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Angolo del tifoso

ANGOLO JUVENTUS – All’epoca delle radioline

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Thuram Juventus
Tempo di lettura: 3 minuti

La Juventus conclude a reti bianche l’incontro con il Napoli.
Doveva essere il big match della quinta giornata di campionato, non lo è stato.

Partita molto tattica, perfino troppo ben impostata dai due tecnici, il resiliente Thiago Motta e l’ex di lusso Antonio Conte. E’ chiaro che nessuno dei due voleva assolutamente mancare questo appuntamento.

Il mister italo-brasiliano aveva già sulla coscienza il mezzo passo falso contro la dimessa Roma di Daniele De Rossi.

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L’allenatore salentino, invece, non poteva permettersi di perdere uno degli scontri diretti per lo scudetto, unico obiettivo di stagione dei partenopei. Ne è venuto fuori un confronto dominato unicamente dalla strategia organizzativa: spazi ridotti al minimo, rare le occasioni da rete, quasi nulla la spettacolarità dell’azione.

E quando si assiste a novanta minuti come questi, dove c’è più da sbadigliare che da sgranare gli occhi, ci si pone delle domande. Ad esempio, l’enfasi volutamente esagerata di certi commentatori serve più a coinvolgere emotivamente il pubblico o ad evitare che si addormenti davanti alla tv? C’è da rimpiangere i tempi in cui, in assenza delle onnipresenti telecamere di oggi, ci si affidava alle radiocronache di “Tutto il calcio minuto per minuto”.

Le partite venivano seguite in un modo che lasciava ampio spazio all’immaginazione di chiunque fosse all’ascolto. E chi raccontava gli avvenimenti del campo non aveva bisogno di alzare i toni.
All’epoca delle radioline.

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Grandi nomi, poca sostanza

Non che mancassero le grandi firme, sul rettangolo verde. I padroni di casa potevano permettersi di sfoggiare un tridente tutto tecnica e  potenza (il gaucho Nico Gonzalez, il bionico Koopmeiners e il golden boy Yildiz) alle spalle del bomber di Serbia Vlahovic. Gli ospiti rispondevano con un duo d’attacco formato dal bulldozer Lukaku  e dal funambolico Kvaratskhelia.
Sulla carta i colpi ad effetto dovevano essere garantiti, specie quando la palla finiva tra i piedi del fantasista georgiano del Napoli oppure tra quelli del giovanissimo turco della Juventus.

Eppure la prima fazione di gioco si concludeva senza che nessuna delle due squadre fosse stata in grado di creare una chiara azione da rete. L’unico pericolo per i due portieri era venuto, rispettivamente, da un tiraccio sbilenco scagliato da fuori area e da una punizione resa insidiosa da una deviazione involontaria di un difensore.

Davvero poca cosa se si pensa alla caratura dei nomi presenti in distinta. I cronisti tv hanno dovuto spremersi le meningi per trovare qualcosa da dire al pubblico, i loro colleghi della radio hanno dovuto ugualmente cavare sangue dalle rape per guadagnarsi la giornata. Con tanta nostalgia per quando raccontavano, con dovizia di particolari, le imprese dei campioni del passato.

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All’epoca delle radioline.

Chi risolve le partite

In uno scenario del genere, dove ogni giocatore pensa più a presidiare la propria zona di competenza che a creare qualcosa quando ha il pallone tra i piedi, è fatale che a risolvere le partite siano, ormai, gli allenatori.

A meno che, infatti, uno dei due tecnici abbia un colpo di genio (o di fortuna) ed imbrocchi la soluzione giusta per rompere l’equilibrio il match è destinato ad incanalarsi sui soliti binari. Il menu è fisso: giocatori bloccati nella propria metà campo, raddoppi di marcatura come se piovesse, nessuno che tenti un dribbling manco per sbaglio.

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Le lancette dell’orologio ruotano implacabili e intanto, di appunti sui taccuini dei giornalisti non ce ne sono. O, quantomeno, non ce ne sono a sufficienza per buttare giù un articolo degno di questo nome.

A meno che non si decida di impostarlo tutto sulla tattica, spiegando come le due squadra non abbiano fatto altro che annullarsi a vicenda per novanta minuti e passa.

Una cosa che, tanti anni fa, sarebbe passata alla storia come la sagra delle palpebre calanti. Molto difficile da raccontare, anche per un mago del microfono.

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All’epoca delle radioline.

Protagonista mancato

Nel bene e nel male, lui è sempre un protagonista. Anche se, ultimamente, si parla di lui soltanto in relazione a quanto non ha fatto. Purtroppo o per fortuna, Dusan Vlahovic fa notizia in positivo solo quando il suo nome compare sul tabellino del marcatori.

E’ il destino dei bomber di razza, quello di essere messi in discussione fino al momento in cui non la scaraventano in rete. Sarebbe il metodo più metodo più efficace per zittire i suoi detrattori, la cui lista si allunga ogni giorno di più.

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Il problema è che non può farne uso, dato che non gli è riuscito neanche ieri di andare  a bersaglio. E allora giù con le solite critiche: ha carenze tecniche, ha lacune caratteriali, gli pesa la maglia. Un gioco al massacro a cui sembra non essersi sottratto neanche il suo allenatore. Al rientro in campo, dopo l’intervallo, l’ho sostituito per scelta tecnica.

Al suo posto Timothy Weah, un terzino. Che, però, ha fatto le sue veci piazzandosi al centro dell’attacco. In altre parole, Thiago Motta ha preferito a lui un centravanti improvvisato. Una umiliazione su cui il ragazzo di Belgrado farà bene a riflettere a lungo. E che la tv ha sbandierato senza pudore. In altri tempi non sarebbe successo.

All’epoca delle radioline.

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(Foto: Depositphotos)

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