Approfondimenti
NUMERO 14 – Caccia al disertore
“Quello ce la paga gara al ritorno”. Se le parole potessero uccidere allora Nestor Combin, centravanti del Milan, avrebbe di che preoccuparsi. E’ la sera del 8 Ottobre 1969, la squadra rossonera ha appena sconfitto per tre a zero gli argentini dell’Estudiantes nella finale d’andata della Coppa Intercontinentale. Combin ha segnato una delle tre reti, ha infierito sulla difesa avversaria, a tratti le sue serpentine irridenti hanno avuto il sapore della provocazione. Ma all’origine della rabbia dei sudamericani c’è molto altro…
Tra Sudamerica ed Europa
La sua è una vita da romanzo, decisamente avventurosa. E’ nato a Las Rosas, piccolo centro dell’Argentina, il 29 Dicembre del 1940. I suoi sono di origine francese, hanno varcato l’oceano in cerca di fortuna e, appena racimolato il necessario, tornano in patria con i figli. Il piccolo Nestor cresce nelle giovanili del Lione e ben presto le sue doti lo portano ad esordire in prima squadra. E’ prestante ed agile, ha una tecnica di prim’ordine e uno scatto fulmineo. Ben presto diventa il centravanti titolare della squadra, i tifosi impazziscono per lui, il suo soprannome è “la foudre”, ossia “il fulmine”. A fine stagione 1963-64 la sua squadra gioca un’amichevole di lusso contro il Real Madrid. La grande formazione spagnola è alla fine di un ciclo: Alfredo di Stefano (cfr. “Operazione Julian Grimau”) ha appena lasciato il club, altri campioni come Gento o Ferenc Puskas (cfr. “L’uomo dai cento volti”) sono ormai alla frutta. I madrileni, quindi, cercano innesti di valore per rinnovare la squadra. Quando vedono quel giovane centravanti lottare su tutti i palloni e infilare tre reti nella loro porta pensano immediatamente di aver trovato l’uomo giusto. L’offerta al presidente del Lione arriva già in tribuna: una valanga di pesetas per lui e il suo compagno di reparto Di Nallo. La risposta è una scrollata di spalle: Combin è stato già venduto alla Juventus. Il giovane è incredulo, si vedeva già con la camiseta bianca del Real addosso. Ma non è padrone del suo cartellino, deve chinare la testa e prendere il biglietto per l’Italia.
Approdo nel Bel paese
In fondo non è un ripiego, da bambino andava allo Stadio Monumental di Buenos Aires per applaudire il suo idolo Omar Sivori (cfr. “Il capoclasse e il monello”). Giocare con la sua maglia dovrebbe essere un onore. Peccato che il gioco professato dal trainer bianconero, Heriberto Herrera, non esalti le sue caratteristiche e che ci siano varie incomprensioni tra i due. Annata da dimenticare e immediato piazzamento sul mercato. Combin vorrebbe rientrare in patria ma i bianconeri lo spediscono in prestito in provincia, al Varese. Un ambiente tranquillo e una squadra senza troppe ambizioni: nei piani della Juventus tutto questo dovrebbe rigenerarlo. Invece la permanenza in Lombardia rischia di essere letale per lui: il livello tecnico della formazione è troppo modesto, i compagni non riescono a supportarlo a dovere, le marcature latitano. A salvarlo è l’ex allenatore del Milan Nereo Rocco, ora trainer del Torino. Lo chiamano il Paron, ha l’occhio lungo e sa vedere le doti di un calciatore. Convince i dirigenti granata a rilevarne il cartellino. Nella sua squadra non avrà il posto di titolare garantito ma gli assicura che saprà apprezzarne l’impegno. Combin abbozza un sorriso, per lui rimboccarsi le maniche non è un problema. Non ci mette molto a ritagliarsi un posto tra i titolari, a suo fianco, sulla fascia imperversa un ragazzo dal dribbling fulmineo. Si chiama Gigi Meroni, i due diventeranno inseparabili. Solo il Destino può spezzare la loro amicizia. Avviene il 15 Ottobre del 1967: un tragico incidente d’auto si porta via Meroni, la domenica successiva Combin onora la sua memoria segnando una tripletta in un derby. E’ il suo regalo d’addio al Torino: dopo un anno si trasferisce al Milan, chiamato ancora una volta da Nereo Rocco, per la seconda volta allenatore dei rossoneri.
