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SILENT CHECK – Quando il “diritto” diventa “rovescio” e fa saltare gli equilibri

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Koopmeiners Atalanta
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Il diritto è la dimensione del mondo nella quale un sistema organizzato di regole prova a definire i rapporti di pacifica convivenza sociale ed a disciplinare i diversi aspetti del vivere civile.

Ciò che – però – è lapalissiano nel dipanarsi di ogni quotidiana attività entra definitivamente in crisi quando si parla dello sport più amato (ma è davvero ancora oggi così?) dagli italiani.

Nel calcio italiano, infatti, si assiste da anni ad una mortificazione delle regole, calpestate in nome di non si sa bene quali necessità superiori.

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Società plurindebitate, infatti, continuano (in nome del blasone che portano in spalla) a sottoscrivere contratti milionari con calciatori che, in condizioni normali, non potrebbero permettersi.
A club esposti per centinaia di milioni di euro con fisco e privati, infatti, si consente di giocare alla pari (e vincere, non casualmente) con altri sodalizi ove i bilanci sono in ordine ed i conti allineati.
Nessuna preclusione, nessuna limitazione, al massimo qualche blanda sanzione, utile più per cibare l’indotto distratto (media e tifosi da stadio o da salotto) che a punire seriamente le cattive e malsane gestioni.

Nel calcio in mano ai petrolieri, ai fondi d’investimento ed alle società “contenitori” amministrate da prestanome, dunque, il diritto commerciale e quello societario hanno da tempo ceduto il passo, arresi e sconfitti in nome di un business che, per la verità, ormai non regala (se non a sprazzi) neppure tanto spettacolo.

Al cospetto, però, d’uno sport sul quale prima o poi una riflessione seria a livello europeo (Continente ove il fenomeno è ormai dilagante) dovrà farsi, per necessità o per virtù, la coda dell’anno 2024 regala un’ulteriore questione sulla quale interrogarsi e riflettere.

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Tacendo d’altro, infatti, a dieci giorni dalla fine del calciomercato d’agosto, rinomati club nazionali devono fare i conti (dopo aver – nel tempo – fronteggiato le lobbies dei procuratori) con atteggiamenti di propri tesserati (calciatori di primissima fascia nella quasi totalità dei casi) che, freschi di rinnovi contrattuali (come Victor Osimhen) o blindati in accordi medio-lunghi (come Koopmeiners e Lookman dell’Atalanta), manifestando la chiara volontà di andar via (spesso intavolando autonome trattative all’insaputa dei club di appartenenza), in aperta violazione contrattuale, si tirino fuori dai match ufficiali e ritirino la propria disponibilità nei confronti di squadre che, nella maggior parte dei casi, li hanno resi campioni, dando loro prestigio, onore, notorietà e, spesso, tanto denaro.

Atteggiamenti che obbligano i club proprietari dei cartellini a privarsi di giocatori che in molti casi rappresentano perni o certezze della rosa e che addirittura (vedi Osimhen o Koopmeiners) impongono una svalutazione del proprio patrimonio e capitale umano per tentare di “salvare il salvabile”. Significa prendere i contratti e farne carta straccia, unire tutto un sistema fondato sulla certezza del diritto e delle regole e – in un sol colpo – triturarlo e sacrificarlo all’altare di un dio minore che si fa fatica anche a percepire ed identificare nella propria interezza.

L’uomo comune, abituato a fare i conti con le regole che informano l’agire quotidiano e lo determinano, non comprende. E – non capendo – giustamente si allontana.

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E’ l’anticamera del fallimento di uno sport che per anni ha monopolizzato carta stampata, tv, social e web, facendo incetta di contributi, premi, diritti e chi più ne ha, più ne metta.

E’, probabilmente, l’ultima tappa di un percorso che, ormai da tempo, registra accadimenti ed atteggiamenti non più tollerabili da parte di tanti addetti ai lavori. Non c’è attaccamento alla maglia, non c’è condivisione di un obiettivo, manca – tranne rare eccezioni – lo spirito di squadra.

Il “diritto” è diventato “rovescio”, negazione di se stesso e deviazione evidente di un percorso che nato come lo sport più amato, ha smesso di essere anche “business” e “show”, diventando ormai il regno dell’incertezza, dell’anarchia e degli eccessi senza controllo.

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Intervenga, chi può.

Anche se è troppo tardi.

Anche se forse non servirà a nulla.

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Anche se, ormai, si guardano su Dazn o Sky i propri beniamini più o meno come si gioca alla Playstation o alla Nintendo.
Spesso preferendo questa seconda soluzione, che almeno dà l’illusione di partecipare alle gesta dei singoli e del risultato finale.

O che, semplicemente, consente di far giocare con la maglia del club di appartenenza il giocatore che con quest’ultimo ha firmato un contratto.

In ciascun angolo del pianeta, infatti, dove c’è un pallone che rotola o gente che suda correndo, c’è un obiettivo da raggiungere, un traguardo da tagliare con gioia, un risultato da andare a conquistare con fierezza.

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 Tutto ciò appare lontano anni luce nella Serie A che è partita (non a caso con tanti pareggi) nel week-end post-Ferragosto.

Le scelte, in generale, si fanno in pochi secondi, ma si scontano per tutta la vita. Ecco perché chi governa il calcio a livello nazionale ed europeo ha l’onere e l’obbligo di affrontare, ora o mai più, una serie di questioni spinose, potenzialmente mortifere per un calcio malato cronico da anni.

Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia”, diceva Albert Einstein.

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E’ esattamente così.

Se l’intelligenza è, in generale, la capacità di adattarsi al cambiamento, però, ogni tifoso che si rispetti dà l’impressione di non essere più disposto ad accettare inerme i capricci dei calciatori o le rivendicazioni dei loro procuratori.

Conseguenza di un “diritto” diventato ormai il suo “rovescio” sono i tanti palloni “sgonfi” che giacciono soli ed abbandonati in numerosi angoli di paesi e città dove abitano donne ed uomini che gradualmente ed inesorabilmente si allontanano da qualcosa a cui non paiono più appartenere.

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Per ogni pallone che si sgonfia, però, il petto di chi ha il potere di intervenire dovrebbe fare l’opposto: venir fuori e aprirsi ad uno sguardo fiero con decisioni coraggiose.

Lo sport è stato, per anni, la disciplina più educativa del mondo.

Il calcio non lo è più da tempo.

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Si agisca con determinazione e coraggio.

Si intervenga, adesso o mai più.

(Foto: Depositphotos)

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