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Stesse partite di vent’anni fa ma più guadagni: E’ questa la verità?
Quanto si gioca davvero nel calcio?
Il tormentone che ascoltiamo ormai negli ultimi anni da parte degli addetti ai lavori nel mondo del calcio è che si giocano troppe partite. Un leitmotiv che torna ridondante come il ritornello di una canzone di Annalisa nel pieno della stagione estiva. Tutti lo conoscono, tutti lo ripetono.
Allenatori, giocatori e associazioni sembrano ormai decisi a far sentire la propria voce finalizzata alla tutela dei calciatori. Un’asce di guerra che è stata disseppellita anche a causa del nuovo Mondiale per Club voluto dalla FIFA che dovrebbe partire la prossima estate. Il periodo in questione va da metà giugno a metà luglio come se fosse un Mondiale o un Europeo, ma che di fatto stravolgerà la preparazione della stagione 2025/26.
Vacanze limitate dunque, il che ha fatto pensare all’allenatore del Real Madrid, Carlo Ancelotti, una soluzione tanto anomala quanto mai praticata ossia le vacanze individuali. Un po’ come se i calciatori fossero dipendenti di un’azienda che si organizzano in relazione alle ferie da prendere. «Il calcio deve cambiare e deve farlo in fretta – aveva detto nel 2021 l’ex allenatore del Milan – Per prima cosa bisogna ridurre il numero delle partite, si gioca troppo e male, la qualità dello spettacolo è precipitata, i giocatori non ne possono più, alcuni rifiutano la convocazione in nazionale. Stanchezza fisica e mentale, uno sproposito di infortuni, partite che finiscono 10 a 0, è ora di dire basta”.
Un tema su cui si è da sempre accodato anche Jurgen Klopp che nel 2019 dichiarava: “Il problema non è il ritiro, lì avremo tutti a disposizione, eccetto Allison e il tridente d’attacco. Dopo tre giorni, però, non puoi andare da un calciatore e imporgli di iniziare a correre. Hanno trascorso dei mesi pesanti, in futuro bisogna cambiare”.
Ma si gioca davvero così tanto? Un’analisi di Standard Football rivela come in realtà il numero di partite nell’ultimo ventennio non sia aumentato in modo esponenziale, anzi. Lo studio prende in considerazione il numero di match giocati da determinati big club come il Real Madrid o il Manchester United per consentire una proiezione verosimile in merito alla frequenza (alta) con cui queste squadre sono solite andare avanti in ogni competizione.
Ebbene, da quanto emerge il numero di volte in cui i calciatori sono scesi in campo per una partita è in realtà diminuito rispetto alla stagione 2003-2004 (59 all’epoca e 55 nell’ultima stagione) mentre invece sono cresciuti i salari. Come è possibile tutto ciò?
Più soldi ma nelle tasche dei calciatori
Il motivo per cui i calciatori guadagnano di più si fa presto a dirlo. Sebbene il numero di partite sia pressoché simile al 2004 bisogna tenere in considerazione che sono aumentate le sponsorizzazioni, i ricavi, i premi messi in palio dalla UEFA o dalla FIFA, le tournee estive e dunque anche il costo dei diritti TV.
Elementi che da un lato consentono ai club di incassare più soldi ma che dall’altro portano gli stessi ad indebitarsi pur di collezionare giocatori che non valgono lo stipendio che percepiscono. Campioni di un tempo come Bergomi, Costacurta, Raul o Giggs non guadagnavano nemmeno la metà di quanto percepisca oggi un calciatore come Rashford.
L’incremento è stato causato in parte dall’introduzione nel calcio di grandi magnati o sceicchi che in barba al Fairplay finanziario hanno ricoperto d’oro calciatori modesti, mentre dall’altro lato la presenza sempre più massiccia dei procuratori ha tenuto sotto scacco diverse grandi società. Ma allora come è possibile allora che il costante ritornello per giustificare gli infortuni sia quello delle troppe gare?
L’elemento fuorviante, a volte anche per gli addetti ai lavori, risiede nella poca distanza che c’è tra un partite e l’altra. Non è insolito infatti che una squadra scesa in campo in Europa League si ritrovi a dover giocare la domenica alle 12:3o dopo una trasferta in qualche paese lontano. Problema denunciato spesso dall’ex allenatore della Lazio Maurizio Sarri proprio durante la sua gestione con i biancocelesti.
In merito a questo però bisogna dire che le rose di oggi sono costruite per sostenere tre competizioni giocando ogni 72 ore. Un tema su cui si è soffermato anche il CT della Nazionale Luciano Spalletti. “Per me non si gioca molto, bisogna essere attrezzati per giocare molto. Bisogna far giocare chi c’è dietro, i giovani. Quando una squadra non vince non bisogna parlare di titolari o riserve, ci sono squadre che hanno 25 giocatori all’altezza“.
Rose larghe sì, ma fino a un certo punto
Per quanto le parole dell’ex allenatore del Napoli siano vere bisogna però rammentare due cose. La prima risiede nel fatto che, benché le rose siano numericamente adeguate, non tutti i calciatori sono uguali. Infatti nel caso di squadre come la Lazio o la Roma i giocatori di grande qualità si contano sulle dita di una mano.
Per questo sarebbe troppo semplicistico appellarsi all’aumento delle sostituzioni o delle rose extralarge per giustificare un numero di partite che, per quanto simile a 20 anni fa, sia comunque forse troppo elevato per un calcio intenso come quello odierno. Un eventuale turnover forzato infatti impedisce al pubblico di godere delle giocate dei campioni, facendo perdere lo show che solo certi giocatori sanno regalare. Per non parlare del fatto che a causa di questo si possono lasciare anche dei punti per strada.
La seconda considerazione da fare è che lo studio di Standard Football prende in considerazione un’epoca relativamente recente. Nei primi anni 2000 infatti era già nata la Champions League, i campionati erano a 20 squadre e le competizioni per le Nazionali esistevano ugualmente (con annesse partite di qualificazione ca va sans dire) .
Pertanto, forse, quando gli Ancelotti di turno tornano su questo tema fanno un paragone con il calcio del vecchio millennio. Un calcio se vogliamo trapassato e nel quale i calciatori non godevano né dei salari di oggi né dei trattamenti da star spesso ingiustificati.
«Certo che si gioca troppo – dichiarava il numero 1 della UEFA Aleksander Ceferin nel 2022 – ma i club ne hanno bisogno per pagare stipendi e premi. Però siamo arrivati al limite, oltre non si può più andare (…) Facile attaccare sempre FIFA e UEFA, ma il discorso è semplice: se giochi meno, gli stipendi si riducono». E allora la domanda sorge spontanea: cosa sono disposti a fare i calciatori per ridurre il numero di partite? Secondo Ancelotti accetterebbero anche un taglio di stipendio, ma francamente qualche dubbio a riguardo ce lo teniamo.