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Totti: “Il mio idolo era Giannini. Spalletti? Cercava la rottura”
L’ex capitano della Roma, Francesco Totti, ha rilasciato un’intervista a Vanity Fair – pubblicata oggi dalla rivista, ma rilasciata prima della morte del padre-. L’ex numero dieci giallorosso ha raccontato diverse storie e aneddoti, ripercorrendo alcune tappe della sua carriera. Di seguito le sue parole raccolte e riportate da alfredopedulla.com:
“In 30 anni di carriera ho rilasciato poche interviste. Non mi piace parlare e apparire, mi piacciono i fatti. Preferisco stare dietro le quinte, non sono egocentrico. A me piace scherzare, essere ironico e sdrammatizzare, ma dietro una battuta c’è spesso la verità. E la verità certe volte era meglio non esprimerla. Dire quello che sapevo, o che pensavo, avrebbe creato problemi. Avrei fatto solo danni: a me stesso e alla società. Preferivo evitare, anche perché sono un permaloso, come dicono a Roma, un rosicone”.
L’idolo, Giannini: “Il mio idolo era Giannini, il capitano della Roma della mia giovinezza. Lo chiamavano il principe e lo era. Quando venni aggregato alla prima squadra da giovanissimo, in un ritiro chiesi di poter essere in stanza con lui. Me lo concessero. Si avverò un sogno, dormire in stanza con il mio idolo, con il numero 10 con il poster appeso al muro in cameretta. Il primo gol? Mi sentii come i bambini a cui regalano la pista elettrica delle macchinine. Avevo preparato un’esultanza sotto la sud dove ero stato tante volte a tifare, ma segnai sotto la nord e la dimenticai. Fu un momento di pazzia felice. Andavo a destra e a sinistra, avrei voluto le ali in quel momento”.
Sul fatto che a Roma si dicesse che comandava lui, che pretendeva acquisti o cessioni, Totti spiega: “Tutte cazzate. Non c’è un solo compagno o allenatore tra i tantissimi che ho conosciuto che possa dirmi in faccia: “Hai deciso, hai chiesto, hai preteso”. Camminerò sempre a testa alta perché mi sono allenato sul campo e non ho mai detto “fai giocare questo o fai giocare quello”. Non ho mai chiesto niente, a parte di poter vincere. È vero, volevo giocatori forti come Buffon, Thuram e Cannavaro perché non avevo nessuna voglia di fare il bamboccio mentre gli altri festeggiavano. Qual è la colpa? Dov’è?”.
Sul ritiro: “Sapevo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma ho iniziato a considerare l’ipotesi solo nell’ultimo anno. Nella stagione precedente avevo capito che non avrebbero voluto rinnovarmi il contratto: però, poi, ogni volta che subentravo cambiavo le partite e facevo goal e quindi mi sentivo ancora al top. Dopo quella con il Torino, dove entrando a 4 minuti dalla fine ne feci due, me lo rinnovarono a furor di popolo. Mi sarei dovuto ritirare in quella sera perfetta, dopo l’apoteosi, come mi suggerì Ilary e ci pensai anche. Poi dopo una notte insonne decisi di continuare, ma il rapporto con Spalletti purtroppo era già compromesso”.
Su Spalletti: “L’allenatore sceglie chi mettere in campo in assoluta autonomia. È giustamente padrone delle decisioni e io non mi sono mai permesso di metterle in discussione né di contestarle. Poi c’è un discorso di umanità e lì le cose cambiano. Più mi impegnavo, più lui cercava la rottura, la provocazione, il litigio o il pretesto. Capii in fretta che in quelle condizioni proseguire sarebbe stato impossibile. Così, per la prima volta in 25 anni di Roma, tra gennaio e febbraio, mollai”.
Carriera da allenatore: “Sarebbe impossibile. Impazzirei. Sono uno che vuole sempre il massimo e pensa che certi errori in serie A non si possano fare. Dovrei diventare severo, aspro, antipatico. Se non ci nasci, figlio di mignotta non ci diventi”.
(Foto: profilo Twitter Totti)