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NUMERO 14 – Un ragazzo una città

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Il destino sa essere crudele. E può esserlo al punto di togliere tutto a un ragazzo diciottenne in sole 48 ore. Fine della storia? No, se hai la forza di riemergere da un infortunio che ha stroncato la carriera di molti altri e trovi un ambiente disposto ad aspettare che tu riesca a rimetterti in piedi.

Al suo arrivo a Firenze, nel 1985, Roberto Baggio ha 18 anni e, parole sue, “un curriculum da fenomeno e un ginocchio da storpio”.

E’ stato onesto sino alla spietatezza in entrambe le definizioni: i suoi exploit nelle giovanili del Vicenza annoverano 110 gol su 120 partite disputate e, nel suo unico anno da titolare in prima squadra, ha messo a segno 12 marcature in 29 incontri con un apporto determinante alla promozione del club in serie B.

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Inevitabile che le sue prestazioni gli conferiscano lo status di promessa, le attenzioni delle squadre di vertice e, alla fine, un contratto con la Fiorentina che, pur di averlo tra le proprie fila, non esita a staccare un assegno di 2 miliardi e 700 milioni.

E’ l’inizio di un sogno? Per nulla: appena due giorni dopo la firma del contratto con la squadra viola il fantasista del Vicenza è in campo a Rimini. Il tempo di giocare una decina di minuti, siglare il gol del vantaggio e poi il dramma: una scivolata a vuoto su un avversario e la gamba che si gira in maniera innaturale per un infortunio che può mettere la parola fine a ogni cosa.

La diagnosi dei medici è da mani nei capelli: rottura del legamento crociato e del menisco della gamba destra con interessamento della capsula e collaterale.  In pratica c’è una gamba da ricostruire pezzo dopo pezzo in sala chirurgica ed è quello che avverrà con l’impressionante numero di 220 punti di sutura per sigillarla dopo un intervento durato diverse ore.

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Al suo risveglio Baggio ha una visione da incubo: la sua gamba destra si è rimpicciolita al punto da sembrare un braccio mentre le sue ansiose domande sulla possibilità di tornare in campo incrociano solo gli sguardi scettici ed imbarazzati dei medici.

La Fiorentina, in virtù dell’infortunio, avrebbe la facoltà per recedere dal contratto ma i dirigenti viola credono fermamente in quel ragazzo e nel suo recupero all’agonismo per cui Roberto, con le sue ormai inseparabili stampelle, si presenta regolarmente in ritiro con la sua nuova squadra per iniziare la rieducazione.

Sono giorni di sofferenza e speranza: niente partitelle o allenamenti con i compagni ma un duro lavoro differenziato a parte sotto lo sguardo attento del fisioterapista Antonio Pagni, da allora in poi amico, complice e confidente.

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E’ una persona diversa quella che suda sul campo d’allenamento, impegnata in infiniti esercizi di riabilitazione: ha imparato sulla sua pelle che il suo talento non basta ad assicurargli un futuro da campione e il ragazzo, temprato dal dolore, sta diventando velocemente un uomo.

Ma ha la fortuna di trovarsi nel posto ideale per riprendersi: se la società viola ha creduto in lui al punto di volerlo in rosa in quelle condizioni anche l’ambiente cittadino sta facendo la sua parte nel delicato processo di ambientamento.

E’ alla sua prima esperienza lontano da casa, è maggiorenne da pochi mesi, ha un ginocchio a pezzi e tanti dubbi nella testa.

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Ha bisogno di fiducia e pazienza per tornare a galla, i tempi di recupero sono lunghi e sembrano dilatarsi all’infinito, un consulto medico dopo l’altro e il via libera per il campo che non arriva mai.

Ma Firenze sa aspettare, sa aspettarlo: l’intera città che, qualche anno prima, ha palpitato come un sol uomo al tremendo incidente che ha messo a rischio la vita di un altro grande numero dieci, Giancarlo Antognoni, ha già intuito le mirabolanti doti del nuovo arrivato e non vede l’ora di ammirarlo all’opera sul prato verde.

