I nostri Social

Calciomercato

NUMERO 14 – L’uomo di ferro

Pubblicato

il

Tempo di lettura: 4 minuti

Roma, 15 Aprile 1934. Il C. t. della Nazionale Vittorio Pozzo entra in un bar in Via Cola di Rienzo. Non è un luogo che frequenta spesso, è stato nell’esercito, ha uno stile di vita estremamente sobrio. Ma ha preso le sue informazioni, sa bene dove trovare gli uomini che gli servono. La sua ricerca è premiata dal successo: appoggiato al tavolo da biliardo, la sigaretta in bocca, il bicchiere colmo a fianco, c’è l’ex capitano della Roma Attilio Ferraris, per i suoi tifosi “l’uomo di ferro”.

Risalire la china

Il calciatore trasecola nel vederlo, Pozzo va subito al sodo: “Ferraris, ho intenzione di convocarla per il Campionato del Mondo. Se la sente?”. Più che una risposta, la sua è una obiezione: “Ma io fumo sessanta sigarette al giorno, commendatò”. Il C. t. taglia corto: “Senta, Ferraris, la sua vita privata non mi interessa, ma in campo mi deve spaccare la palla!”. Da quel momento il mediano si considera abile ed arruolato, anzi riprende a considerarsi un atleta. Ha avuto un attimo di sbandamento, l’infamante accusa di essersi venduto una partita per pagare i debiti di gioco l’ha  sprofondato nel pozzo buio della depressione. La sua società l’ha messo alla porta, i suoi nervi hanno ceduto, si è aggrappato ai suoi vizi per dimenticare ogni cosa.  Le parole di Pozzo gli hanno fissato un obiettivo e tracciato la strada. Adesso si tratta di mettere da parte tabacco e liquori e rimettersi in forma per risalire la china. Per tornare ad indossare quella maglia azzurra e ridiventare quello che era. Per risentire i cori sugli spalti dello stadio che inneggiano a lui, l’uomo di ferro.

Il primo capitano

Quel giorno avrebbe dovuto essere in campo per la partita contro il Genoa. E con la fascia al braccio. Ma un mese prima, in un derby con gli odiati cugini della Lazio, era avvenuto l’incredibile. La sua Roma era partita fortissimo, al quarto d’ora di gioco già conduceva il match con tre gol di vantaggio. Poi il tracollo: c’era stato un primo gol dei biancocelesti, poi un altro e infine il terzo. Una vittoria già in tasca tramutata in pareggio. Inspiegabile il risultato, altrettanto la prestazione dei romanisti. Troppo brutti per essere veri, troppo molli per essere sicuri che si siano impegnati a fondo. Il presidente giallorosso Sacerdoti ha scaricato tutta la colpa dell’avvenuto sull’uomo-simbolo della squadra. Ferraris è noto nell’ambiente per essere sempre l’ultimo a mollare ma sono altrettanto conosciute le sue debolezze. Scommette su tutto, è intimo dei più noti biscazzieri della capitale e, nonostante i lauti guadagni, è sempre al verde. La dirigenza lo scarica appioppandogli l’etichetta del venduto, lui non può fare altro che rifugiarsi nel suo bar, l’attività che proprio il presidente gli aveva fatto aprire per dargli una rendita supplementare e tenerlo alla larga dalle tentazioni. Non conta il fatto che sia stato il primo capitano della Roma, quando la società era nata da una fusione di altre squadre. Ferraris ha tradito la maglia e non merita più di indossarla. La bandiera giallorossa è stata ammainata e lui non è più l’uomo di ferro.

Pubblicità

La persona giusta al posto giusto

Pozzo è a conoscenza di quanto gli è accaduto ma non gli da importanza. Sa bene quanto vale ed è sicuro della sua integrità. Ferraris si identifica a tal punto nella Roma che tradirla  significherebbe rinnegare sé stesso. Lo vuole ad ogni costo nel gruppo dei 22 prescelti per il Mondiale e si concede un sorriso quando lo vede arrivare nel ritiro di Alpino. Il giocatore appare come rinvigorito: agile, scattante, impermeabile alla fatica. Supera senza sforzo i rigidi test fisici imposti dallo staff del C. t.: il suo posto nella lista dei convocati è garantito. Il Campionato del Mondo sarà una battaglia: la vittoria viene considerata un obbligo ma la strada per arrivarci è piena di insidie. Ogni partita può essere una trappola. In una situazione del genere uno come Ferraris è l’ideale: quando il match si infiamma per lui è logico piazzarsi al centro del campo, spezzare con vigore le iniziative degli avversari e rilanciare prontamente l’azione. Nessuna finezza stilistica, nessuna sbavatura. E il risultato finale come unico pensiero. Musica per le orecchie di Pozzo: se non suonasse sarcastico si potrebbe tranquillamente dire che sull’affidabilità di Ferraris c’è da scommetterci. Si può anche andare in guerra con a proprio fianco l’uomo di ferro.

Una corrida a Firenze

Il primo incontro del Mondiale è archiviato in fretta: un rotondo 7 a 1 ai dilettanti degli USA garantisce agli azzurri l’accesso ai quarti di finale. Di fronte c’è la Spagna del leggendario portiere Zamora, uno che sembra invulnerabile persino per la stella della Nazionale, il cannoniere Meazza. A Firenze, sede dell’incontro, va in scena una corrida in due riprese. La prima partita termina in parità anche al termine dei tempi supplementari. Si impone la ripetizione del match il giorno successivo. I tempi ridotti per il recupero e il gioco duro degli spagnoli causano diverse defezioni nell’undici azzurro. Ferraris scende in campo al posto del collega Pizziolo, un mediano fin troppo lezioso, e fa capire subito agli iberici che la musica è cambiata. Si piazza a fianco del ruvido centromediano italo argentino Luis Monti, uno che la vede in maniera simile a lui, e alle spalle di Peppìn Meazza. Con il primo divide la trincea di metà campo, il secondo è il destinatario preferito dei suoi lanci per andare a rete. Si vince 1 a 0 e si va in semifinale. A fine partita la maglia più sudata è naturalmente la sua,  lui è  di nuovo l’uomo di ferro.

La strada per Roma

Con il suo ingresso nell’undici titolare Pozzo ha trovato la quadratura del cerchio. Ferraris è confermato anche per l’incontro contro l’Austria, la squadra favorita del torneo. La semifinale di Milano è il penultimo ostacolo, dopo rimarrebbe solo l’ultimo incontro, proprio nella sua città. Il match è combattuto sin dalle prime battute, il centravanti avversario Sindelar è un incubo che si materializza ad ogni giocata. Ferraris, in collaborazione con il solito, efficacissimo Monti si incarica di mettere il bavaglio all’insidioso attaccante per poi riproporsi in avanti. Una mischia in area viene risolta da un tocco dell’ala Guaita: è il gol del vantaggio per l’Italia, la rete che permetterà di prendere la strada per Roma, sede della finale. Per Attilio, oltre che l’incontro più importante della sua vita, è anche la più dolce delle rivincite. Al termine della partita, la vittoria per 2 a 1 sulla Cecoslovacchia gli conferisce il titolo di campione del mondo davanti ai suoi tifosi, alla sua gente. Ferraris, il loro capitano, è tornato. E’ di nuovo l’uomo di ferro.

Pubblicità

in evidenza