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SATYRIGOL – Speravo de morì prima… pure io

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Speravo de morì prima è la miniserie su Francesco Totti, tratta dalla sua biografia “Un Capitano” pubblicata il 27 settembre 2018. Gli episodi sono usciti su Sky a coppie, divisi per tre settimane dal 19 marzo al 2 aprile. Ho atteso circa dieci giorni in più dal completamento della serie prima di cimentarmi nella visione ed in seguito nell’analisi. Ho dovuto fare tabula rasa di tutto ciò che avevo letto o sentito nelle ultime settimane. Per poter lavorare pienamente necessitavo di uno sguardo critico, neutro, che mi permettesse di scomporre e ricomporre ogni episodio, così come tutto il pacchetto.

In breve la serie segue gli ultimi due anni della carriera di Francesco Totti come calciatore della Roma. Si avvale di flashback per ripercorrere il passato: dalla gioventù all’adolescenza, fino ai primi anni alla Roma, passando anche per la Coppa del Mondo del 2006. Il prodotto ha uno scopo ben preciso, mira al raggiungimento di un obiettivo importante che sfrutta la narrazione ma soprattutto diversi elementi cinematografici. Analizziamo, dunque, sia il racconto che le scelte stilistiche coinvolte.

TECNICAMENTE PARLANDO

La buona regia di Luca Ribuoli è stata sicuramente aiutata dall’eccellente montaggio di Pietro Morana. Il cinema d’avanguardia russo insegna tantissimo sul montaggio, basti ricordare Dziga Vertov e Sergej Ejzenstejn. Il montato della serie, attraverso alcuni espedienti e “giochi di prestigio” (come il piano sequenza ritmato della camminata di Marcello Lippi), tende a ricalcare molto il tema del conflitto. Per funzionare una qualsiasi storia narrativamente ha bisogno di un protagonista e di un antagonista, perlomeno. Il personaggio di Totti (interpretato da Pietro Castellitto) si ritrova davanti diversi ostacoli ma i suoi più grandi nemici sono il TempoLuciano Spalletti.

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IL TEMPO

Il Tempo è una figura ricorrente in tutto il percorso calcistico di Totti. Dal febbraio 2006, l’infortunio che gli ha quasi proibito di presentarsi al mondiale, fino a dieci anni dopo, in cui il Tempo scorre troppo velocemente e lo porta senza preavviso alla fine della sua carriera. Impotente davanti al Tempo, quel “maledetto Tempo – come egli stesso lo definisce – che gli si piazza davanti come un muro. Ed ecco che per più volte lo sfugge, lo inganna: così come nel 2006, anche in quel 2016 ancora una volta è Francesco ad uscirne vincitore, il quale però inconsapevolmente ha firmato la sua sconfitta.

Dopo che per due volte è riuscito a sfuggire al Tempo, Totti si adagia sull’idea che non “esista un due senza tre”, dimenticando quanto sia titanico questo elemento. Ed è lo stesso Tempo, inoltre, ad allearsi con Luciano Spalletti (interpretato da Gianmarco Tognazzi). Il montaggio alternato della doppia intervista, che segna così l’inizio della guerra tra Totti e Spalletti, segna non solo il patto dei due antagonisti, ma mostra quanto il tempo sia ‘nfame.

Ma il Tempo va osservato anche da un altro punto di vista: oltre ad essere un nemico, esso caratterizza lo stesso Totti e rispecchia la scelta del suo interprete. Pietro Castellitto è stato convocato per rappresentare uno dei personaggi più influenti a Roma e in Italia: gli è stato cucito, ed ha ricamato, una copia precisa e dettagliata degli atteggiamenti di Francesco Totti. “È uguale oh!”, probabilmente direbbe il Pupone. Ma perché allora scegliere qualcuno che sia esattamente come Totti e non Totti stesso? Per due ragioni: la prima è che sarebbe stato, forse, uno sforzo per Francesco rivivere quei momenti; la seconda è sicuramente una scelta simbolica confermata nell’ultimo episodio: l’apparenza più giovane data da Pietro Castellitto raffigura la genuinità e la fanciullezza di Francesco Totti anche prossimo ai 39 anni. Il passaggio da Castellitto a Totti in persona, non è altro che rappresentazione stessa del cambiamento: il ragazzo che diventa uomo.

