Approfondimenti
Che noia questo calcio
Provate a fare un esperimento. Accendete il vostro televisore e sintonizzatevi su una partita della nostra Serie A. Una qualsiasi, anche un incontro di cartello. Poi aspettate che l’arbitro dia il via e togliete l’audio. Osservate bene cosa succede in campo senza l’onnipresente voce dei commentatori. Vi sembra che il tempo non passi mai? Non è una vostra sensazione. La verità è che lo “spettacolo” attuale offerto dal nostro campionato non è sufficiente a catturare l’attenzione dello spettatore. I novanta minuti più recupero di una partita sono diventati una insopportabile accozzaglia di palleggi a metà campo, continui falli a spezzare ogni trama di gioco, interminabili consulti davanti al VAR del direttore di gara. E quando qualcuno riesce, quasi per caso, a far pervenire il pallone nei pressi dell’area avversaria, c’è sempre una bandierina alzata. E’ fuorigioco, si ricomincia daccapo. Ritmo zero, intensità nulla, marcature neanche a sognarle. Che noia questo calcio.
Fuga dal divano
I dati non lasciano scampo: prendendo come riferimento le prime otto giornate di campionato c’è stato un calo di circa 3,5 milioni di telespettatori. Una catastrofe per la piattaforma DAZN, titolare in esclusiva dei diritti di trasmissione delle partite. Un serio problema per la Lega Calcio, alle prese con la vendita di un prodotto che non suscita più l’interesse dei consumatori. Un incubo per i Presidenti delle squadre che impallidiscono all’idea del drastico ridimensionamento della loro principale fonte di introiti. Se il tifoso molla il telecomando e fugge dal divano vuol dire che la sua partecipazione fideistica al rito pallonaro è finita. E l’indifferenza del pubblico è la morte del business. Che valore può avere sul mercato un incontro che fa il cinque per cento di ascolto? Gli inserzionisti pubblicitari direbbero che si tratta di roba superata, che bisogna trovare qualcosa di nuovo. Diverso e magari più interessante. Che noia questo calcio.
Polli da allevamento
Il declino della qualità di uno spettacolo spesso è dovuto alle carenze degli interpreti. E’ difficile, ormai, che un calciatore del nostro campionato sappia cosa fare una volta che si trova il pallone tra i piedi. Il suo identikit prevede che abbia una statura media superiore all’uno e ottanta, muscoli da culturista e polmoni a prova di bomba. Quello che gli allenatori gli chiedono è di rincorrere senza sosta l’avversario, buttarlo a terra all’occorrenza e sparacchiare la palla dovunque, basta che sia lontano dalla propria area. Saper effettuare un passaggio a più di tre metri oppure superare il proprio marcatore in dribbling non è roba che interessi agli attuali santoni della panchina. Che poi siano le basi tecniche su cui si fonda il gioco non è rilevante. Le conseguenze di questa mentalità sono atleti robotizzati, abituati a mandare a memoria i movimenti da effettuare e non ad avere confidenza con la sfera. Tra loro e i calciatori del passato c’è un abisso. Guardarli è come mangiare un pollo di allevamento dopo averne gustato uno ruspante. Inevitabile trovarlo privo di sapore. Viene solo voglia di rimandarlo indietro e di provare altro. Che noia questo calcio.
Nostalgia della strada
Uno scenario del genere provoca nostalgia. E fa ripensare al passato. Quando i futuri calciatori professionisti avevano tutti la stessa matrice, in grado però di sfornare esemplari ognuno diverso dall’altro. L’origine comune era il calcio da strada. Avete presente? Uno spiazzo, due pietre a ogni estremità per le porte, fantasia a profusione per tutti. Chiunque poteva giocare quanto voleva, nel modo che voleva. Anzi, le diversità erano privilegiate. Sullo sterrato di un cortile le armi vincenti erano inventiva e audacia. E non contava l’estrazione sociale, anche chi non aveva nulla poteva prendere parte al rito collettivo che celebrava l’anima popolare di questo sport. Era l’unico, autentico collante del nostro Paese, smarritosi con l’avvento delle scuole calcio. Vuoi giocare? Paga la quota d’iscrizione, vieni al nostro campo all’orario che ti indichiamo, fai i movimenti che ti diciamo di fare. La disponibilità di denaro fa la selezione, nulla a che vedere con la democrazia universale della strada. L’anarchico venuto su dal nulla solo con il suo talento lascia il posto ad un funzionario del pallone, tutto pressing e posizioni da tenere. Un profilo che fa sbadigliare solo a nominarlo. Che noia questo calcio.
L’inconsistenza della portata principale
Inevitabile che, di fronte al moltiplicarsi a cascata di partite alla camomilla, più adatte a conciliare il sonno che a scatenare gli istinti belluini del tifo, qualcuno abbia cercato di trovare delle soluzioni. Che spesso si sono rivelati un rimedio peggio del male. La tattica è simile a quella dello chef a corto di idee per un menu originale. Invece di cambiare rotta e proporre qualcosa di innovativo si ripropongono le stesse pietanze, cercando però di camuffare l’inconsistenza della portata principale. Si da rilevanza agli antipasti e ai contorni, sperando che bastino a colmare l’appetito del commensale. Allo stesso modo le istituzioni del calcio, preso atto che gli incontri in sé sono ormai un piatto indigesto, punta a propinarle comunque al pubblico. Con piccoli accorgimenti per stuzzicare la curiosità: si da risalto al prepartita, si enfatizzano anche aspetti meno conosciuti, si da spazio ai personaggi più pittoreschi, si crea aspettativa su ogni cosa. Nella speranza che, dopo tutto questo, anche il più banale degli 0 a 0, sia vissuto dallo spettatore come un evento. Peccato che, nell’attesa, quest’ultimo abbia già abbassato le palpebre. Che noia questo calcio.
(Foto: Depositphotos)
Follow us!