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Caso Juan Jesus – Acerbi, le sentenze si rispettano, ma…
È arrivata la tanto attesa sentenza riguardante la presunta offesa razzista di Acerbi a Juan Jesus in occasione del match di Serie A del 16 marzo scorso tra Inter e Napoli. Trattandosi di un argomento centrale nella discussione quotidiana, l’ipotetico fatto di razzismo, ancor più grave rispetto a quello nei confronti di Maignan, in quanto realizzato da un “collega” e non da una parte ignorate di tifoseria, ha destato molto scalpore, mettendo immediatamente alla gogna mediatica il difensore dell’Inter. Chiariamo, non dico assolutamente che non si sarebbe dovuto discutere o agire nei confronti di Acerbi come fatto dalla Federazione, rispedendolo a casa in vista degli impegni della Nazionale, ma che sarebbe stato meglio rinviare giudizi ex post.
Presunzione di innocenza
Ci si dimentica che il nostro è uno Stato di diritto imperniato sul garantismo ed impregnato di garanzie; guai a pensare il contrario. Non lo dico io, ma la nostra cara Costituzione che, all’art.27, fissa un principio cardine sul quale si reggono le garanzie dei soggetti sottoposti a processo: la presunzione di innocenza. Tale per cui un soggetto è considerato innocente fino a sentenza di condanna passata in giudicato, e per giungere a alla condanna sarà necessario che il giudice ritenga l’imputato, colpevole OLTRE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO, ex art. 533 c.p.
La decisione del Giudice sportivo
A distanza di dieci giorni dall’accaduto, dopo che la Procura federale ha provveduto ad analizzare i materiali audio video a disposizione, interrogare i protagonisti della vicenda, il Giudice sportivo ha assolto Acerbi – che non ha disconosciuto l’offesa, bensì il suo contenuto discriminatorio -, sostenendo che l’insulto razzista non sia stato sentito e percepito da nessuno altro in campo al di fuori di Juan Jesus, e che non esistano immagini che possano provarlo. Dunque, pur non mettendo in discussione la buona fede del difensore brasiliano, il giudice Mastrandrea ha ritenuto in mano gli strumenti sufficienti per poter sanzionare Acerbi. Non è stato quindi applicato l’articolo 28 del codice di giustizia sportiva che prevede fino a dieci giornate di squalifica.
Motivazione ineccepibile ed inattaccabile, imperniata sulla assenza di totale certezza che ci sia stato un insulto razzista; “Dura lex, sed lex”.
Il precedente del caso Santini
Premesso che il nostro è un ordinamento giuridico di Civil Law – la cui caratteristica precipua è che i loro principi fondanti sono codificati in un sistema di riferimento che funge da fonte primaria – che, a differenza di quello di Common Law, non è fondata sulla regola della vincolatività del precedente.
I nostri giudici sono imparziali, autonomini ed indipendenti, soggetti solo ed esclusivamente alla legge. Di conseguenza, saranno liberissimi, in un caso similare a quello oggetto della loro cognizione, di pervenire ad una statuizione differente, a patto che questa sia adeguatamente motivata e che la motivazione presenti fondamenti giuridici che siano stati interpretati adeguatamente ai sensi dell’art. 12 delle Preleggi (è recente una sentenza della Corte dei Conti in cui si evidenzia l’indispensabilità e la necessità di seguire l’art 12: “Al fine di evitare gli effetti che scaturiscono da interpretazioni additive o derogatorie delle disposizioni, è necessario attenersi al principio cardine di interpretazione letterale teleologica delle norme contenuto nell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale del Codice civile”).
Fatta questa doverosa precisazione, non si può non ricordare il recente caso Santini in cui la Corte Federale d’appello, aderì al principio di diritto, consolidato in giurisprudenza, fissato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2012, secondo il quale “il fatto contestato può essere provato anche se il quadro probatorio sia formato dalle sole dichiarazioni della persona offesa, purché sottoposta al vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità della presenza di riscontri esterni”. Il caso si chiuse con la condanna ad una maxi squalifica.
Due pesi, due misure
Sorge spontaneo il quesito: perché non è stato seguito il medesimo principio di diritto fissato dalla Corte di Cassazione, nell’ambito della sua funzione nomofilattica?
Si potrebbe rispondere che nel caso Santini, a differenza di quello Acerbi, ci fosse la testimonianza di un altro calciatore. Tuttavia, non si tratterebbe, secondo il mio punto di vista, di una condizione indispensabile affinché possa essere applicato il principio di cui sopra. Testualmente la Corte, “senza la necessità della presenza di riscontri esterni”, fa comprendere che non ci sia alcuna necessità che la contestazione venga corroborata da fattori esterni, quali possono essere dichiarazioni di un testimone.
Nel caso Acerbi, pur mancando una testimonianza – come scritto in sentenza -, ci sono diversi elementi che possono condurre a vagliare positivamente l’attendibilità del fatto contestato da Juan Jesus. Un esempio, potrebbe essere l’immediata presa di coscienza del calciatore dell’Inter che chiede scusa, e strettamente connessa a questa il labiale abbastanza percepibile.
Non sono qui per fare alcuna lamentela. Come disse il Procuratore Di Matteo, le sentenze si rispettano, ma nulla preclude la possibilità di analizzarle criticamente conducendo un ragionamento giuridico, che sia altrettanto coerente con la legge e la giurisprudenza precedente, a maggior ragione se delle S.U. della Corte di Cassazione.
Forse, come ha detto Tommaso Romito, ex calciatore del Napoli, in esclusiva ai microfoni di LBDV, durante il programma MATCH!, “Acerbi serviva…”, non solo all’Inter ma anche alla Nazionale.