Il passato che ritorna
Il Paron ha le idee chiare, la squadra ha appena vinto la sua seconda Coppa dei Campioni. In finale hanno battuto l’Ajax dell’astro nascente Johan Cruyff (cfr. “Numero 14 storia di una maglia”). Ma il suo centravanti, lo svedese Kurt Hamrin, ha preferito altri lidi. Il solo Pierino Prati in attacco non basta. Serve qualcuno che sappia assicurare i gol che portava in dote lo scandinavo, c’è bisogno della grinta dell’indio Combin. Soprattutto perché c’è la prima finale della Coppa Intercontinentale che incombe. A Milano sbarcano gli argentini dell’Estudiantes, i detentori della Coppa Libertadores. E’ una squadra di provincia inaspettatamente giunta ai vertici del calcio mondiale: sotto la guida di Osvaldo Zubeldia, un tecnico che fa del risultato il suo unico credo, hanno vinto l’Intercontinentale l’anno precedente contro il Manchester United di George Best e si presentano a San Siro da favoriti. E’ una squadra ostica, pratica un calcio molto fisico e ha alcune individualità di spicco, come il roccioso libero Carlos Bilardo, futuro tecnico dell’Argentina campione del Mondo 1986 (cfr. “L’eroe e il suo cantore”) e il diabolico fantasista Juan Ramon Veron, detto la “Bruja”, ovvero la “Strega”. Sono orgogliosi di quello che hanno fatto, sono orgogliosi di rappresentare il calcio argentino e non vedono di buon occhio il numero 9 rossonero. Per loro è soltanto un mercenario, un rinnegato.
Zuffa alla Bombonera
La gara d’andata si risolve in una disfatta per l’Estudiantes, i tre gol di scarto non sembrano lasciare margini di rimonta. Tuttavia l’orgoglio ferito dei sudamericani reclama vendetta. Viene scelto lo stadio del Boca Juniors, la Bombonera, per disputare la partita di ritorno. E’ notoriamente un ambiente caldo, l’impressionante torcida dei tifosi dalle tribune è quello che ci vuole per intimidire gli avversari. Che, una volta sbucati dal sottopassaggio, sono accolti da una pioggia di caffè bollente riversato dai sostenitori dell’Estudiantes. E’ un chiaro segnale: sarà battaglia per tutta la durata dell’incontro. Combin è un bersaglio predestinato dei tacchetti degli avversari, già a Milano i suoi compagni hanno saputo dai giornalisti argentini che viene considerato un disertore. Uno che ha tradito le sue origini per andare dietro ai soldi degli europei. Prudenza vorrebbe che il centravanti fosse esentato dalla trasferta in Sudamerica, dato anche il largo vantaggio acquisito nella gara d’andata, ma Combin non se ne cura. Se ci sarà da combattere lui vuole esserci. E quelli dell’Estudiantes non fanno complimenti: sin dall’inizio calci proibiti ed entrate assassine sono la regola. L’arbitro, il cileno Massaro, chiude tutti e due gli occhi davanti ai rudi interventi degli argentini e il clima diventa ben presto incandescente. Il primo a cadere è Prati: un calcio alla schiena a gioco fermo da parte del portiere argentino Poletti lo azzoppa. Un quarto d’ora successivo di penoso girovagare per il campo costringe Rocco a sostituirlo. Intanto le folate dell’Estudiantes costringono il Milan ad arroccarsi per intero nella propria area di rigore. Il tedesco Schnellinger, nell’insolita veste di libero, dirige le operazioni a difesa del gol rossonero del vantaggio siglato da Rivera in contropiede. Gli avversari, inferociti dalla resistenza dei rossoneri, continuano a provocare e picchiare in tutte le zone del campo. Ribaltano la situazione con due reti ma, per la regola del gol in trasferta, la Coppa è ancora nelle mani del Milan. Compreso che non c’è più nulla da fare gli argentini decidono, a questo punto, di regolare almeno i conti con il traditore Combin.
Accusa di diserzione
L’esecutore materiale è ancora Poletti. Sempre a gioco fermo avvicina l’indio e gli sferra proditoriamente un destro al volto. Il centravanti crolla a terra, sarà costretto ad uscire dal campo in barella, il naso e uno zigomo spaccati e sanguinanti. La partita termina con il risultato di 2 a 1 per gli argentini. La vittoria è del Milan ma non c’è tempo di festeggiare. Negli spogliatoi si presenta la polizia con un mandato di arresto per Combin, l’accusa è di renitenza alla leva per non aver risposto alla chiamata alle armi per l’annata del 1963. A nulla valgono le proteste dello staff rossonero, il giocatore, ancora con il volto tumefatto per i colpi ricevuti, viene prelevato dai militari e portato in questura per accertamenti. E’ una situazione ai limiti dell’assurdo, da romanzo kafkiano, un uomo stritolato dall’infernale macchina della burocrazia. Il Milan non si arrende di fronte all’arroganza dell’ambiente e Rocco capeggia la ribellione dei rossoneri. Blocca l’intera squadra all’aeroporto e dichiara urbi ed orbi che non torneranno in Italia senza Combin. La dirigenza milanista ha già allertato l’ambasciata italiana in Argentina e anche alcuni politici italiani, presenti in tribuna, si fanno sentire con lo Stato Maggiore dei sudamericani. Alla fine la grottesca situazione si sblocca quando si riesce ad esibire un certificato di congedo ottenuto da Combin in Francia, dove ha regolarmente prestato servizio militare. Il centravanti rossonero, sommariamente medicato, viene rilasciato e può ricongiungersi ai compagni per decollare alla volta dell’Italia. Una volta adagiato sul seggiolino dell’aereo e prima di addormentarsi, sfinito dalla stanchezza, si regala una foto a fianco della Coppa appena vinta.