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LUCIANO SPALLETTI

Spalletti, invece, non è altro che l’antagonista per eccellenza. Non si può raccontare una storia se non c’è nessuno che ti mette i bastoni tra le ruote. Non c’è una storia se non esiste un eroe che batte il cattivo. Elementi di narrativa classica. Serve una rottura dell’equilibrio per poter arrivare ad una fine, che sia lieta o meno. La presenza di Spalletti è simbolo di impedimento spaccatura. L’impedimento di far giocare Totti, che ha come unico obiettivo quello di calcare il campo. La spaccatura tra i tifosi che per una volta non sono tutti dalla parte del capitano. Lo spaesamento di Francesco Totti è evidente, inerme davanti a due forze malvagie che “infettano” anche le persone che gli sono intorno: in parte Ilary, in parte il suo amico immaginario: Antonio Cassano. Il tutto romanzato all’ennesima potenza, per dare enfasi alla narrazione e alle vicende che hanno coinvolto sia Totti che Luciano Spalletti.

IL LINGUAGGIO

Raccontare una storia necessita anche di un linguaggio adatto e mirato, che richiami il contesto. Non bisogna fare riferimento solo alle parole dette, ai discorsi fatti, quanto anche allo stile cinematografico adottato. La semplicità del personaggio di Francesco, l’apparentemente eterno bambino che diventa uomo. Il silenzio chiaro e l’incapacità di comunicare, “na famiglia de muti” – tipica frase della madre – er pupone. La figura materna di Ilary che rappresenta un po’ la mamma italiana per eccellenza, che spesso sembra sapere tutto del proprio figlio ed interviene nella sua vita, lo conduce e lo ascolta senza ch’egli dica una parola. La ribellione adolescenziale di Francesco, consapevole che la “madre” Ilary ha ragione. Insomma, la parola giusta è praticità.

Questa praticità fatta di elementi spontanei spesso si scontra con altri al limite del soprannaturale e della fantascienza. La bottiglia che vola al suo compleanno, l’apparizione costante di Cassano come “mentore”, la porta in mezzo al campo che lo teletrasporta in più spazi. Altri elementi quasi grotteschi: il più lampante è la scena dell’invito in stile Sergio Leone con tanto di condor e musica da far west. Il dettaglio sugli occhi, la suspence. La natura di questi contrasti però si ricollega all’obiettivo di cui accennavo all’inizio.

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La serie inoltre passa da ritmi serrati a tempi estremamente sostenuti. Non si avvale di cliffhangers. Ciò che però coinvolge è il “dove va a parare”, pur essendo chiaro quale sia il finale del racconto.

L’OBIETTIVO

Ma se tutti conoscono la storia ed ognuno sa come andrà a finire, che senso ha raccontarla? È possibile che ci sia un obiettivo di base che parte dal libro e arriva alla miniserie. Questi due contenuti si pongono come risposta agli avvenimenti di quegli anni: è affrontare i nemici del passato (il Tempo e Spalletti) e guardarli negli occhi per dire: “Io ce l’ho fatta”. È un colpo secco, diretto, una rivalsa. Se Francesco Totti a Roma è un mito, l’obiettivo è farlo diventare una leggenda vivente capace di fronteggiare persino il dio-Tempo, passando in vantaggio per 2 a 1. È pareggiare i conti con il passato, scendere da quell’autobus, scrivere la lettera, fare il giro di campo, togliersi la maglia, farsi la doccia, tornare a casa, respirare, vivere con la moglie e i propri figli. È avere tutti dalla propria parte, anche quella fetta di tifoseria che per una distrazione aveva perso la retta via; ed è anche portare dalla propria parte chi finora era estraneo alla vicenda. Coinvolgere e commuovere chi lì, quel giorno, non c’era ma è come se ci fosse stato. Instaurare un ricordo permanente, essere il più immortale nella Città immortale. Fare la tripletta contro il tempo, dimostrare al Pelato che “vent’anni per gamba fa due volte venti”.

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