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Inghilterra-Italia, la Corona Reale contro il Corona “nazionale”: lo show tra gossip e reati in esclusiva TV
Inghilterra e Italia, una nazione in mano alla Corona Reale contro un paese in mano a Corona (Fabrizio): se si potesse affibbiare un sottotitolo alla partita della squadra di Spalletti a Wembley contro la nazionale britannica, potrebbe essere verosimilmente questo.
Il confronto tra le due realtà è, però, indecoroso, prima in campo ma soprattutto fuori. Non può esistere un paragone degno di tal nome tra un paese in cui funziona tutto (Inghilterra) ed un altro in cui non funziona niente (Italia).
Lo scandalo Scommesse è deflagrato a colpi di annunci social e di storie instagram, un’inchiesta inaugurata da uno show-man che di mestiere fa il Re dei paparazzi e non dal giornalismo d’inchiesta, da cui, in particolare Oltremanica, dovrebbero in genere scaturire i filoni giudiziari, per poi entrare nelle solenni stanze delle procure e della Giustizia. Possibile che nessuna testata nazionale sapeva nulla di questa storia, che nessun giornalista avesse mai indagato su questi lati oscuri del calcio?
La conclusione mortificante è che una persona moralmente discutibile, già condannata in cassazione, che ha scontato anni di galera per reati di estorsione, di certo non un fulgido esempio di moralità, si vesta da giornalista di inchiesta e porti allo scoperto una vicenda putrida, che nasconde volti e situazioni ancora più purulenti e fetidi.
Intendiamoci subito e sgombriamo il campo da qualsiasi equivoco dialettico: tutti i personaggi del calcio che avranno sbagliato, calciatori, procuratori o dirigenti che siano, se saranno davvero colpevoli (cosa che dovrà accertare solo la magistratura) allora dovranno pagare e pagare caro.
Di contro, finché la giustizia non avrà fatto il suo corso e non avrà emesso sentenze, che si faccia silenzio. Non si possono inscenare processi sommari a colpi di share, gettando sterco su questi ragazzi, che sono pur sempre giovanissimi, spesso orfani di guide sagge e sicure, bisogna sempre tenerlo a mente.
Quello che è ancora più grave, più della vicenda stessa, è che la televisione pubblica nazionale inviti a suon di cachet di migliaia di euro (circa 34.000 in una settimana) proprio Fabrizio Corona nei talk pomeridiani e serali, sperperando di fatto i soldi degli italiani, che pagano regolarmente il canone e non possono nemmeno scegliere di non farlo. Si può davvero accettare questa bulimica spettacolarizzazione mediatica di reati gravi che gettano il calcio italiano nell’ennesimo scandalo? E’ vergognoso che si vada a barattare la morale pubblica per qualche punto in più di audience, ma questo è un paese che ha perso la faccia da un po’.
Noi intanto siamo quelli che hanno già pontificato che Fagioli e Zaniolo siano due ludopatici da compatire, da curare e da punire, che Tonali sia scappato in Inghilterra perché giocava (scommetteva) troppo e il Milan lo sapeva pure.
Siamo noi gli insaziabili voyeurs delle chat di Bonucci e Fagioli spiattellate sui ledwall nei talk show televisivi, quelli che amano guardare ma giammai pensare: così lo share soppianta il buonsenso e la comune decenza.
Le inchieste dovrebbero farsi nelle sedi opportune e a portarle avanti dovrebbero essere i magistrati, non chi pianifica bombe col timer incorporato: questo nome lo faccio oggi, quest’altro me lo conservo per domani e quello grosso lo farò nelle prossime settimane, il tempo magari che qualcuno mi proponga un bel gruzzolo di soldini per dargli l’esclusiva o che il diretto interessato mi paghi per star zitto.
Ma diciamocelo chiaro e tondo, il problema non è certo Fabrizio Corona, che rimane fedele al suo personaggio e sfrutta per suo tornaconto le regole di questo gioco perverso. Il vero problema è semmai un paese che ha bisogno di Corona per svelare e portare a galla la verità, per inaugurare inchieste giudiziarie ed alzare polveroni mediatici, perché in un paese veramente civile sarebbe stato un giornalista rampante o un reporter d’assalto l’autore di uno scoop di questa portata.
Corona, personaggio discutibile, giammai un esempio di moralità, diviene paradossalmente il giornalista d’inchiesta, colui che dobbiamo ringraziare, colui che denuncia e porta alla luce dettagli angoscianti su una vicenda torbida, che di sicuro vedrà ulteriori retroscena. Forse sarebbe il caso che il servizio pubblico abbandoni la logica dello share e risponda alla morale pubblica, facendo informazione in maniera decorosa e composta e che fornisca esempio per le nuove generazioni, già sin troppo bistrattate ed abbandonate ad un destino che fa paura.