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Spallletti, il suo regno per un cavillo
Non ci sono vincitori in questa vicenda, ma soltanto vinti.
Non ha vinto Mancini, che rischia una vertenza civile da parte della FIGC dopo aver lasciato la Nazionale sbattendo la porta. Per questioni di principio legati alla manomissione del suo staff di fedelissimi da parte del presidente della Federcalcio Gravina, secondo l’ex CT. Per questioni di soldi, avendo ricevuto un’offerta mostruosa per andare ad allenare la nazionale dell’Arabia Saudita, secondo altri.
Non ha vinto il suo successore Luciano Spalletti, che si ritroverà ad affrontare un contenzioso dall’esito incerto con il suo ex datore di lavoro Aurelio De Laurentiis.
Non ha vinto il presidente del Napoli, che citerà in giudizio il suo ex allenatore chiedendogli il pagamento della penale prevista dall’accordo di rescissione del contratto quando il tecnico decise di non voler più rimanere all’ombra del Vesuvio.
Sarebbe stato fantastico, ma troppo romantico conoscendo il personaggio, un suo bel gesto di rinuncia a ogni risarcimento nell’interesse supremo della Nazionale. Avrebbe ricevuto elogi dall’Italia intera, invece ha avuto un plebiscito di approvazione dai suoi tifosi che spesso lo avevano contestato, raggiungendo vette di popolarità finora sconosciute.
Non ha vinto neppure Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio che si ritrova in casa, sia pure di rimbalzo, uno spiacevole contenzioso fra il suo nuovo CT e la squadra che affronterà il campionato con lo scudetto tricolore cucito sulle maglie.
Non siamo sicuri neppure che abbia vinto la Nazionale. Perché sul fatto che Luciano Spalletti sia un eccellente allenatore non ci sono proprio dubbi, visto come giocava il suo Napoli. Il dubbio semmai è che il tecnico toscano riesca a riproporre in Nazionale lo stesso calcio. Un po’ quanto accadde quando Arrigo Sacchi arrivò in Nazionale sull’onda dei trionfi del Milan. La sua Italia raggiunse una finale Mondiale a Usa ’94, ma del calcio champagne di Van Basten & C. neppure l’ombra.
Spalletti ha costruito un Napoli splendido e vincente in due anni di lavoro quotidiano. In Nazionale non avrà questa possibilità, vedrà i giocatori per pochi giorni ogni paio di mesi tra i tanti ostacoli che le società gli dissemineranno lungo il percorso. Perché il CT della Nazionale non è un allenatore, ma un selezionatore: il suo compito è scegliere i giocatori migliori proposti dal campionato e metterli in campo sfruttando le loro caratteristiche.
Ma soprattutto da questa vicenda esce sconfitto il calcio italiano. Un calcio che è del resto l’immagine di un paese in cui il senso civico, se esiste, è ridotto ai minimi termini, in cui ognuno pensa a se stesso e non all’interesse comune.
L’Italia è il paese dei campanili, delle piccole rivalità cittadine, delle gelosie, delle invidie, dei Guelfi e Ghibellini raccontati da Dante Alighieri. Perché il calcio dovrebbe essere diverso?
Il calcio italiano è la sublimazione di tutti i difetti del paese, ognuno pensa al proprio orticello e studia il modo per fregare l’altro. Esattamente quello che accade in ogni assemblea della Lega di serie A.
Quindi mettiamoci il cuore in pace. Questa vicenda ha solo confermato quello che già si sapeva: che della Nazionale non importa niente a nessuno, che i club continueranno a curare i propri interessi impedendo al nuovo CT di organizzare degli stage per costruire un’identità di squadra, che si lamenteranno ogni qual volta un loro calciatore tornerà infortunato da una partita della squadra azzurra e così via.
I club pagano fior di stipendi e hanno tutto il diritto di tutelare i propri dipendenti, ci mancherebbe.
Però finiamola con questa ipocrisia della Nazionale patrimonio di tutti. E soprattutto non meravigliamoci e non lamentiamoci se non riusciremo a qualificarci per gli Europei o per i Mondiali. Riuscirci sarà l’eccezione, non la regola, finché non si cambierà la mentalità dei nostri dirigenti.
Luciano Spalletti sarà un uomo solo e anche per questo ha bisogno di un colossale in bocca al lupo.
(Foto: Depositphotos)
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