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NUMERO 14 – Fùtbol a ritmo di tango

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“Ragazzino, con che cosa si gioca il fùtbol?”. “Con la palla, Mister”. “Correcto, con la palla. E di che cosa è fatta la palla?”. “Di cuoio, Mister”. “Bueno, e da dove viene il cuoio?”. “Dalla mucca, Mister”. “Exacto, dalla mucca. E che cosa mangia la mucca?”. “L’erba, Mister”. “E allora cosi si gioca a fùtebol: sempre la palla a terra sull’erba e sempre di prima!”. Carlos Peucelle, allenatore delle giovanili del River Plate, ha appena impartito la sua prima lezione all’ultimo arrivato, quel biondino quindicenne che si chiama Alfredo Di Stefano. Il ragazzo non si è perso neanche una sillaba del suo discorso, ne farà il principio fondante del suo modo di interpretare il calcio. C’è istinto, improvvisazione ma anche un suono pulsante nella testa che guida i passi.  Si sa dove indirizzare la palla prima ancora di averla tra i piedi. Si è perfettamente sincronizzati sui movimenti  dei compagni senza aver bisogno di guardarli. Come se fossero i partner di una danza, cosi come il pallone. Fùtbol a ritmo di tango.

Il pluralismo delle origini

Quel suono struggente e malinconico lo rispecchia in pieno. L’incrocio di  elementi africani e ritmiche di stampo europeo riflette il pluralismo delle sue origini. Alfredo è  il sanguemisto per eccellenza: suo padre è un siciliano nato per caso a Capri, sua madre è franco-irlandese. Entrambi sono cresciuti al quartiere Barracas, un sobborgo di Buenos Aires, dove lui stesso è nato il 4 Luglio 1926. Il miglior amico della sua infanzia è stato un pallone da fùtbol, la sua casa un campetto spelacchiato  di periferia, la sua massima aspirazione quella di essere come il suo idolo, il centravanti dell’Independiente Arsenio Erico. Lo vede ogni settimana strabiliare il pubblico con i suoi virtuosismi tecnici, ha una collezione sterminata di sue fotografie e anche qualche autografo. Ma è troppo timido per confessargli che sogna di emularlo, è il suo campione a fargli coraggio: “Tu sei nella terza squadra del River, giusto? Ti ho visto giocare,  sono sicuro che farai strada”.  Le sue parole sono il propellente migliore: al campo d’allenamento del River Alfredo è perennemente in testa al gruppo. C’è sempre quel suono pulsante nella testa da seguire, c’è sempre un pallone da smistare di prima nella direzione migliore, c’è sempre un compagno libero accanto a riceverlo, c’è sempre la porta come ultimo obiettivo. Fùtbol a ritmo di tango.

L’erede di Pedernera

In quel periodo la prima squadra del River Plate si rende protagonista di un ciclo leggendario. Il tecnico Renato Cesarini (poi sostituito da Josè Minnella) ha messo a punto un sistema di gioco ai limiti della perfezione: per questo il team si merita il soprannome di “La Màquina”. I cinque giocatori della sua linea d’attacco (da destra a sinistra: Muñoz, Moreno, Pedernena, Labruna, Lostau) hanno, ognuno a modo suo, le stimmate dei fuoriclasse. Per Alfredo, assiepato ai bordi del campo, c’è solo da imparare, ammirando i loro colpi di genio. Il funambolico esterno destro Muñoz è un mago del dribbling: le sue evoluzioni sulla fascia sono coperte dalla saggezza tattica dell’interno Moreno. Dall’altra parte Lostau ha il fiato per coprire l’intera fascia e anche per prodursi in  smarcanti passaggi per esaltare i tiri dalla distanza di Labruna o le intuizioni universali di Pedernera. Quest’ultimo (fisico da centravanti, piedi da trequartista), è il fulcro del modulo: può giostrare in ogni zona del campo  con eguale efficacia. E’, contemporaneamente, attaccante e regista: impossibile prevedere dove andrà, impossibile marcarlo, impossibile impedirgli di andare a rete.  Solo l’avanzare dell’età può imporgli dei limiti ma il Destino gli ha già messo davanti chi può sostituirlo. “El Maestro” Pedernera, al momento di designare il suo erede alla maglia numero 9 del River, non ha alcun dubbio. E’ Alfredo Di Stefano l’unico capace di inventare calcio al suo livello e con i medesimi risultati. Fùtbol a ritmo di tango.

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Saeta Rubia

Alfredo esordisce nel River il 15 Luglio 1945: la partita è contro l’Huracán, prende il posto di Pedernera. Sarà l’unica presenza in campionato per lui, il River perde quella partita ma si laurea campione d’Argentina. Gli avversari di quell’incontro, tuttavia, l’hanno notato e lo chiedono in prestito per una stagione. Lui ha voglia di giocare titolare, i dirigenti ritengono che potrebbe essere un proficuo apprendistato. Danno il benestare al trasferimento ma si cautelano fissando la somma di 90.000 pesos per il diritto di riscatto. La cifra è impossibile da sostenere per le casse dell’ Huracán: Alfredo, al termine del torneo, fa ritorno al River con  ottime referenze (25 presenze e 10 reti). Il suo mentore Pedernera gli fa spazio, lui conclude il suo primo campionato da titolare con il titolo di capocannoniere (28 goal) e un contributo decisivo alla vittoria. E’, a soli vent’anni, l’elemento chiave della squadra: sa gestire il pallone ovunque si trovi, capisce prima degli altri lo sviluppo dell’azione, sa trovare sempre la soluzione migliore, ha un fiuto unico per puntare a rete. Fa ogni cosa a velocità supersonica: il giornalista Roberto Neuberger conia per lui il soprannome di “Saeta Rubia” (Freccia Bionda), ogni volta che parte palla al piede la curva del River impazzisce. Fùtbol a ritmo di tango.

Nuovi orizzonti

L’anno dopo esordisce con la Nazionale argentina in Coppa America: vittoria del torneo e 6 reti in sei presenze. Ma i suoi rapporti con la Federazione sono compromessi dalla montante polemica sugli ingaggi. Nel paese i calciatori continuano ad essere considerati dei dilettanti e sono costretti a vivere di premi-partita. Di Stefano, a fianco dei colleghi, è protagonista di uno sciopero contro i proprietari dei club, accusati di sfruttamento, che porta alla sospensione del campionato. Il clima pesante che si respira in patria lo induce a pensare che sarebbe meglio cambiare aria, tanto più che si è presentata una occasione molto favorevole. Il 4 Maggio 1949 il tragico schianto dell’aereo sulla collina di Superga ha distrutto il Grande Torino, la migliore formazione d’Europa. Il Presidente del River, Antonio Liberti, è amico intimo del patron dei granata, Ferruccio Novo e, insieme organizzano una amichevole commemorativa tra le due squadre. L’incontro finisce in pareggio (2 a 2) e Di Stefano si fa notare firmando una rete. Novo lo vorrebbe ingaggiare per ricostruire la squadra attorno alla sua sagacia tecnica ed agonistica ma riceve un rifiuto. Di Stefano ha altri progetti per il futuro. Andrà in Colombia, nei Millonarios, per esportare il suo calcio. Fùtbol a ritmo di tango.

 

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