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ANGOLO MILAN – Nel mezzo di un deserto
L’Udinese non vinceva da 14 partite. L’Udinese ha vinto a San Siro contro un Milan davvero poca cosa. Mai in partita, mai in controllo, mai capace di esprimere un gioco. Siamo tornati al punto di tracollo toccato e visto già nel gennaio 2023. Anche oggi come allora, dopo una rimonta subita, da 2-0 a 2-2. Stessa spiaggia. Stesso mare. E non è acqua cristallina ma melma, liquami maleodoranti. E dalla puzza che si sente abbiamo capito tutti di che liquami stiamo parlando. Anche perchè il campionato non finisce fra una settimana, perchè siamo ancora solo a inizio novembre. E poi perchè gli allenatori bravi non arrivano a stagione in corsa. Il Paradiso stavolta bisogna davvero guadagnarselo e, ammesso che ce ne sia uno, si trova esattamente dall’altra parte del deserto che abbiamo appena imboccato.
Questo Milan oggi è un deserto. Di motivazione che non si vede sui volti dei calciatori, di gioco, di invettiva, di cattiveria, di senso pratico. E questo Milan, arido di qualunque spirito reattivo, si trova a sua volta appena all’inizio di un deserto. Fatto di partite difficili, contro avversari che oramai leggono bene le enormi difficoltà e non temono le poche armi a disposizione.
La dirigenza, che ha condotto un mercato quasi perfetto se non fosse stato per la punta sfumata all’ultimo, che ha scelto i tempi giusti per purgare, comprare e vendere, ha mancato la scommessa di riscatto affidato a Pioli. Era il grande rischio di cui tutti noi eravamo consapevoli. E questo rischio oggi ha rivelato tutta la sua velenosità. E il guado in mezzo cui ci troviamo, arrivato troppo presto, è davvero grande come un deserto. Durissima farcela.
Primo tempo
Sotto la pioggia il Milan sceglie palleggio e pressing, cercando di coinvolgere in fretta Leão. Proprio dal portoghese, con un traversone tagliato per Jović, nasce al 4′ il primo tentativo bloccato dal portiere. La vera occasione, però, capita all’Udinese al 9′ dopo un’incertezza di Florenzi che respinge corto il tocco di Zemura, Pereyra raccoglie e calcia alto in piena area. Il possibile grattacapo crea qualche scompiglio, poi si ricomincia ad attaccare e non vanno a termine un paio di ottime situazioni: al 21′ Krunić svetta in anticipo di testa sugli sviluppi di un angolo senza inquadrare lo specchio, al 25′ tiro di Calabria dal limite deviato da Silvestri. Crescono le palle-gol: al 32′ Leão spreca una ripartenza tirando male, al 34′ Musah impegna Silvestri; nel mezzo ci prova Samardžić, non va. Pugno a terra amaro di Florenzi al 38′ quando aggancia il cross di Leão ma non riesce a colpire da pochi passi. 0-0 al riposo.
Secondo tempo
Doppio cambio in avvio di ripresa, spazio ad Adli e Okafor. Ripartenza calda, al 47′ Kabasele manda sopra la traversa sottomisura dopo un corner. L’azione successiva regala a Reijnders – imbeccato da Okafor – il colpo davanti al portiere in uscita, il rimpallo non ha buona sorte. Episodio chiave al 55′, l’arbitro punisce il contatto Adli-Ebosele e concede il rigore: dal dischetto, Pereyra segna allargando il piatto destro e spiazzando Maignan. Lo svantaggio toglie energia ai rossoneri che tentano una reazione di nervi non accompagnata da azioni offensive così pericolose. Tanto che, di lì a breve, l’occasione migliore capita al 70′ a Success, ci pensa Maignan a salvare. All’80’ Florenzi si mette in proprio, botta al volo alle stelle. In un finale disordinato sale in cattedra Silvestri: al 90′ miracolo su Giroud in girata aerea ravvicinata, al 94′ vola su Florenzi. Niente da fare anche per Leão dalla distanza quasi allo scadere. Triplice fischio: 0-1.
Un rischio troppo grande
Alla luce di quanto visto in campo, oltre al grande pericolo di veder precipitare la squadra, credo meriti una riflessione importante un fattore che non è proprio così secondario. Questo allenatore chiaramente non incide sulla strategia e sulla tattica, ma non incide soprattutto sulla resa dei suoi calciatori. E da questo punto di vista, fossi un dirigente del Milan, sentirei suonare un campanello d’allarme gigante per il rendimento in campo di un quasi-fenomeno che deve sbocciare di nome Raphael Leao. Non è più solo una brutta copia, comincia ad essere seriamente e pericolosamente fuori contesto in ogni partita, da un mese a questa parte. Non si può vivere di soli strappi, non si può pensare di costruire una carriera su due allunghi, non si può pensare di avere un calciatore come lui e usarlo solo per la palla lunga sulla fascia. Pioli lo allena da quattro anni oramai. Non si vede nessun tipo di lavoro per migliorare e cambiare il suo modo di giocare, rendendolo magari più efficace sotto porta. Stefano Pioli, oltre a non migliorare i risultati, non farà crescere nemmeno il valore della rosa. E per una squadra che ha nel player-trading lo strumento principale di crescita del fatturato, almeno fino a quando lo stadio non sarà realtà, continuare a insistere su un coach simile è davvero un rischio troppo grande.
(Foto: Depositphotos)