berlusconi. E’ la fine definitiva del piccolo Diavolo.

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