Quello delle gare ufficiali, s’intende, perché, quando ha potuto giocare nelle partite di allenamento ha fatto vedere di cosa è capace: finte imprevedibili, dribbling secchi, cambi di direzione improvvisi e assist vellutati per i compagni sono l’appetitoso menu che lo chef vicentino ha offerto ai pochi spettatori presenti sugli spalti.

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E’ stato più che sufficiente: il passaparola tra tifosi si è messo in moto, gli sguardi e le strizzatine d’occhio sulle tribune si sprecano dopo ogni allenamento e nei bar, tra una partita a biliardo un caffè, si parla sempre più spesso di quel ragazzo con i riccioli.

Qualche spezzone di partita in Coppa Italia e il debutto in Serie A contro la Sampdoria nel settembre del 1986 sembrano decretare la fine del calvario ma il Destino ha riservato di nuovo una amara sorpresa: pochi giorni dopo un nuovo infortunio in allenamento lo spinge ancora sotto i ferri del chirurgo.

Sembra davvero finita, lui stesso pensa di mollare tutto e tornarsene a casa, solo la determinazione del Presidente Baretti, che spinge in prima persona per un nuovo intervento, lo convincono a provarci ancora una volta.

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La trafila ormai la conosce fin troppo bene, cosi come i tifosi: operazione, convalescenza e riabilitazione, sempre con il fidato Pagni alle costole.

Alla fine la sua tenacia viene premiata e il 10 Maggio 1987 è in campo per la sfida con il Napoli, in fremente attesa per il suo primo scudetto.

Gioca titolare, maglia numero undici a fianco del capitano Antognoni, la leggenda viola che indossa la numero dieci, la stessa che molti tifosi vorrebbero passasse sulle sue spalle per un passaggio di consegne che appare ormai naturale.

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Baggio legittima le aspettative del suo pubblico: c’è una punizione dal limite dell’area, si prende la responsabilità di tirarla al posto di Antognoni, sistema con cura il pallone e poi, con un colpo da biliardo, la piazza nell’angolo più lontano, dove il portiere non può proprio arrivare.

E’ il pareggio, la salvezza matematica per la Fiorentina, la rinascita di un atleta e lo straordinario biglietto da visita che il nuovo fantasista offre alla sua Curva.

Antognoni osserva e sorride: può  tranquillamente affidare la sua eredità a quel ragazzo, ha i numeri giusti per caricarsi addosso la sua maglia, compreso l’amore incondizionato del pubblico.

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Infatti, se prima Firenze ne aspettava l’arrivo come un nuovo profeta del pallone adesso lo considera già una bandiera: la naturale timidezza dell’introverso vicentino è letteralmente liquefatta dalla schiettezza dei tifosi viola che non mancano di esprimergli stima ed affetto in ogni istante, fuori e dentro dal campo.

Uno dei suoi nuovi amici fiorentini gli ha anche aperto nuove prospettive, lo ha introdotto alla pratica del buddismo: la pratica di questa religione, incentrata sul flusso naturale del karma e la capacità di accettare ogni avversità come una naturale conseguenza delle proprie azioni, diventerà per lui una nuova stampella morale cui appoggiarsi nei momenti di difficoltà.

Il nuovo campionato lo vede titolare indiscusso e finalmente libero dai condizionamenti fisici: alla fine saranno 27 le partite, condite con sei marcature.

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Ma è il torneo successivo che lo vede finalmente protagonista. A Firenze è arrivato un nuovo attaccante, si chiama Stefano Borgonovo, ha lo sguardo gentile e il fiuto del gol da cannoniere di razza.

Assieme i due costituiscono una coppia capace di firmare 29 reti e di trascinare la Fiorentina in Coppa Uefa.

L’anno dopo, pur senza il partner Borgonovo, Baggio è capace di trascinare la Fiorentina fino alla finale di Coppa Uefa, firmando nel contempo ben 17 reti in campionato. Ma è il suo canto del cigno in maglia viola: la proprietà del club l’ha già ceduto alla Juventus e, pur controvoglia, si trasferisce a Torino.

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Ma non è la fine di un amore: Baggio sarà sempre grato a Firenze, la città che gli ha donato linfa vitale e Firenze ricambierà con pari affetto quel ragazzo di talento che è stato in grado di farla sognare come nessun altro.

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