Angolo del tifoso
ANGOLO JUVENTUS – La sindrome del braccino corto
La Juventus di Max Allegri vince di misura la gara casalinga contro la Fiorentina.
Ma, al di là del risultato finale, non ci sono davvero altri motivi per essere soddisfatti.
La Juventus continua ad avere, anche tra le mura amiche, un deprimente atteggiamento remissivo contro qualsiasi avversario.
L’iniziativa, a parte alcune fiammate iniziali, è stata sempre lasciata agli ospiti.
E i viola, ad onor del merito, hanno fatto di tutto per arrivare ad un pareggio che avrebbero senz’altro meritato.
Il tabellone racconta della vittoria della Juventus ma la cronaca della partita narra un’altra storia.
Quella di un gruppo ormai vittima della propria, cronica tendenza a puntare sempre al massimo risultato con il minimo dello sforzo.
Preda della sindrome del braccino corto.
Una rete e poi tutti dietro
Certo, in passato, l’atteggiamento sparagnino dei ragazzi di Allegri era stato visto in termini positivi.
Anche su queste pagine.
Ma un conto è mostrare una solida organizzazione di gioco, sia pur improntata al mero controllo degli ultimi trenta metri. Tutt’altro discorso, invece, se si vedono giocatori impegnati unicamente a rincorrere gli avversari senza avere la minima idea di cosa fare una volta entrati in possesso di palla.
Questa sera si è vista la mediana bianconera muoversi a vuoto, con la lingua da fuori e la testa confusa.
Ai centrocampisti della Fiorentina bastava fare un ordinato giro palla da scuola calcio per mandarli in tilt e puntare a rete.
Ovvio che ai padroni di casa (almeno dal punto di vista formale) non rimaneva altra scelta se non attaccarsi al solito, vecchio metodo.
Segnare in qualche modo una rete e poi attestarsi tutti dietro a difesa dell’esiguo vantaggio.
Quella che prima era una scelta ora è un obbligo. La sindrome del braccino corto.
Costretti agli straordinari
In uno scenario del genere, con centrocampisti deputati solo alla caccia delle caviglie degli avversari e attaccanti esasperati dalla mancanza di palloni giocabili, è inevitabile che tocchi ai difensori cavare le castagne dal fuoco.
Come già successo in altre occasioni è dal colpo di testa di uno salito dalla retroguardia (Bremer) che nasce l’occasione da rete concretizzata da un suo collega di reparto (Gatti).
Il tutto originato da una situazione di palla inattiva, nella specie un calcio d’angolo.
Magari sarà anche merito del lavoro infrasettimanale fatto svolgere dal mister su determinati schemi ma costringere ogni volta i difensori agli straordinari è indice di scarsa propensione alla costruzione del gioco.
Altra conseguenza della sindrome del braccino corto.
Copione fisso
Una volta incassato il gol del vantaggio, il Banco di risparmio bianconero mette in scena il suo copione fisso.
I due esterni si abbassano sulla linea dei centrali, i mediani serrano le file a protezione della retroguardia e le due punte vengono abbandonate al loro destino.
Se saranno cosi abili da addomesticare qualche pallone lanciato alla buona dalle retrovie e trascinarlo verso l’area avversaria, tanto di guadagnato.
Altrimenti non gli si chiederà nulla di più di un onesto lavoro di disturbo sul portatore di palla avversario.
E non importa che la percentuale di possesso palla, alla fine, indichi una mortificante prevalenza degli ospiti, spinta fino al 70%. L’importante è capitalizzare al massimo la marcatura e portare a casa il bottino pieno. Senza dannarsi l’anima per questo, sia chiaro.
La sindrome del braccino corto.
Crisi di insofferenza
Non c’è da meravigliarsi, quindi, se qualcuno ormai vede il tecnico come il fumo negli occhi. Federico Chiesa, uno dal talento indiscutibile, ha visto messo in discussione il suo posto in Nazionale a causa di una preoccupante involuzione tattica.
Stordito dai continui cambi di ruolo e dalle troppe incombenze tattiche comminategli, l’ex viola cambierebbe volentieri aria per ritrovare smalto e stimoli.
Anche la sua alternativa, il giovane turco Yildiz, mostra evidenti segni di nervosismo.
Indicato forse troppo presto come la pietra angolare del futuro è rimasto schiacciato dalle difficoltà del presente.
Ogni volta che la squadra è in fase di stallo gli viene chiesto di alzarsi dalla panchina e metterci un po’ di brio.
Il guaio è che quando non gli riesce gli prendono i cinque minuti e rischia di lasciare i compagni in dieci.
Per non parlare della crisi di insofferenza di cui è vittima Dusan Vlahovic.
L’attaccante serbo dovrebbe, per natura e per contratto, sfondare la rete ad ogni incontro.
Lui lo sa ma è anche consapevole che la squadra, per impostazione e mentalità, non gli può dare il supporto di cui ha bisogno.
Quindi si incaponisce a voler risolvere ogni situazione da solo, con scarso costrutto.
Le reti latitano, la sua quotazione sul mercato scende, il suo procuratore si dispera. Conseguenze della sindrome del braccino corto.
Ricostruzione in quale modo?
E’ scontato che, una volta portata a termine la stagione, ci sarà molto da lavorare. Allegri, o chi per lui, avrà il difficile compito di ricostruire la squadra, soprattutto dal punto di vista della mentalità.
Non si può puntare a dei traguardi di prestigio giocando con l’atteggiamento di una provinciale. E non servirebbe neanche fare una rivoluzione nell’organico se poi i nuovi arrivati dovessero assimilare le abitudini dei predecessori.
Inutile affannarsi a cercare novità sul mercato solo per dare in pasto ai tifosi qualche palliativo. Sarà fondamentale cambiare testa e superare certi atteggiamenti troppo speculativi.
Guardare avanti, al di là della sindrome del braccino corto.
(Foto: Depositphotos)