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Gli errori di Spalletti e le colpe del calcio italiano

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E’ tutta colpa di Makkelie. Se l’arbitro olandese di Italia-Croazia non avesse concesso otto inspiegabili minuti di recupero, Zaccagni non avrebbe mai potuto pennellare il gol del pareggio e saremmo tornati a casa cinque giorni prima, risparmiandoci almeno l’umiliazione inflittaci dalla Svizzera.

Avremmo saputo con cinque giorni d’anticipo che né GravinaSpalletti si sarebbero dimessi e a quest’ora i processi sarebbero già finiti.

Dieci anni fa, dopo il fallimento dei Mondiali di Brasile 2014, il presidente federale Giancarlo Abete e il CT Cesare Prandelli si erano assunti le loro responsabilità rassegnando le dimissioni a braccetto.

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Pensavamo che il calcio italiano avesse toccato il fondo e che da lì si cominciasse a ricostruire. Invece il peggio doveva ancora arrivare: fu quello l’ultimo Mondiale con l’Italia in campo e non davanti al televisore: fuori allo spareggio prima con la Svezia e poi con la Macedonia.

Una rondine che non fece primavera fu il miracolo dell’Europeo del 2021. Un’illusione che ci fece mettere la polvere sotto al tappeto, mentre i problemi del nostro calcio rimanevano insoluti.

Forse questa volta abbiamo davvero toccato il fondo, perché una nazionale tanto brutta, povera di talento e priva di personalità non s’era mai vista.

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Una squadra senza identità, incapace di lottare, ridicolizzata prima dalla Spagna e poi dalla Svizzera.

Le colpe di Spalletti 

Il tecnico toscano ha diramato delle convocazioni discutibili, portando in Germania un Jorginho visibilmente alla frutta e un Fagioli reduce dalla squalifica per le scommesse e che non aveva ancora disputato una partita intera. Poi dieci difensori, troppi, lasciando a casa esterni tipo Politano e Orsolini che forse ci avrebbero fatto comodo.

Ma Spalletti, sia chiaro, non ha rinunciato a Messi e Cristiano Ronaldo, bensì a giocatori normali. Inoltre, col 67% di stranieri in campo in serie A, la base degli italiani convocabili era molto ristretta. In Italia basta giocare tre partite di fila in campionato per finire nel mirino del CT della Nazionale.

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La qualità tecnica degli azzurri è apparsa quanto mai modesta. Abbiamo faticato a uscire dall’area, alla prima pressione siamo andati in crisi, non siamo riusciti a completare tre passaggi consecutivi sia con la Spagna sia con la Svizzera.

Giocatori che nel nostro campionato sembrano fuoriclasse, nel confronto internazionale sono usciti ridimensionati per non dire umiliati. Perché la serie A è un campionato di retroguardia, ormai da qualche anno, e se qualche nostra squadra arriva a vincere o a sfiorare una coppa europea, è soprattutto grazie al contributo dei giocatori stranieri.

Spalletti è un ottimo tecnico, ma probabilmente è più adatto al lavoro giornaliero con un club (vedasi il capolavoro dello scudetto conquistato a Napoli), mentre è apparso spaesato nel ruolo di Commissario Tecnico. Il CT non ha il tempo per fare l’allenatore perché vede i giocatori ogni due o tre mesi. Il CT è un selezionatore e un assemblatore che deve scegliere i migliori giocatori e metterli in campo sfruttando le loro caratteristiche.

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Spalletti pensava di riuscire a incidere e a migliorare la squadra con il lavoro a ridosso dell’Europeo, ma non ci è riuscito. Anzi, è andato in confusione, cambiando in continuazione modulo tattico e formazione. Alla fine i giocatori, come detto già modesti tecnicamente, hanno smarrito ogni certezza e sono parsi peggiori di quanto non fossero nella realtà.

Largo ai giovani 

Spalletti ha ammesso le proprie responsabilità e promesso di ricominciare dai giovani. Speriamo sia così. Ma i problemi vengono da molto lontano. Le scuole giovanili sono a pagamento, quindi trovare un talento e farlo emergere è solo frutto di casualità.

I settori giovanili sono pieni di stranieri, che ovviamente tolgono spazio agli italiani.

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Le società, tranne qualche rara eccezione, non investono sui settori giovanili e preferiscono affidarsi ai procuratori, che naturalmente pensano ai propri interessi.

Inoltre gli allenatori dei settori giovanili, anche qui con qualche rara eccezione, rimbambiscono i ragazzi di 10-12 anni con nozioni tattiche anziché insegnare loro la tecnica di base, senza la quale parlare di tattica è del tutto inutile se non dannoso.

Come ebbe a dire Guardiola qualche tempo fa, i ragazzini devono essere lasciati liberi di divertirsi e di dare sfogo alla fantasia. Se li ingabbiamo, gli impediamo di crescere.

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Come ha rilevato il presidente federale Gravina, le nostre nazionali giovanili stanno primeggiando in Europa, ma poi i nostri talenti si perdono. Come mai? Semplice: da noi manca la cultura di dare spazio ai giovani, di farli crescere e lasciarli liberi di sbagliare.

Noi definiamo giovane un giocatore di 24 anni, mentre in Spagna, in Inghilterra, in Germania a 17/18 anni sono titolari in campionato e protagonisti in Champions League.

Sistema sbagliato 

I club vedono la Nazionale come fumo negli occhi perché si gioca troppo e ogni partita con la maglia azzurra comporta un aumento della fatica e del rischio di infortuni. Un po’ hanno ragione perché sono i club a pagare gli stipendi, ma dimenticano (o forse, più semplicemente, non gliene importa un fico secco) che valorizzare un calciatore attraverso le presenze in Nazionale aumenta il suo valore di mercato.

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La Lega, che è l’espressione dei club di serie A, tutela giustamente gli interessi di propri associati. Ma non fa nulla per correggere le storture del nostro sistema calcio, un sistema “drogato” (mi riferisco agli ingaggi di giocatori e allenatori, alle commissioni enormi pagate ai procuratori) e bacato. La Federcalcio cerca da anni di ridurre gli organici delle società professionistiche (100 in Italia, una cifra spropositata perché non ci sono risorse per permetterci questo gigantismo), cominciando dal riportare la serie A a 18 squadre. Ma il veto delle Leghe ha impedito finora che questa riforma indispensabile fosse completata.

E allora andiamo avanti così. Nel 2026 molto probabilmente torneremo ai Mondiali dopo 12 anni, anche perché rimanere fuori con un format extra large con 48 nazionali è quasi impossibile.

Ma non meravigliamoci se poi faticheremo a superare il girone finale oppure usciremo al primo turno a eliminazione diretta. Perché in due anni i miracoli non si possono fare.

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Anche se sulla panchina di Spalletti si accomodasse Pep Guardiola e il prossimo anno Gravina passasse il testimone a un presidente accompagnato dal mondo della politica, che non vede l’ora di mettere le mani anche sul calcio.

(Foto: Depositphotos)

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