Angolo del tifoso
ANGOLO NAPOLI – Napule è… un piede fuori dal letto
Il fitto calendario di un anno che ha pensato (male) di passare alla storia come quello in cui hanno perso contemporaneamente la vita Kobe Bryant, Sean Connery, Gigi Proietti e nientepopodimeno che Diego Armando Maradona, costringe il Napoli ad andare in campo a poco più di 24 ore dalla notizia della scomparsa del numero 10 più grande di sempre.
E’ forse questo il motivo per cui il momento più bello del match è stata la foto del Sommo a riempire il maxischermo all’inizio, la dedica speciale declamata da un emozionato speaker ed l’immagine dei calciatori abbracciati con la numero 10 sulle spalle col nome del Mito.
Napoli-Rijeka, a quel punto, era già in secondo piano: un fatto eventuale e per niente rilevante.
La gara d’andata aveva già raccontato di una squadra croata con buona gamba e discreta velocità, priva di giocatori sopra la media, ma con buone idee sugli esterni e tanta corsa.
Gli azzurri l’hanno vinta agevolmente con il 65% di possesso palla, 20 tiri in porta e segnando un gol per tempo, facendo intravedere alcune buone cose, tra cui il miglioramento di condizione fisica di Zielinski (il cui pieno recupero sarà fondamentale da qui in avanti) e soprattutto i 90 minuti pieni in campo per Ghoulam, conditi da qualche buona giocata.
La gara ha consentito minutaggio a Demme (bravo a sfruttare l’occasione) e verso la fine anche a Lobotka, abile a ritagliarsi una importante occasione da gol che meritava miglior sorte.
I gol di Politano e Lozano nascono da pregevoli intuizioni di compagni ispirati e consentono agli azzurri di guadagnare il primo posto nel girone, con possibilità – auspicata ed auspicabile – di conquistare la qualificazione giovedì prossimo in Olanda dimenticando la brutta sconfitta interna subita un mese fa.
La maledetta pandemia che affligge il pianeta ha privato anche oggi i tifosi dell’emozione indescrivibile di riempire gli spalti e respirare calcio giocato nel ricordo dell’interprete migliore.
Il bello dei miti, però, è che sono di tutti.
Ogni calciatore azzurro, dunque, troverà certamente il modo migliore, di qui in avanti, di onorare al meglio la memoria di chi su quel prato verde ha disegnato qualcosa che è più vicino all’arte che allo sport.
I 90 minuti trascorsi nel tempio di Fuorigrotta passeranno agli annali come la prima post-Maradona. Fondamentale, in questo senso, aver conquistato i tre punti senza neppure troppo sforzo.
Da domenica in poi le partite saranno via via più importanti e sarebbe bello poterle giocare avendo tabelloni pubblicitari di sfondo riportanti – come stasera – il nome composto d’un eroe generoso e ribelle, anarchico ed inimitabile.
Perché chi indossa la maglia azzurra, qualunque sia l’avversario e qualunque partita si giochi, ha il dovere di ricordare il privilegio accordatogli: quello di vestire i colori di chi, fino a trent’anni fa, ne è stato il simbolo più grande.
D’altronde chi ha gli strumenti per farlo dovrebbe – per un attimo – fermarsi a pensare a cosa sarebbe il mondo terreno se trovasse fondamento il principio fondamentale della filosofia del XVI secolo di Giordano Bruno. La rivisitazione neoplatonica del principio che “tutte le cose hanno un’anima”, infatti, sconvolgerebbe non poco, all’inizio. Salvo poi diventare ben presto un’ancora di salvezza. Perché l’anima che pervade le zolle verdi dell’arena di Fuorigrotta ed il cemento che ne sorregge l’impianto potrebbe sussultare d’orgoglio mostrando impettita una scritta emblematica: “Ho visto Maradona”. L’affermazione, peraltro, potrebbe essere di buon auspicio per i ragazzi di Gattuso, che quella maglia indossata nel minuto di raccoglimento farebbero bene a tenerla per sempre come seconda pelle sotto quella ufficiale di gara.
I ricordi scaldano il cuore e bisogna averne cura perché – come amava ripetere Bob Dylan – “non tornano di nuovo”.
Una serata qualunque di Europa League contro una modesta squadra croata in un giovedì che avvicina l’inverno, dunque, avrebbe fatto venir voglia a chiunque di aggiustare le coperte e mettersi comodi fino a prender sonno.
Col Rijeka, invece, si è sfuggiti alla regola. E si è messo un piede fuori dal letto.
Perché guardandosi intorno, tutto raccontava di un giorno speciale, il primo giorno dell’anno zero dopo-Maradona.
In uno stadio che porterà il suo nome, dove la luce accesa mostrerà la direzione di casa ed il calore dei tifosi terrà strette emozioni che da tempo sono patrimonio mondiale dell’umanità.
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